Eva Frapiccini e il condiviso Dreamscape. L’intervista

immagine per Eva Frapiccini, Dreamscape, installazione sonora, Museo Madre, Napoli, 2023, crediti Amedeo Benestante, Courtesy AlbumArte e Museo Madre.
Eva Frapiccini, Dreamscape, installazione sonora, Museo Madre, Napoli, 2023, crediti Amedeo Benestante, Courtesy AlbumArte e Museo Madre.

Una sala vuota avvolta nella penombra, occupata solamente da sei essenziali strutture filiformi metalliche, che sostengono altrettante casse acustiche. Le casse propagano un brusio, un indistinto mormorio che diventa scindibile e intellegibile solo allorquando il visitatore entra nel preciso raggio di diffusione di una delle casse. È allora, che avviene la magia. Delle voci raccontano l’impalpabile e ne lasciano traccia.

Raccontano i propri sogni, consegnandoli alla memoria collettiva. In quest’installazione sonora immersiva interattiva, si entra a far parte di una grande comunità, quella umana. Una comunità che, nonostante le differenze geografiche e culturali, è attraversata da timori e desideri simili, propri dell’uomo, che ne indicano l’essenza, spogliata di tutte quelle sovrastrutture formative.

Come una dreamcatcher, in Dreamscape, l’artista Eva Frapiccini ha raccolto le parole di chi ha voluto condividere e, in una babele di lingue, ha messo in relazione i narratori, ma ha anche creato una connessione tra il visitatore e i mondi di chi ha compiuto il racconto.

Ha donato al visitatore la possibilità di entrare in una sfera intima. E, ad entrambi (narratori e visitatori), il momento di esorcizzare apprensioni, perché verbalizzando si dissolvono quelle energie negative che (spesso) si accumulano nelle cose tenute segrete e nascoste, e si ridimensionano nella condivisione, nel dar loro espressione attraverso la parola.

Col suo ingresso, il visitatore diviene una sorta di fido custode dei personali incanti.

Un progetto, quello di Eva Frapiccini, che l’artista porta avanti da ben undici anni. Iniziato nel 2011, ben 2386 persone hanno lasciato il loro racconto, per un totale di circa settantasei ore di registrazione, sintetizzate in un racconto di sei minuti per Dust of Dreams e in centottanta in Dreamscape.

Nel 2022 è iniziata la collaborazione con AlbumArte con le produzioni dei due lavori. Avviato nel corso di Artissima a Torino, fu presentato, nel suo formato completo, alla Townhouse Gallery del Cairo, per proseguire poi allo Swedish Museum of Architecture di Stoccolma, toccando, in seguito, le città di Fittja, Bogotà, Riga, Manama, Rivoli, Sharjah, Dubai, Wakefield, Bergamo, Potsdam, Sierre, Genova, ogni volta invitata dai rispettivi musei o istituzioni.

Ne parliamo in maniera più approfondita con le protagoniste dell’iniziativa, Eva Frapiccini e Cristina Dinello Cobianchi, la presidente di AlbumArte.

Com’è nata l’idea di questo progetto così articolato e perché proprio i sogni?

Eva Frappicini: nel 2011, vivevo in Olanda, stavo lavorando al concept della mia prima personale in galleria. Quell’anno risuonava la teoria Maya sulla fine del mondo che sarebbe dovuta avvenire a dicembre. Per gioco, ho immaginato cosa succederebbe se un alieno atterrasse sulla terra, una volta estinta l’umanità. Non avrebbe avuto traccia delle nostre paure e desideri più nascosti.

Da lì, si è inserito l’interesse per i sogni. Ovviamente, come realizzarlo, è venuto grazie a successive collaborazioni che spiego sotto. In generale, mi interessa la percezione umana del tempo, e le dinamiche sociali e politiche che intercorrono. Attraverso la partecipazione di persone che hanno origini diverse, accomunate dal sognare, potevo mettere insieme alcuni aspetti interessanti: la natura di una capsula del tempo (in questo caso una registrazione vocale di un ricordo di sogno), la creazione partecipata di un archivio, il potere del racconto orale, la multiculturalità (le diverse lingue e modi di raccontare un sogno, le culture di provenienza), l’attivazione di un display itinerante (facilitato da una cabina/installazione gonfiabile viaggiava in valigia), testare la presenza di un inconscio collettivo.

In Dreams’ Time Capsule, la richiesta di registrare un ricordo di sogno proietta il/la partecipante verso il futuro, spostando l’attenzione su uno scarto della quotidianità (il sogno), con l’istanza di poter riascoltare questo scarto dopo dieci anni. Lo scarto è già di suo un elemento interessante, politico e resiliente. Ecco perché il sogno. Ogni anno spedisco le e-mail con i sogni registrati dieci anni prima.

Ho già spedito le prime 684 e-mail con gli audio del 2011, 2012, 2013. Dalle risposte, posso dire che provoca una certa vertigine, ma non posso dilungarmi di più qui.

Qual è stato (se c’è stato) il racconto più emozionante tra quelli registrati?

Eva Frappicini: Ce ne sono stati diversi, alcune epifanie. Come il sogno della signora inglese dello Yorkshire che ha sognato la parola Rubicone senza saperne il significato, ma proprio durante i giorni del voto per la Brexit. O una ragazza di Dubai, che ha sognato il padre da giovane senza averlo mai conosciuto, né visto in foto.

Quello che mi ha colpito di più è stato ascoltare il sogno sulla visita di una persona cara morta, nella descrizione di alcuni elementi come una membrana intorno al corpo, la posizione, ho riascoltato un sogno che avevo fatto anche io su mio padre.

La voce ha un potere incredibile, permette di rendere presente una persona. È questa la forza della struttura-archivio Dreamscape.

Sono stati più uomini, più donne, più giovani, più bambini, più anziani?

Eva Frappicini: difficile dirlo. Penso una leggera maggioranza di uomini. Se con giovani intendiamo fino ai 35, più giovani, ma non ho fatto una statistica. Sarebbe interessante.

Qual è stata la più grande difficoltà incontrata per la sua realizzazione?

Eva Frappicini: le difficoltà maggiori per un’artista interessata a portare avanti un progetto di ricerca è far partire le cose, avere il supporto per continuarlo, e portarlo a conclusione.

Sembra banale, ma considera che Dreams Archive non è iniziato nel 2022 ma nel 2011. Nel corso del tempo ci sono state molte collaborazioni in Italia e all’estero, e tutti hanno dato il loro contributo alla buona riuscita.

Prezioso è stato il supporto di AlbumArte che ha curato in maniera puntale gli ultimi due anni del progetto e, con il contributo della Fondazione Compagnia di San Paolo e del Ministero della Cultura, sono riuscita a concretizzare il lavoro in tre importanti restituzioni.

La prima, un’installazione multimediale e performance (Dust of Dreams). La seconda, la restituzione dell’archivio sonoro Dreamscape e, infine, la terza, la pubblicazione Dreams Archive, edita da B-r-u-n-o, curata da Cristina Dinello Cobianchi.

Quindi diventa fondamentale, nei progetti a lungo termine, oltre che trovare i finanziamenti, incontrare anche delle persone che credono nei progetti, come AlbumArte ha saputo fare.

Com’è nata la collaborazione con Eva Frapiccini?

Cristina Dinello Cobianchi: seguivo il lavoro di Eva da tempo. Poi l’ho conosciuta meglio e, ogni tanto, ci aggiornavamo sulle nostre riflessioni e sull’evolversi del suo lavoro, che stimavo sempre di più.

A un certo punto, abbiamo approfondito il suo progetto Dream’s Time Capsule, sull’archivio dei sogni notturni, che stava portando avanti già da qualche anno. Sono da sempre interessata al sogno, all’introspezione e alla risposta analitica, specialmente junghiana e ho già diretto, anni fa, una mostra sugli archetipi.

In questo caso, la capsula bianca e l’idea che si potesse entrare in un luogo così riservato e intimo, la modalità di raccolta in giro per il mondo, tra culture diversissime dove, però, nei racconti si ritrovavano tante parole comuni ricorrenti, e la restituzione dei sogni ai sognatori dopo dieci anni, mi hanno affascinato da subito.

Un altro aspetto che m’incuriosiva era sperimentare forme espressive del tutto nuove per AlbumArte: la danza performativa contemporanea, all’interno dell’installazione Dust of Dreams e l’opera sonora con Dreamscape. Ho capito che di Eva mi potevo fidare, che avrebbe lavorato sodo, che aveva idee molto chiare, e mi sono lanciata in due progetti multimediali interdisciplinari, che hanno viaggiato non solo nei musei, dove ero abituata a stare, ma nei festival di musica elettronica e di danza contemporanea, mondi nuovi e molto stimolanti.

Dopo queste esperienze penso che AlbumArte continuerà la ricerca sulla multimedialità e, tra l’altro, mi sono anche molto divertita!

Come mai Albumarte ha scelto di contribuire alla realizzazione di questo progetto?

Cristina Dinello Cobianchi: perché ho capito che sarebbe potuto essere un progetto, multimediale, articolato, nomade, molto vario nella sua complessità, un progetto pulsante e vivo, come infatti è stato.

Certo, potevamo non farcela, ma tutto è andato benissimo, i progetti, composti da video, performance di danza contemporanea e installazioni sonore, sono stati accolti con curiosità ed entusiasmo, sono piaciuti a un pubblico variegato e a quello molto specifico dei festival, addirittura a quello super esperto dei giorni dell’inaugurazione della Biennale Son.

Oltre alla restituzione artistica, abbiamo tenuto laboratori presso varie comunità, anche disagiate, e siamo riuscite a fare molta formazione, collaborando con accademie, università e collettivi di Napoli, Genova, Torino e Milano.

Il convegno di Torino all’interno del public program, dedicato all’approfondimento della corrispondenza tra gli immaginari onirici raccolti in diverse aree del mondo e al ruolo evocativo dei sogni nella cultura visiva e letteraria, immaginato dall’artista fin da subito, si è rivelato di altissima qualità, con relatori preziosi e autorevoli, che, conoscendo e seguendo da tempo Eva, ci hanno dato fiducia.

Ecco, sentivo fin dall’inizio una spinta a produrlo, naturalmente da sola non ce l’avrei mai fatta, ma la rete che abbiamo creato insieme all’artista attorno al progetto, è stato un sostegno importantissimo.

Cosa rappresenta per Albumarte la partecipazione di questo progetto nelle diverse manifestazioni in programma?

Cristina Dinello Cobianchi: una sperimentazione ben riuscita e ricca di soddisfazioni. Abbiamo lavorato oltre due anni molto intensamente, ma ci siamo aperte a scenari e mondi per noi nuovi, dove ci siamo trovate benissimo.

La Biennale Son è stata un nutrimento personale incredibile e un’occasione di incontri professionali davvero molto interessante in mezzo a dei giganti dell’arte internazionale.

Torinodanza, Interplay, Resistere e Creare e Electropark sono festival importantissimi, dove va il meglio della danza e della musica elettronica europea.

Stiamo per pubblicare un libro sul progetto, di cui abbiamo già fatto il sito dedicato, dal titolo Dreams Archive, con la casa editrice B-r-u-n-o, che stimiamo e con la quale abbiamo lavorato benissimo. Per portare avanti la realizzazione di tutto questo, abbiamo formato team creativi, organizzativi e tecnici, con molti professionisti, molti di più rispetto alle nostre abitudini, con le quali abbiamo prodotto un grande lavoro di squadra.

I musei che ci hanno ospitato, tutti i nostri illustri partner e l’aver vinto per due anni il bando Art Waves di Fondazione Compagnia di San Paolo per la produzione e l’Italian Council (XII edizione) per la partecipazione alla manifestazione Svizzera, hanno senz’altro aumentato l’autorevolezza dei progetti, diffuso bene l’immagine di Eva e, penso, anche la nostra.

Info

Eva Frapiccini Dreamscape | I edizione Biennale Son

  • fino al 12 novembre 2023
    Musée d’Art du Valais, Svizzera

performance Dust of Dream | TorinoDanza

  • 10 ottobre 2023 – ore 19.30 e ore 22.00
  • Fonderie Limoni, Torino
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Daniela Trincia nasce e vive a Roma. Dopo gli studi in storia dell’arte medievale si lascia conquistare dall’arte contemporanea. Cura mostre e collabora con alcune gallerie d’arte. Scrive, online e offline, su delle riviste di arte contemporanea e, dal 2011, collabora con "art a part of cult(ure)". Ama raccontare le periferie romane in bianco e nero, preferibilmente in 35mm.

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