Sembra non esaurirsi mai la voglia di vederli in carne ossa. Gli eroi del giallo italiano o per dirla come molti degli stessi autori amano definirsi, del “noir metropolitano”, – costola del giallo – trovano spazio inesauribile sul medium televisvo. Una tracimazione che non conosce crisi quella che da Lucarelli a De Cataldo, da Manzini all’inevitabile Saviano, oltre all’eterno Camilleri fa sì che dall’apripista Montalbano all’Ispettore Coliandro e, sulla scia, il Libanese, Rocco Schiavone, il barista e gli avventori del BarLume, prima o poi una adattamento ci scappi per tutti.
La logica del giallo prevede un intreccio drammatico di grande impatto, il noir metropolitano impone ritmi serrati. Da strada. Appunto. Una regola da cui si emancipa parzialmente Maurizio de Giovanni, abbinando agli scenari urbani de I bastardi di Pizzofalcone – Napoli è lì, coi suoi panorami da cartolina e il sottobosco angusto e criminale – un arcipelago di storie e umanità nel segno dell’introspezione. E è proprio qui che la serie Tv (RAI 1) si scollega dai romanzi. Una serie povera, da qualunque angolazione la si osservi: l’action che non c’è e la psicologia che latita. Le cause? Molteplici. Direzione attori prossima allo zero. I personaggi sono monocromo. Abbozzati, a dire tanto. Gli interpreti languono, ripetono battute senza sapore, sarà forse per questo che hanno sempre un’espressione desolatamente vaga. Sembrano essere i primi a non crederci. Suspance e ritmo neppure vagamente tentati. La regia rimanda involontariamente a quei filmini amatoriali in cui si passa dalla camera fissa al piano sequenza senza particolare ragione sul piano narrativo. Una fotografia monotona e virata ostinatamente su un fastidioso e inutile giallo-oro. Non curante dei cambi scena, sottotesti e atmosfere. Pesanti piani americani. Statici e ripetitivi fino alla noia. Ma peggio ancora certi tagli. Stringe, accanendosi sul viso. Inquadratura strettissima del volto della bella cameriera. Stacco, particolare dell’occhio che forzatamente dovrebbe esprimere gioia. Controcampo del giovane poliziotto che la corteggia a cui lei sorride. E non si può neppure parlare di estetica del montaggio anni 80. Non ci facciamo mancare nulla, compreso le dissolvenze. Dissolvenze?! E rallenty. Utili, si fa per dire, per sottolineare i momenti d’infelicità.
Gli interpreti, dicevamo, Al centro della scena c’è lui. Alessandro Gassman che va riconosciuto, ce la mette tutta. Ma proprio non ci riesce mai. Mitraglia ogni battuta. Stesso tono. Stesso ritmo. Si prende una vacanza da se stesso solo nella scena in cui parla alla figlia via skype. Resta il mistero: ma neppure da lontano, Gassman può somigliare a un cinese. Soprannome che senza eccessivi sforzi creativi dovrebbe alludere agli occhi a mandorla così come immaginato da Maurizio de Giovanni. I dialoghi non aumentano la drammaticità, e presto, se non quasi subito, ti domandi quanto manchi alla fine. Una fine che però sembra non arrivare mai, l’agonia prosegue punteggiata da una colonna sonora che non sa di niente. Oscillante tristemente tra l’anonimato e l’incertezza. Al netto degli ascolti che stanno premiando la serie, quelli di Pizzofalcone più che i Bastardi sono gli Inutili.
Info: I bastardi di Pizzofalcone è una serie televisiva italiana, diretta da Carlo Carlei, trasmessa dal 9 gennaio 2017 su Rai 1. Gli episodi sono tratti da una serie di romanzi iniziata con I bastardi di Pizzofalcone (2013) di Maurizio De Giovanni.
Pier Luigi Manieri, curatore di eventi, scrittore, saggista e cultore della materia cinematografica. Ha dato alle stampe l'antologia di racconti spy, horror, sci fi, urban fantasy e a tematica supereroistica "Roma Special effects -di vampiri mutanti supereroi e altre storie" (PS ed.) e la monografia "La Regia di Frontiera di John Carpenter "( Elara). D'imminente pubblicazione il saggio "Le Guerre Stellari - Ovvero, la space opera cine televisiva da Lucas ad oggi" contenuta nel volume "Effetti Collaterali – la fantascienza tra letteratura, cinema e TV" (Elara). Ha all'attivo centinaia di articoli su diverse testate di settore. Esperto d'immaginario e sottoculture di genere, ha curato il volume, "Il Tuo capitolo finale" dedicato a Sherlock Holmes. È autore e regista dei reading video musicali “Iconico & Fantastico” e "Il cinema del telfoni bianchi". Ha ideato e curato eventi come Urania: stregati dalla Luna, Il cinema italiano al tempo della Dolce Vita, Effetti Speciali, MassArt, Radar-esploratori dell’immaginario.
Eppure mi permetto di dissentire e di guardare la fiction da un altro punto di vista.
Ad esempio quello attoriale. Confrontiamo, ad esempio, le varie fiction italiane con questa. Sembra essere l’unica dove la recitazione va oltre lo scambio di battute fra il panettiere e la casalinga tanto caro a fiction come “Un posto al sole” o a “La Squadra”, “Provaci ancora Prof.” e le mille altre che ci vengono propinate ogni giorno e che scambiano il linguaggio comune col linguaggio ipersemplificato che neanche le commesse di Risparmio Casa; o che credono che per essere vicini alla gente debbono interpretarla come se fosse stupida.
Ecco, tutto questo ne “I bastardi di Pizzofalcone” non c’è. Gli attori recitano e le “macchiette” sono contenute a scene con caratteristi. Certo, alcuni dei protagonisti recitano meno bene di altri, ma certo non li si può accusare di essere la caricatura di sé stessi come invece accade in Montalbano (Montalbano, compreso, ormai) o è accaduto nel “rude” (ma per chi? Per chi è abituato all’acqua e zucchero della televisione? Per chi non ha mai letto un libro?) commissario interpretato da Giallini fra le nevi della Val d’Aosta. Anche lui caricaturale e circondato da attori mediocri e da un testo che forse era peggio della sceneggiatura?
A me De Giovanni non è mai piaciuto molto, ma in veste di sceneggiatore trovo che abbia scelto di non assecondare poi troppo la parte “romanzo” dei suoi gialli e di provare a smetterla con le abitudini banalizzanti della fiction italiana.
Certo, lo sappiamo che non riusciamo neanche a pensare una sceneggiatura e un montaggio in stile americano, che non potremo mai essere in grado neanche di avvicinarci ad una delle più statiche serie storiche come, che so, NCIS, che in Italia intendiamo il ritmo e la caratterizzazione in una maniera che è lontana anni luce sia dal cinema che (persino!) dai tempi del teatro.
Ma “I bastardi di Pizzofalcone” quanto meno non ci prova neanche, si concentra sulle relazioni fra personaggi, ha delle soluzioni a volte sciocche, ma il più delle volte possibili e che fanno apparire il genere umano qualche gradino più evoluto della scimmia che invece viene rappresentata altrove.
E la Napoli che si vede non è da cartolina. È una Napoli nella quale ho vissuto e che riconosco con i suoi splendori e non solo. Una Napoli che non per forza deve parlare di “gomorra”, di Scampia e dell’orrore.
Sono scelte di contenuto. Non tutti siamo nati per fare denuncia, c’è anche chi nasce per evidenziare il bello.
Sì, certo, c’è un po’ di “pruderie” nel gioco delle donne lesbiche. Lo dicono in molti, anche l’ex Ministro Lupi. Ma la “pruderie” e lo scandalo sono negli occhi di chi guarda. Nella mente di chi racconta, magari c’è il desiderio di parlare dell’amore, almeno una volta, senza stereotipi, senza schemi di ruoli. Insomma le storie nascono, crescono e finiscono al di là del genere e questo mi pare sia il caso di incominciare a farlo presente, anzi di martellarlo nella testa della gente.
E poi ci sarebbe anche altro da indagare e da provare a guardare da altri punti di vista. Perchè ce ne sono a decine e non vale la pena perderne neanche uno.
A me, personalmente, è piaciuta.
Non sarà stata il massimo come prova attoriale, e la regia potrà essere anche traballante e la fotografia sciapita, ma ha una caratteristica fondamentale per la prima serata di RAI1, è rassicurante.
Tu già sai che finirà bene, che i buoni vinceranno, che il commissariato alla fine non verrà chiuso e che tutti (o quasi) si ameranno.
Questo permette allo spettatore di rilassarsi dopo una giornata di lavoro.
Per me è promossa!
Sinceramente concordo con l’autore Manieri in tutto. Peccato anche per Gasman, sempre troppo “ingessato”. Bella fotografia, però…