Che cosa è il vivente?

The Fly - foto dal set, 1958

Meno di un anno fa abbiamo partecipato a eventi contro il Green Pass e abbiamo seguito le querelle tra i filosofi europei, divisi tra chi riteneva che fosse una questione di democrazia criticarne la visione politica alla base e chi riteneva fosse una questione di democrazia difenderlo. Esso era considerato dagli uni come un dispositivo sanitario che avrebbe rotto coi principi della carta costituzionale e delle libertà individuali e dagli altri come un dispositivo sanitario, invece, in linea coi principi di buon governo.

Abbiamo affrontato la questione aperta nella vita associata dalla diffusione del virus SARS CoV-2 o Covid-19 in due saggi. Nel primo saggio, il libro, “Avantspecie”, abbiamo, introducendoci nel dibattito sulla natura del vivente, o della vita, proposto una visione della situazione attuale come un momento storico in cui la vita associata planetaria è come “tirata” dall’evoluzione ai suoi due estremi di due nuove forme-di-vita tout court.

Da una parte, l’autonomizzazione sempre più evidente dell’artificiale come forma-di-vita, o, diciamo, per rispettare nel miglior modo possibile la pertinenza linguistica del nostro linguaggio, la sempre più evidente autopoiesi delle macchine prodotte dall’uomo in quanto essere viventi. Dall’altra, la pressione sul vivente di un ambiente sempre più esso stesso prodotto dell’uomo che lungi dal rendere quello un ecosistema a immagine e somiglianza delle macchine, continua a spingere i processi evolutivi verso nuove soluzioni “progettuali” per la vita.

Tra queste soluzioni “progettuali” per la vita la prima risposta è venuta dall’ambiente di quei virus che abbiamo chiamato “fuori controllo” poiché la nostra ipotesi è che, prendendo spunto dalla teoria della “patocenosi” di Mirko Drazen Grmek, stia cambiando radicalmente l’ambiente microbiologico, per una sorta di salto di “specie collettivo” dei germi (batteri, virus, funghi) e, quindi, anche quello dei nostri corpi, della fauna e della flora.

Nel secondo saggio, il libro “Cazzari e Capitale”, un pamphlet scherzoso scritto sotto lo pseudonimo (Exter Bullshitt), pubblicato a Parigi, pensato per i ragazzi, per invitarli con il loro stesso linguaggio a liberarsi dal condizionamento psicologico che avrebbe potuto generare il Lock Down, abbiamo trattato del linguaggio del vivente.

Questo è trattato come mai del tutto – secondo una categoria marxiana – sussumibile dalla valorizzazione del capitale. Ovvero, il linguaggio non sarebbe mai completamente un luogo dal quale trarre suggerimenti per la progettazione delle merci e non sarebbe, dunque, mai il linguaggio stesso, per così dire, delle merci.

Diciamo, che con questo ulteriore breve saggio ci siamo riteniamo dopo tanto tempo e per il nostro lavoro di studio all’interno del dibattito internazionale che si domanda cosa sia il vivente. Riteniamo che da questa domanda provengano le più importanti risposte non solo per il miglioramento o il cambiamento radicale della vita associata, ma anche per il futuro benessere della specie e del pianeta.

Abbiamo ritenuto in quel momento che le posizioni politiche più pertinenti che aprivano a questa domanda con curiosità intellettuale, senza appiattirsi sul presente, erano state proprio, come vedremo, i movimenti di contestazione al Green Pass.

Tra questi movimenti, alcuni, nella tradizione dell’Internazionale Situazionista e della sinistra comunista, avevano messo al centro del proprio discorso la domanda “Che cosa è il vivente?”.

Il tentativo di una guerra di classe basata sulla comprensione delle dinamiche e dei fenomeni del vivente caratterizza ad esempio il movimento Vitalist International nato e cresciuto con e dopo le rivolte statunitensi per George Floyd.

L’esperienza di Vitalist International pur se basata su teorie scientifiche molto innovative risulta ancora poco elaborata. Questa esperienza è tuttavia certamente uno dei luoghi di dibattito internazionale più interessanti del e sul presente. Certo è che la guerra di classe, pur ormai nella sua minorità monacale, pur nella sua radicalità anti-democratica che è solo scelta di povertà, è un luogo privilegiato dal quale guardare alla vita associata e al vivente per intercettarne i cambiamenti fenomenologici.

Questi luoghi ormai minori permettono di avere un punto di vista critico e radicale sulle relazioni tra politica, vivente, società, linguaggio e porsi quella domanda così importante – “Che cosa è il vivente?” –  senza assumere una posizione intellettualmente pusillanime o puramente accademica, con tutte le sue retoriche alle volte banali.

Ci riproponiamo altrove di essere più precisi ed approfondire maggiormente le risposte del dibattito internazionale a questa domanda, tuttavia qui proveremo ad analizzare brevemente le quattro risposte più conosciute. Tenteremo di rilevarne le criticità, rispondendo a nostra volta con una breve chiusura personale su cosa sia il vivente.

Grosso modo le risposte sono appartenenti a quattro scuole che definiremo “scuola cibernetica o macchinica”, “scuola progettuale o proiezionistica”, “scuola processuale o filogenetica”, “scuola animistica o spirituale”.

La prima nasce dalla tradizione occidentale delle teorie del vivente meccanicistiche, materialiste ed atee. La seconda, dalla tradizione occidentale teleologica, progressista e socialdemocratica. La terza, dalla tradizione marxista e radicale, ma insospettabilmente anche dalla tradizione della scolastica medievale cristiana e della cabala ebraica. La quarta, dalla tradizione esoterica e reazionaria, ma insospettabilmente anche da tutte le tradizioni spiritualiste orientali.

Diciamo, intanto, che sia la scuola “processuale e filogenetica” sia la scuola “animistica e spirituale” non si pongono la domanda su cosa sia il vivente partendo dal tentativo di distinguere tra natura e artificiale, ma interrogandosi prima di quella domanda sulla questione “Che cosa è l’uomo?”, introducendosi così nel discorso sul rapporto tra mondo e coscienza.

Gli uni interrogandosi su quale sia la conseguenza di questo rapporto, gli altri ponendosi sempre dal lato della coscienza dell’uomo.

Nella scolastica medievale cristiana il rapporto tra coscienza e mondo è lo stesso rapporto che vi è tra la natura divina dell’uomo e la sua vita terrena. Lo Spirito è incarnato. In Karl Marx questo rapporto è lo stesso rapporto che intercorre tra l’umanità dell’operaio e il suo lavoro, in cui la coscienza dell’operaio è alienata e s’incorpora nella macchina. Nella cabala ebraica il rapporto tra mondo e coscienza è lo stesso rapporto che si ritrova tra l’Ein Sof, dimensione inconscia e a venire, e la sua comunità umana, in cui l’elemento d’ecceità è da Dio ispirato.

Nella scuola “animistica e spirituale” la coscienza è intesa come Spirito e vera essenza dell’uomo, il mondo come apparenza e falsa realtà dell’uomo. Tra la coscienza e il mondo vi sarebbe sempre un velo di Maya e soltanto a pochi eletti e sapienti spetterebbe di sollevarlo per penetrarne i segreti. Qui, la vera essenza del vivente non è che uno spirito del mondo che va interpretata da personaggi, come direbbe Hegel, “cosmico-storici”.

La scuola “cibernetica o macchinica” e quella “progettuale o proiezionistica” partono, invece, dall’interrogarsi su quale sia la differenza tra natura e artificiale. Queste scuole tendono ad assimilare le macchine al modello del vivente o, al contrario, il vivente al modello delle macchine.

La loro domanda “Che cosa è l’uomo?”  non viene prima della domanda “Che cosa è il vivente?” ma alla fine della risposta a questa ultima. Così, soltanto dopo aver potuto formulare ciò che è naturale si permettono di sostenere anche ciò che è umano.

I loro autori, privati per eccessiva cautela teoretica e per dovuta metodologia scientifica analitica occidentale, della possibilità di interpretare il vivente oltre le relazioni tra le sue parti, la sua organizzazione interna come unità nello spazio fisico e l’immanenza delle sue proprietà, finiscono per non avere modelli teorici oggi avanzati, per constatare sempre come la difficile comprensione dell’articolazione tra natura e artificiale porti l’uomo alla sua fine, alla fine di sé e del suo tempo.

La débâcle di queste scuole è evidente in quanto hanno fondato il loro discorso sull’uomo sulle risposte alla domanda “Che cosa è il vivente?” a questo modo: “il vivente è realizzato sul modello delle macchine” o “si dispiega in quanto oggetti dotati di un progetto”. A questo modo si elimina del tutto dall’uomo l’aspetto dello spirito incarnato, dell’alienazione, dell’incorporazione, dell’ecceità, della vera essenza dell’uomo e del mondo in quanto apparenza.

In tempi in cui non è facilmente distinguibile ciò che è naturale da ciò che è artificiale queste scuole si sono condannate a chiedersi “Che cosa è l’uomo?” rispondendo con l’ammissione che la storia è finita e che l’uomo non si sa più che cosa sia. La causa della mancata risposta, di questa crisi delle risposte, non si ritrova tanto nella reale condizione problematica dell’uomo e del vivente, ma nella ormai desueta metodologia di queste scuole, così piattamente materialista e atea da non tenere più in conto le astuzie dialettiche del marxismo.

Vediamo, allora, approfondendo, quali risposte abbiano dato alla questione sul vivente le diverse scuole e quali siano le loro criticità, fino a proporre una nostra breve e originale posizione teoretica sull’argomento.

Scuola Cibernetica o Macchinica.

Maturana e Varela forse sono gli interpreti più interessanti di questa scuola. In “Macchine ed Esseri Viventi” scrivono senza mezzi termini: “Noi sosteniamo che gli esseri viventi sono macchine” (Pag. 26, Astrolabio). In modo più raffinato ma intendendo sempre che il sistema vivente è un sistema macchinico in “Autopoiesi e cognizione” sostengono: “I sistemi viventi come esistono oggi sulla terra sono caratterizzati dal metabolismo esergonico, dalla crescita e dalla replicazione molecolare interna, il tutto organizzato in un processo circolare causale chiuso che permette il cambiamento evolutivo nel modo in cui è mantenuta la circolarità, ma non la perdita della circolarità stessa”. (pag. 54, Marsilio).

L’origine di questo discorso si potrebbe trovare nel materialismo volgare francese del XVIII secolo, quel meccanicismo ateo che riduceva con molta meno eleganza il vivente non a una macchina di feedback e retroazioni come nella cibernetica, ma alle macchine settecentesche come potevano essere gli automi dell’epoca, “Il turco”, il giocatore di scacchi di Von Kempelen o l’Anatra digeritrice di Vaucanson.

Il grande problema di questa scuola è sempre stato quello di non tradire la propria metodologia immanente ma allo stesso tempo di dover salvare la coscienza dell’uomo. Quando trova qualche escamotage per una interpretazione materialista della coscienza allontana il resto del vivente dalla proprietà del possederla.

Non a caso questa scuola è quella che ha maggiormente insistito sul concetto di dominio dell’uomo sulla natura. Per i suoi autori il vivente è una macchina perché esso sarebbe composto come quella di parti le cui proprietà non hanno alcun ruolo nella logica del suo funzionamento. Anzi, le proprietà delle parti si produrrebbero dal gioco stesso di quel funzionamento e quindi, ad esempio, la coscienza dell’uomo e del vivente sarebbe ridotta a una funzione: la cognizione e nel migliore dei casi all’auto-cognizione.

È strano a dirsi ma il movimento più sensibile verso i temi ecologici, il “movimento ecologista”, è stato quello che maggiormente si è appellato a questa teoria. L’idea di Lovelock di Gaia o dell’ambiente inteso come eco-sistema sono tutte visioni del vivente come macchina, macchina non banale o macchina complessa, ma comunque sistema in fondo prevedibile e proprio perché prevedibile “migliorabile” dall’intervento dell’uomo. Soltanto che proprio nel momento in cui si mette l’uomo al centro del sistema del vivente, si toglie ad esso il senso reale e profondo di come si debba intervenire in questo sistema, venendo a mancare l’idea stessa di cosa sia l’uomo.

Scuola Progettuale o Proiezionistica

Da una parte, quello di Maturana e Varela è il tentativo di offrire un discorso maggiormente immanente rispetto ai discorsi teleologici sul vivente, dall’altra il discorso teleologico sul vivente più raffinato come quello di Jacques Monod rappresenta il tentativo di andare oltre l’incapacità del discorso immanente di spiegare meglio la sua coscienza.

In fondo, il discorso immanente è incapace di dare una risposta alla domanda su cosa sia l’uomo in termini scientifici.  Jacques Monod nel libro “Il caso e la necessità” parte dalla stessa questione da cui partono i cibernetici o macchinici, ovvero si pone la domanda “Come si può distinguere il naturale dall’artificiale?” e la risposta che si dà in termini scientifici porta alla conclusione che il vivente sia un insieme di “oggetti dotati di progetto”.

Monod così come Maturana e Varela cerca di non cadere nelle trappole dello scientismo ottocentesco e di non spiegare la teleologia come una finalità iscritta nel vivente dall’esterno, ma egli aggirare il problema restituendo il senso della finalità con il concetto di “progetto”. Tale progetto non è qualcosa che venga da Dio o da una realtà spirituale esterna, ma è iscritto internamente in un sistema autopoietico chiuso e che si dispiega evolutivamente a partire da qui.

Niente interferisce con tali sistemi autopoietici chiusi, essi eseguono una sorta di programma iscritto non tanto fin dall’inizio nelle sue parti, ma come gioco delle sue parti nell’evoluzione che diviene progetto.

Se in Monod, quindi, le proprietà delle parti sono importanti in quanto producono il progetto stesso delle parti, in questo discorso per Maturana e Varela vi sarebbe ancora troppa “trascendenza”. Queste proprietà, ovvero l’aspetto qualitativo delle parti, sarebbe ancora figlio di un approccio non completamente materialista e, quindi, in grado di spiegare il funzionamento della vita senza ricorrere a escamotage esterni ad essa.

Monod scrive: “Gli esseri viventi si differenziano da tutte le strutture di qualsiasi altro sistema presente nell’universo proprio grazie a questa proprietà; alla quale daremo il nome di teleonomia” (pag.21, Mondadori). Facciamo notare come con questi termini, “proprietà” o “teleonomia”, s’intendono tutte le proprietà delle sue parti in gioco in quanto unità nello spazio fisico. Qui la risposta alla domanda cosa sia l’uomo è ovvia, l’uomo è il suo stesso progetto.

Tuttavia, questa risposta è povera, in quanto tale progetto, anche qualora si manifesti in termini culturali e spirituali è iscritto in ogni singolo uomo come individuo egoista la cui interazione con altri individui è un gioco di rapporti sociali che non intacca mai la sua natura iniziale in quanto sistema chiuso.

Così al livello di una specie in rapporto con le altre specie, così al livello dell’uomo in rapporto con il resto del vivente si presta il fianco a interpretazioni della vita umana in termini di esclusione. Si pensa il vivente come un sistema mai aperto alle innovazioni, come nel caso ad esempio dei salti di specie, in cui ogni progetto precedente salta del tutto.

La miglior critica a questa scuola è venuta da Jacques Camatte e Giorgio Cesarano, l’uno accettandone l’idea di progetto, ma rigettando l’idea del vivente come un sistema chiuso, l’altro proponendo una versione radicale della concezione proiezionistica del vivente, portando avanti il concetto di una rivoluzione biologica che aprisse i sistemi viventi chiusi dall’interno.

Scuola Processuale o Filogenetica.

La scuola processuale o filogenetica prende le sue mosse dal rovesciamento del sistema finalistico del vivente di Hegel da parte di Karl Marx. Con Marx prende coscienza del tutto nel dibattito sul vivente l’idea che i sistemi viventi non siano sistemi chiusi e autopoietici ma sistemi aperti che si producono in processi evolutivi relazionali e più o meno arbitrari.

Come ammette Marx questa idea non è figlia del pensiero hegeliano ma una forma di materialismo più avanzato di origine inglese che, arrivato in Francia, contesta e salva dialetticamente dal romanticismo tedesco il materialismo teistico di origine Spinoziano. Marx scrive: “Il materialismo è il figlio naturale della Gran Bretagna” (La sacra famiglia, Riuniti, pag. 168) e questo perché il materialismo inglese è rimasto, differentemente da quello francese che prende le mosse da Cartesio, maggiormente in contatto con la Grecia di Democrito ed Epicuro.

Il vivente come sistema aperto è un’idea prettamente inglese. Questa scuola non si avvicina al vivente come sistema ponendosi la questione del naturale e dell’artificiale in partenza, ma la aggira pragmaticamente in favore di una concezione per cui il vivente è tutto ciò che è in grado di produrre interazione, che arriva a sbaragliare lo stesso sistema di Spinoza, nel quale si era fatto il fondamentale passo avanti di considerare, ad ogni modo, l’aspetto materiale del vivente come “sostanza”.

Fondamentalmente, come afferma Marx, quella di Spinoza era una forma di teologia che andava a rincorrere sul suo terreno il materialismo inglese, materialismo che non arrivava alla conclusione della materia-sostanza, ma prendeva questa conclusione come suo punto di partenza per arrivare a un’idea di vivente come sistema di relazioni.

La debolezza dello spinozismo era in questo: volendo iscrivere le ragioni dello spirito nella materia e, quindi, le ragioni della coscienza nel vivente vi arrivava soltanto come utile conclusione del discorso teologico. Mentre le ragioni della coscienza nel vivente era per i pensatori inglesi come Bacone, Duns Scoto, Locke, luogo stesso di partenza e non di arrivo di ogni discorso e da queste ragioni arrivava a spiegare perfettamente la natura come sistema aperto.

Insospettabile ma reale percorso del pensiero occidentale, anche la scolastica cristiana non ha mai considerato il vivente come sistema chiuso, semmai come molteplicità (dissimilitudo) aperta e difforme la cui coscienza unitaria era in Dio e incarnata (processo spirituale) attraverso il figlio nella comunità umana.  Così come nella cabala ebraica, l’Ein Sof o infinito, inconscio dell’universo e del vivente tutto, costituisce l’apertura del sistema della vita senza il quale risulterebbe un sistema chiuso e del tutto immanente.

Della scuola processuale o filogenetica si può soltanto dire che si presta poco a trovare soluzioni nelle applicazioni pratiche della vita associata per forme di governo stabili, in quanto portato alle rotture e alle rivoluzioni o, al contrario, a mal sopportare che la vita associata non sia amministrata secondo regole di coscienza superiori agli interessi della comunità umana, appiattita sul suo presente.

Scuola Animistica o Spirituale

La scuola animistica o spirituale non ritiene di dover spiegare il vivente in modo immanente o di porsi la questione di cosa sia, metodologicamente, a partire dalle sue prerogative materiali. Questa scuola parte piuttosto dalla domanda: “Quale è l’origine e la finalità del vivente?”. Alla base di questa preoccupazione fondamentale per l’uomo e la sua coscienza, per la sua tenuta nel tempo, si interroga su quale sia, allora, l’“essenza” del vivente.

Tale essenza non è qualcosa che risulterebbe iscritta nelle sue funzioni, nella sua organizzazione interna, nelle relazioni all’interno di un processo aperto o chiuso e, nemmeno, la sua finalità potrebbe essere il prodotto di un progetto. Per questa importante e sottovalutata scuola l’essenza del vivente si spiega a partire dal suo progetto originario. In esso e non nel vivente stesso o nel suo processo evolutivo è iscritta la sua finalità, il suo senso più profondo. Soltanto a partire da qui è possibile anche comprenderne scientificamente i modi di dispiegarsi nell’universo.

Tutto è iscritto nell’inizio e ad esso deve tornare continuamente. È chiaro che per questa scuola il vivente non segue una traiettoria evolutiva lineare, ma ciclica ed eternamente ritornante su sé stessa. Poiché il progetto originario del vivente non è che il destino nell’universo della vita stessa, questa scuola non può concepire nemmeno che la natura si possa confondere con l’artificiale, che l’uomo e il suo mondo possano essere concepiti senza anima e che il vivente e il suo universo possano essere concepiti senza essenza spirituale.

In questo senso i grandi autori reazionari, da Heidegger a Schmitt, da Jünger a De Jouvenel, pur essendosi sporcati le mani in modo raffinato con i fatti del mondo e le sue astuzie, sono autori che non possono sopportare che l’essenza spirituale di questo mondo sia dominato dall’artificiale e non dalla natura, ovvero dalla logica della tecnica e non dalla logica dell’umano, dalla logica della macchina e non dalla logica dello spirituale.

Questa scuola ha le sue ragioni teoretiche molto studiate nei suoi dettagli argomentativi e poco o malissimo studiate per le sue ragioni di fondo, per un disprezzo ideologico o una damnatio memoriae dovuta all’esito del nazionalsocialismo dei lavoratori. Quello che si può dire è che questa scuola, rifiutando l’idea di un’evoluzione il cui destino non sia già scritto dall’origine, non può pensare che un’origine dove ogni parte costitutiva del vivente sia già determinata e, così, ogni ruolo degli individui nella vita associata.

La scuola animistica o spirituale deve così affermare in fondo, anche per coerenza teoretica, che non vi siano che individui fin dall’inizio scelti per guidare la comunità umana verso il suo ritorno eterno all’inizio dei tempi. Il vivente così non può invece che essere gerarchizzato eccessivamente ed eternizzata la sua stratificazione in specie, senza avere questa scuola nella sua teoria la possibilità dei salti evolutivi. Sono poco tenuti in conto, cioè, i momenti di rottura evolutiva o di emersione di nuove specie.

È bizzarro come l’uomo abbia trovato il massimo senso di sé e la massima espressione della sua essenza proprio in una scuola che per affermarne senso ed essenza è stata poi costretta all’autonegazione dell’umano, per realizzarne il destino, arrivando così alla propria aporia teoretica.

Questo piccolo saggio convenuto più di uno anni fa con alcuni membri di Vitalist International e scritto nei giorni della contestazione al Green Pass e ai vaccini contro il Covid 19, che ormai appaiono lontani, sono il tentativo di produrre il terreno per una teoria marxiana all’altezza dei tempi che tenga sempre presente che tutte queste scuole, quella marxista stessa, sono il prodotto storico-geografico di una posizione politica precisa e che non vi è scampo al loro esito politico una volta scelta quella con cui maggiormente ci si accorda.

In fin dei conti la decisione su cosa sia il vivente e la vita appare essere proprio una decisione più politica che teoretica o scientifica.

Apprendendo da altre scuole che la nostra idea della coscienza di un momento storico e di una determinata situazione geografica e politica possa essere anche il prodotto di una coscienza del mondo e del vivente, da materialisti storici dobbiamo chiederci se non vi sia nell’origine di questa coscienza una essenza iscritta per l’eternità del vivente o dell’uomo, un’invarianza che dalla notte e dal profondo dell’origine faccia provenir e qualcosa fino a noi e nel nostro futuro.

Dall’origine proviene qualcosa come una potenza del vivente e questa potenza è per noi il linguaggio e la forza della percezione di sé, dell’Altro e dell’ambiente che ci circonda. Nel vivente è certamente la sua volontà di non soccombere mai alle forze del non-vivente, volontà iscritta anche nel lavoro vivo come forza che acquisisce questa coscienza così disalienante contro la macchina e capace, purtuttavia, di relazionarsi armoniosamente ad essa, di incorporarvisi e di auodeterminarla.

In questo senso movimenti come Vitalist International aderirono alle lotte contro il Green Pass non tanto o non soltanto per affermare una natura originaria del vivente che si ribellerebbe ai tentativi di addomesticarla, ma per affermare il vivente come potenza della vita contro chi amministra le forze del lavoro morto (le macchine e i suoi sistemi di controllo).

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Daniele Vazquez è antropologo, psicogeografo, urbanista e scrittore di science fiction. Tra i fondatori del Luther Blissett Project, ha fatto parte e fa parte di numerosi gruppi anti-artistici, attivisti e di ricerca indipendenti sulle forme di vita urbane, tra i quali l’Associazione Psicogeografica Romana. Ha pubblicato contributi per diversi libri, articoli per numerose riviste e nel 2010 il volume Manuale di Psicogeografia, nel 2012 il romanzo La comunità dei sogni, nel 2015 La fine della città postmoderna, nel 2016 ha fatto parte dell’équipe di ricercatori che ha lavorato al volume Sviluppo e benessere sostenibili. Una lettura per l’Italia, nel 2018, con Cobol Pongide, il libro patafisico Ufociclismo. Atlante tattico ad uso del ciclista sensibile e, con Laura Martini, la raccolta di scritti del Centro di Ricerca dei Luoghi Singolari: Che cosa è un luogo singolare?

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