Mana nel MAAM. L’opera site-specific di Francesca Mariani tesse un filo rosso di relazioni

Mana

Sono venuto a contatto con la realtà di Metropoliz quasi per caso in seguito alla visione di Space Metropoliz a cura di Giorgio De Finis e Fabrizio Boni lo scorso 3 marzo nello spazio del CAE (città dell’Altra Economia) nel quartiere di Testaccio a Roma.

Il film è ambientato in una dismessa fabbrica di salumi della Fiorucci ed in un’ ex concessionaria di auto, siti in via Prenestina 911-913 di cui art a part of cul(ture) si è altre volte interessata.
L’occupazione del 27 marzo 2009 ad opera dei BPM (Blocchi precari metropolitani) ha preso il nome di Metropoliz città meticcia e l’associazione onlus Popìca ha aiutato a trovare i fondi per la costruzione delle case.
Attualmente vi convivono circa sessanta famiglie provenienti da etnie, tradizioni e culture diverse: italiani, rumeni, ucraini, peruviani, tunisini ed eritrei.
L’organizzazione è affidata ad un’assemblea settimanale durante la quale questa variegata comunità si autogestisce.
Nel documentario viene tessuta una potente metafora narrativa, concretizzata in pratiche artistiche di tipo installativo o figurativo che prospettano una possibile soluzione lunare o extraterrestre (razzi, scenari lunari, telescopi, forme di vita aliena) all’emergenza abitativa che attanaglia ampi spazi di popolazione alla periferia di Roma.

In concomitanza e sempre sotto la supervisione di Giorgio de Finis, si è voluto costruire in maniera efficace e coinvolgente, all’interno di questo spazio, un museo: il MAAM_Museo dell’altro e dell’Altrove. Lo si è voluto intendere come presidio d’avanguardia stabile e duraturo a difesa e riqualificazione di questo esperimento sociale.
In questo museo sui generis convergono, coabitano esse stesse e cortocircuitano in maniera ridondante e abbacinante per quantità e qualità, le più avanzate forme di arte e street-art.
Interventi artistici e vita comune si intersecano e si confondono.

Durante la visita al luogo, la mia attenzione è stata catturata dall’installazione site-specific MANA del dicembre 2013 (per l’evento Extra-ordinary Day di Michelangelo Pistoletto) dell’artista e illustratrice Francesca Mariani (nata ad Ascoli Piceno nel 1981, attualmente vive a Roma ma il suo spirito è itinerante) che ne spiega la nascita dalla volontà di prendere ispirazione dai suoi studi antropologici. Difatti è caratteristico di questo intervento artistico un approccio interdisciplinare e sincretico di fusione tra culture differenti che lavora sul crinale tra antropologia ed arte.
La resa d’allestimento consiste in oggetti-simbolo donati dagli abitanti su richiesta dell’artista, custoditi in barattoli di vetro disposti in alcune cassette di frutta riciclate
appese al muro a forma di dispensa.

Il lavoro prende le mosse da una precedente installazione site-specific nell’ambito della mostra personale FrAgile presso L’EternautaHulahoop nella primavera del 2013. In quel caso in fila su una mensola una serie di “barattoli per collezionare Aria”, un’opera dagli echi duchampiani, “seguendo un ironico gioco di parole legato al concetto di aria, contengono vari oggetti-simbolo, singolari e al contempo universali, catalogati ed etichettati in base ad una numerazione e un titolo”.

Sulla scia di quel precedente, questa volta l’artista si muove come una vera e propria antropologa in un’ indagine di ricerca sul campo ed entrando fisicamente (oltrepassando la soglia delle case) in quella realtà multiforme e cangiante (perché continuamente e instabilmente sottoposta a flussi migratori), tenta di catturarla in quei barattoli di vetro instaurando una relazione forte con gli abitanti del luogo. La “labirinto-mappa” generata individua delle geometrie esistenziali per loro natura fortemente sfuggenti, ora cristallizzate in una struttura stabile, esteriormente fredda per disposizione ma che invece, in quanto rappresentazione simbolica dell’intimità domestica, emana calore umano. Attraverso il delinearsi di una deriva fatta di percorsi casuali e fortuiti proposti dai metropoliziani, Francesca nelle sue visite in loco ha riannodato il filo rosso di relazioni interpersonali che li lega in ben consolidate catene di solidarietà.
Come affermato dall’artista, le tematiche a cui si è dedicata nelle sue ultime installazioni sono state la casa e la città ed infatti i barattoli sono la trasposizione simbolica e architettonica delle stesse case di Metropoliz. Come in un gioco di scatole cinesi e seguendo la matrice concettuale della matrioška, all’interno di cassette del mercato rigenerate e pitturate, i barattoli nella loro fragilità e trasparenza espongono allo sguardo esterno e al contempo proteggono questi doni extra-ordinari, simulando i rifugi precari di coloro che li hanno donati e in generale la precarietà esistenziale umana.

Il fine ultimo è rappresentare l’aura simbolica, una piccola rivelazione di sé da parte di coloro che hanno partecipato all’installazione e creare così un movimento di reciprocità con l’Altro. A questo fa rifermento il titolo Mana, termine melanesiano che esprime la potenza vitale e spirituale immanente all’oggetto donato, permanentemente legato al donatore e carico di valenza simbolica.
Il concetto di dono rituale simbolico, il Kula, principalmente bracciali o collane, è stato analizzato dall’antropologo Malinowski nel libro Gli Argonauti del Pacifico Occidentale pubblicato nel 1922. Tale analisi costituiva il risultato di una ricerca sul campo condotta nelle Isole Trobriand della Papua Nuova Guinea nel decennio precedente alla pubblicazione. Tale pratica era uno strumento per rinsaldare forme sociali di solidarietà tra comunità differenti.

Sono molteplici i riferimenti alla storia dell’arte che si dipanano da questa operazione concettuale.
In primis la tradizione delle Wunderkammern. Il fenomeno delle Wunderkammern o Camere delle Meraviglie o Gabinetto delle Meraviglie, risale al Rinascimento europeo e si esaurisce solo a Settecento inoltrato. Scienziati e farmacisti o anche principi erano soliti raggruppare in enormi stanze ogni possibile genere di oggetto che fosse considerato “esotico” (con una valenza di relazione con oggetti altri, tipicamente antropologica) come conchiglie, fossili, minerali, insetti o anche ossa. Ogni oggetto rappresenta un “sé” che si attiva solo in connessione con “l’Altro” e lo stupore è il risultato dell’insieme causale/casuale di oggetti apparentemente estrapolati da un contesto ma che generano un nuovo universo di significato dal solo fatto di essere accostati.

L’enorme, confusa, fagocitante mole di oggetti poteva essere stipata in maniera casuale in una stanza fino ad essere attaccata al soffitto oppure essere adagiata in scaffali con teche di vetro o barattoli dal contenuto liquido. Questo allestimento trova molti punti di contatto con l’installazione presa in esame. Tuttavia, mentre Adalgisa Lugli, studiosa che ha avuto il merito di riscoprire e trasformare le Wunderkammern in categoria concettuale le ha definite “il luogo della non scelta”, qui la scelta è ben mirata a rappresentare visivamente l’aggregazione reale tra individui di provenienza sociale e culturale differente. Anzi c’è la volontà di un’interazione su scala più ampia che vada a coinvolgere gli abitanti tra loro, l’abitante con l’artista, gli altri artisti e i visitatori-ospiti. La parola greca ξένος ci ricorda che il significato di straniero coincide con quello di ospite, condizione che appartiene a tutti colori che entrano a Metropoliz.
Un altro possibile raccordo è individuabile nelle opere del surrealista per adozione Joseph Cornell: in “Senza titolo farmacia” del 1942 flaconi con sabbie colorate, perline e rotoli di carta sono collocati su scaffali ad evidenziare differenti aree del mondo naturale, minerale o vegetale.

Ad alimentare la carica suggestiva di tale dispositivo artistico atto a suscitare nei confronti dello spettatore un senso di meraviglia, Francesca Mariani in collaborazione con Patrizio D’Amico ha voluto associarvi un libricino autoprodotto, rilegato a mano e site-specific esso stesso. In sintonia con il senso generale di profonda connessione tra il MAAM e il Metropoliz, il libro riunisce titoli e frasi poetiche associate a frammenti di paesaggi. Scatti fotografici, interni a Metropoliz, da cui vengono isolati dei dettagli attraverso un intervento pittorico bianco di cancellazione che ri-vela nuove possibilità di concentrazione visiva.
Un  invito a mobilitare lo sguardo verso nuove direzioni.
La definizione di particolari apre la percezione deduttivamente dal particolare all’universale e viceversa.

Fertile è la situazione di crescita del MAAM all’interno del Metropoliz che come in un ἄπειρον è ancora lontano dal sapere che strada prenderà, ma “la strada si fa con l’andare”.

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Tiziano Tancredi (Roma, 1989) si è laureato con una tesi specialistica in storia dell'Arte contemporanea presso l'Università “La Sapienza” nel 2017. Come critico e curatore si occupa di arte contemporanea di tipo figurativo e pittorico e di quel vasto campo di interessi che abbraccia diversi crinali tematici afferenti alle sfere dell'arte pubblica, dell'arte urbana e della street-art. In seguito alla vittoria del bando Torno Subito, dopo aver lavorato per sei mesi a Parigi presso l'agenzia-libreria Le Grand Jeu, sta attualmente svolgendo un tirocinio presso l'associazione culturale Kill The Pig a Roma.

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