L’Arlecchino Errante. Un Festival nel nome dell’artigianato teatrale. Intervista a Ferruccio Merisi

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Sono 27 anni che L’Arlecchino Errante, festival teatrale indipendente, nato come “meeting internazionale per l’arte dell’attore” indaga, propone e sperimenta un lavoro sulla “Nuova Commedia dell’Arte”, ovvero su quel teatro che, al di là delle tipologie e dei generi, contiene i segni di un grande artigianato attoriale. Un teatro eseguito e gestito da professionisti, sia nel senso della competenza, sia nel senso della attenzione agli aspetti organizzativi ed economici di stampo cooperativo.
Il Festival, creato e diretto da Ferruccio Merisi e dalla sua Scuola Sperimentale dell’Attore si svolge a Pordenone dal 29 agosto al 5 settembre.

Il sottotitolo di quest’anno è Rethink (ripensare, rivedere, ricordare, riconsiderare, riprogettare): una chiave di lettura per comprendere quello che avverrà nel corso dell’evento.

Uno stato teatrale quasi perfetto.
Ne parliamo con Ferruccio Merisi.

Come è nato (in tempi davvero non sospetti, almeno riguardo il concetto di innovazione) il Festival L’Arlecchino Errante. E perché questo nome?

È nato nel 1997, con il desiderio di far partecipare la Città e la Regione a quella che era, ed è, la nostra febbre di ricerca. Una prospettiva di divulgazione e di partecipazione, dunque, perseguita attraverso una selezione di ospitalità a largo raggio.

Non abbiamo mai invitato chi ci somiglia, ma chi, nella differenza, ha la stessa febbre e la stessa preoccupazione di comunicazione; e anche di formazione, del pubblico e degli attori di domani.

L’Arlecchino, che comunque rimane uno dei nostri più importanti territori di ricerca, è il simbolo dell’attore indipendente e cocciutamente in perenne ricerca della propria libertà creativa, nonché di quella civile. Ed è Errante sia come gli antichi cavalieri servitori delle buone cause di tutti, sia come l’ancor più antico Ebreo, che attraversa i millenni in attesa del Salvatore e intanto favorisce lo scambio di esperienze e di arti tra una civiltà e l’altra .

Naturalmente il Festival è Errante anche di suo, dato che gli piace parecchio cambiare sempre focus e argomenti.

Cosa è la Nuova Commedia dell’Arte?

Sarebbe più giusto dire che cosa potrà essere, se siamo fortunati.

Vorremmo che diventasse il territorio di una riorganizzazione del linguaggio dell’attore, che lo porti ad essere oggettivo, ricco, e in un certo senso misurabile, come quello della danza, o ancor di più della musica. Ambiti nei quali l’eccellenza e la raffinatezza tecnica non sono  in contraddizione con il talento e la poesia, anzi.

Della Commedia dell’Arte antica vorremmo che si conservasse e sviluppasse molto: la drammaturgia degli attori, l’improvvisazione alta e colta, il senso semiologico della maschera, la coscienza della funzione sociale  e della solidarietà fra lavoratori, la sapienza coreografica, le molte abilità degli attori ecc. ecc.

Parli di artigianato attoriale, ma spesso questa parola, artigianato, viene usata in maniera svilente, come se artigianato non fosse una forma d’arte, ma una modalità meno professionale. Con questo Festival stai riuscendo a recuperare la positività del termine “artigianato” in teatro?

È vero, c’è questo rischio, ma è colpa dell’hobbismo da mercatino che ha inquinato il nostro linguaggio. Arte e artigianato, ai tempi delle “arti” appunto, erano sinonimi. Artigianato per me vuol dire: impresa, tecnologia a misura d’uomo, know how trasmissibile, tempi non tabellizzabili, rifinitura paziente, dialogo con il cliente.

Certo, le radici romantiche dell’idea del genio hanno dato all’arte la dimensione individuale e quasi solipsistica del creare. Essendo (un po’) artista capisco bene quanto si soffre a dover condividere o trattare decisioni o soluzioni che dentro di noi hanno la fame del fuoco.

Ma i capocomici della Commedia, arrivando fino a Molière, Shakespeare e De Filippo, ecc., ci hanno insegnato che il dialogo genio e gruppo si può fare, e che anzi così il Teatro è più bello.

Quante sono le compagnie che si occupano di Nuova Commedia dell’Arte nel mondo?

Secondo me parecchie, ma quasi nessuna si prende, come noi, l’impegno di dichiararlo.

Perché di impegno si tratta, e non del solito approfittarsi di un  patrimonio che di suo regala felicità, apparente facilità, una buona dose di consenso e un bel divertimento anche per chi lo recita.

Non si tratta di occuparsi di Nuova Commedia dell’Arte. Come quella Antica essa non è un genere.
È una visione sul mestiere, sulla creazione, sulla comunicazione. Si tratta perciò di agire per inventarla. E ci sta anche che invece che le Indie si trovi l’America.

Il Festival rappresenta anche un momento di riflessione e scambio di esperienze, detta così sembra una pratica di decenni passati, sconosciuta ai più, come viene vissuta questa possibilità dalle generazioni più giovani presenti al Festival? Hanno bisogno di questa visione collettiva?

Questo scambio onestamente non riusciamo ancora a praticarlo, dal vivo. Questione di budget, per potersi permettere una compresenza di artisti e studiosi, che invece si succedono nei giorni, liberando posti in albergo e al ristorante….Rimane la riflessione, come libera possibilità per il pubblico, per i singoli artisti, per noi organizzatori.

Organizzare un Festival è come seminare su terreni diversi e variabili. Ci vuole umiltà circa i risultati, e inserire il filtro dell’ironia e della divertita curiosità rispetto alle zolle che non daranno frutto…

Quello dei giovani è argomento delicato. Molti oggi parlano dei giovani come di alieni imperscrutabili. Non credo sia un paragone giusto, ma quello che è certo, per il Teatro in generale, è che rappresentano oggi una percentuale bassissima, tra gli spettatori.

Ed è una cosa che si rispecchia in tante altre forme di assenza civile. Il Teatro non ha una soluzione pronta, ammesso che il fenomeno sia davvero un problema. Che cosa canteremo nei tempi cupi, si chiedeva Brecht, e si rispondeva: canteremo dei tempi cupi. Da tempo voglio provare a cantare di questi giovani.

Non ho ancora trovato una buona partenza per questo. Ma ci riuscirò…

Cosa ti aspetti dall’edizione di quest’anno?

Di raccogliere indizi e segnali che  permettano agli artisti e al pubblico di inventare il Teatro e la vita di domani.

Sembra che tutto il progetto si portatore di grande felicità (oltre che di grande fatica) è la verità?

Grazie per il suggerimento, non ci avevo mai pensato con chiarezza, ma è vero: con il Festival proviamo a trasmettere felicità!

Qui il programma completo

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Giornalista culturale e autrice di testi ed adattamenti, si dedica da sempre alla ricerca di scritture, viaggi, tradizioni e memorie. Per dieci anni direttore responsabile del mensile "Carcere e Comunità" e co-fondatrice di "SOS Razzismo Italia", nel 1990 fonda l’Associazione Teatrale "The Way to the Indies Argillateatri". Collabora con diverse testate e si occupa di progetti non profit, educativi, teatrali, editoriali, letterari, giornalistici e web.

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