Più Libri Più Liberi #18. Enrico Mentana, Marco Damilano, il Referendum ed il ruolo delle televisioni

Enrico Mentana - Marco Damilano - foto Piero Bonacci

Vederlo dal vivo, su una poltrona, e non impegnato a condurre un dibattito o una maratona televisiva è un po’ strano. Lui stesso, sorridendo, fa una battuta al riguardo. Enrico Mentana, classe XXX, è ormai un’istituzione nel giornalismo televisivo nostrano, come sottolinea da subito Marco Damilano, vicedirettore di L’Espresso. E anche in occasione del referendum non ha fatto eccezione. Questo voto è stato diverso dai precedenti che erano stati più “relegati” e circoscritti agli addetti ai lavori. Dopo tanto tempo i cittadini italiani si sono ritrovati a partecipare in modo arrivo ad un vero e proprio racconto popolare e uno dei primi ad intuire le potenzialità di tutto ciò è stato proprio il direttore di La7.
Lo hanno dimostrato i numerosi incontri, all’inizio in prima poi in seconda serata, fino alla maratona la notte tra il 4 e il 5 dicembre.

La campagna referendaria è stata innegabilmente accanita, sfiorando spesso le soglie del ridicolo – e a tal proposito Mentana non può esimersi dal citare la bufala delle matite – ma il racconto giornalistico come ne esce da tutto questo?
Mentana non ha alcun dubbio sul fatto che il racconto giornalistico segua il filo d’acqua, limitandosi a riportare qualcosa che già c’è e che non viene creato dal nulla.
Nel caso del referendum, la spregiudicatezza della sfida renziana – “O vinco o lascio la politica”- non poteva che suscitare risposte altrettanto spregiudicate da parte delle opposizioni.
L’unico punto di accordo che probabilmente c’è stato tra i diversi schieramenti è stata la piena consapevolezza che non si trattasse solo di un referendum, ma anche di un plebiscito.
Dopo giugno poi, quando quelli che sarebbero diventati i futuri comitati del No protestavano perché non si parlava abbastanza del referendum nei media, la questione è letteralmente esplosa nelle reti televisive.
Sognavo l’incontro Renzi – Di Battista” confessa Mentana, spiegando che “non c’è nulla di più bello del raccontare lo scontro quando questo diventa tutto. C’era tutto e tutto potevamo raccontare”. Ma il vero racconto secondo il giornalista è stato quello del progressivo ribaltamento di Renzi, il quale è arrivato ad essere considerato non soltanto inadatto a ricoprire il ruolo di leader, ma persino antipatico.

E appunto, quel plebiscito che ha spinto un numero così elevato di italiani alle cabine elettorali il 4 dicembre, si è basato proprio sulla simpatia nei confronti dell’ex premier.
La verità che ormai è sotto gli occhi di tutti – e che forse lo era già qualche giorno prima del 4 dicembre stesso, soprattutto sotto quelli di Renzi – è che l’ex presidente del consiglio ha perso tanto il referendum quanto il plebiscito. Se per mesi siamo stati abituati a pensare e ad essere letteralmente bombardati dal bipolarismo Sì – No, ora questo sistema sfocia nella schizofrenia più totale che si paleserà soprattutto con la campagna elettorale delle prossime elezioni.

Ma cosa ne sarà ora di Matteo Renzi? Mentana non crede che si ritirerà dalla politica. Un po’ perché parte dell’elettorato ne ha comunque riconosciuto in qualche modo il valore, ancor più dopo le dimissioni, un po’ perché il PD senza Renzi conoscerebbe un vuoto di leadership senza precedenti.
La scelta migliore, per ora, dovrebbe essere quella di farsi dimenticare per un po’: “Non ho mai visto nessuno che risultava simpatico ma divenuto antipatico, tornare simpatico restando in scena” spiega Mentana, aggiungendo che “bisogna farsi dimenticare per farsi rimpiangere”.
L’errore commesso da Renzi ha avuto inizio l’8 dicembre 2013, quando ha scelto di approdare al governo senza passare per le elezioni dopo che lui stesso aveva sempre dichiarato che non avrebbe mai accettato di diventare premier senza l’approvazione dell’elettorato italiano. E la situazione è peggiorata con il clima di costante sfida che ha alimentato giorno dopo giorno, per dare l’idea di mettersi in gioco. Ma questa sfida non era tanto con le opposizioni quanto con se stesso. In molti hanno rimproverato a Renzi l’essersi seduto al tavolo delle trattative al Nazareno, ma Mentana spiega che il patto del Nazareno è stato il patto ideale per lui e romperlo, “per bullismo puro” sostiene il giornalista, favorendo Mattarella come presidente della Repubblica, ha fatto crollare l’unica alleanza che gli avrebbe potuto garantire il governo. Berlusconi è un personaggio che sa ancora oggi avere un certo rilievo: il patto del Nazareno avrebbe potuto tenere a bada la Lega di Salvini, come era già accaduto in passato con la Lega di Maroni e di Bossi, in occasione del referendum.

Dopo quest’analisi appassionata, non priva di parentesi ironiche, Marco Damilano ricorda al collega che lo scorso anno tutti i leader dei principali partiti italiani avevano decretato la crisi della televisione italiana, di quella televisione che si occupava di narrare la politica italiana. Questo perché, secondo loro, nei talk show e nelle trasmissioni apposite veniva proposto un racconto che non rappresentava la realtà. Ma negli ultimi mesi c’è stata una sorta di rivincita: il referendum ha riportato il dibattito politico nelle case dei cittadini e al centro dei discorsi delle persone. E il ruolo della televisione in tale senso è stato fondamentale.  “La gente in questo caos cerca una bussola” spiega Mentana.
E si serve di una duplice metafora. Da un lato la televisione è stata come la cucina a vista in un ristorante, dove avere la possibilità di guardare le cose in corso d’opera è rassicurante, dall’altra ha soddisfatto la necessità del popolo di avere un punto di riferimento, un ancora, un cantastorie al quale porgere orecchie ed impegno . Le elezioni ormai si giocano e si svolgono tutte in televisione: “Attenzione però, questo non significa che le faccia la televisione” specifica Mentana.

C’è quindi stato un effettivo ritorno degli italiani alla politica, il referendum ha davvero riacceso in qualche modo l’interesse verso le istituzioni e l’audience televisivo ne ha subito gli effetti. Di sicuro però gli ascolti non sono ai livelli del 2013 o in generale ai tempi dell’ultimo Berlusconi, quando si intuiva che qualcosa si stava smuovendo, quando si respirava quell’aria di cambiamento. Ora invece si capisce chiaramente che non siamo ancora arrivati allo scontro finale: questi sono stati soltanto “i quarti di finale”. Si giocherà tutto con le prossime primarie, ma anche in quel caso il ruolo dei talk show, nonostante il rinnovato interesse dell’elettorato italiano, sarà destinato a rimanere piuttosto marginale. “Il che, da dentro” conclude Enrico Mentana sorridendo “lasciatemi dire che forse non è un male”.

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Nata e cresciuta a Roma dove si è laureata in Lettere alla Sapienza per poi specializzarsi in Editoria e Scrittura con una tesi sul giornalismo corsaro di Pier Paolo Pasolini. Appassionata di letteratura e giornalismo, di cinema e moda, sogna di scrivere per vivere. Per ora si accontenta di vivere per scrivere.

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