Roberto Bolaño al Cinema. Alicia Scherson ci racconta Il Futuro

Il Futuro, locandina
Il Futuro, locandina

“Il suo nome reale era Giovanni della Croce”. Lo dice lo scrittore cileno Roberto Bolaño nel suo Un romanzetto canaglia a proposito del personaggio di Maciste, un vecchio divo dei B-movies che accoglie nella sua enorme villa a Roma una ragazza, Bianca, da poco orfana dei genitori e con un fratello che sembra prendere una brutta strada per colpa di due strani personaggi. Ora questo racconto diventa un film del circuito indipendente, accolto benissimo alla trascorsa edizione del prestigioso Sundance Film Festival e che esce nelle sale italiane giovedì 19 Settembre con il titolo Il Futuro; la regia è della giovane Alicia Scherson, cilena anche lei e già vincitrice di molti premi, tra cui quello al Tribeca nel 2005 con Play.

A impersonare Maciste, in questo riadattamento cinematografico di Una novelita lumpen, c’è nientemeno che il grande Rutger Hauer (Blade Runner) che, di certo non avrà fondato i carmelitani scalzi come S. Giovanni della Croce, ma che in questo ruolo sembra comunque un mistico, il custode di una via per Bianca, interpretata da Manuela Martelli. Nel cast anche Nicolas Vaporidis, Alessandro Giallocosta, Luigi Ciardo.
Incontro la regista, Alicia Scherson, e le chiedo subito:
Che cos’è per te Il Futuro?

“Non tanto per me, quanto per Bolaño che lo fa dire a Bianca, il futuro è come la stanza di Maciste. I personaggi di questo racconto sono divisi tra un passato tragico e un mondo attuale quasi senza tempo”.

Bolaño ambienta la sua storia a Roma ed è estremamente preciso nel riportare i luoghi della città in cui si svolgono i fatti. Bianca e suo fratello vivono da soli a Trastevere, in P.zza Sidney Sonnino, nei palazzi dai grandi portoni. Nel film la città acquista, da un lato, i colori caldi di una capitale latina, dall’altro i punti di vista della regista trovano visioni di una Roma non solo cullata dal suo passato ma tesa, inquieta, sull’orlo di restituire un mistero.

“Io non conoscevo Roma prima di girare il film ma con la produzione abbiamo deciso di ambientare qui gran parte delle riprese per catturare l’atmosfera suggerita da Bolaño. Nel mio immaginario Roma era quella del grande cinema italiano, Fellini, Monicelli etc. La ho esplorata tenendo in mano il racconto, pieno di sottolineature, per rendermi conto dei posti descritti dall’autore.”

Roberto Bolaño è stato uno scrittore dalla vita avventurosa, celebre per la sua incarcerazione durante il golpe di Pinochet, anche se qualche intellettuale ha smentito la sua effettiva partecipazione ai moti pro Allende. Da qualche tempo anche il cinema latino pare che stia avendo sempre più successo. Da cosa dipende, secondo te, questo improvviso flusso culturale?

“Il Sudamerica, almeno a livello cinematografico, per molto tempo ha sempre imitato l’Europa, poi, ad un tratto, questa è entrata in crisi e da noi si è deciso di voler realizzare qualcosa di diverso, di originale.”

Il Futuro è il frutto di una produzione mista: italiana (Movimento Film), cilena (Jirafa, La Ventura, Astronauta Producciones, Jaleo Films) e tedesca (Pandora Film Produktion).
Alicia, secondo te qual’è il vantaggio dell’incontro di vari produttori e del circuito indipendente in cui tu ti sei mossa da sempre?

“In Cile tutto il cinema è indipendente, il circuito dei festival è il posto più interessante perché è un luogo aperto dove si ascoltano voci diverse. Inoltre trovo normale che varie produzioni si incontrino, è un sistema più moderno, secondo me l’idea di un cinema nazionale è piuttosto antiquata, oggi non è più così. Si è trovato un modo nuovo di fare i film”

Tornando a Il Futuro, è stato difficile adattare il testo letterario alla sceneggiatura?

“La struttura narrativa e i personaggi sono rimasti gli stessi perché Bolaño ha una prosa molto lineare e asciutta. La cosa più difficile è stata rendere l’atmosfera che traspariva dal racconto e per questo sono stata attenta a molti dettagli, sia visivi che sonori.”

Nel suo racconto Bolaño descrive l’impassibilità con cui si svolgono le cose nel mondo, i sentimenti, i rapporti gli uni con gli altri sono univoci, come lo sono le persone. La vita dei suoi personaggi è irrimediabilmente reale, li uniscono non le passioni ma le ambizioni più misere: andare in palestra, credere ai quiz in tv. Ma, in fondo, che non sia questo il segreto per vivere il tutto; non cercare di voler diventare un unicum, un caso fortunato, ma solo lasciarsi trasportare da una beata piattezza. Quella che Bianca vive e che troverà trasformata e arricchita nel suo incontro con Maciste, appassionato di culturismo e di sandwich freddi con le salse, probabilmente molto vicino al vero S. Giovanni della Croce che, con il suo scritto Modo per avere il tutto, ci ricorda:

Per arrivare a sapere tutto
non voler sapere nulla in nulla.
Per arrivare a godere tutto
non voler godere nulla in nulla.
Per arrivare a possedere tutto
non voler possedere nulla in nulla.
Per arrivare a essere tutto
non voler essere nulla in nulla.

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Donato Di Pelino (Roma, 1987) è avvocato specializzato nel Diritto d’autore e proprietà intellettuale. Scrive di arte contemporanea e si occupa di poesia e musica. È tra i fondatori dell’associazione Mossa, residenza per la promozione dell’arte contemporanea a Genova. Le sue poesie sono state pubblicate in: antologia Premio Mario Luzi (2012), quaderni del Laboratorio Contumaciale di Tomaso Binga (2012), I poeti incontrano la Costituzione (Futura Editrice, 2017). Collabora con i suoi testi nell’organizzazione di eventi con vari artist run space.

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