Di Balthus

Balthus, La patience solitaire, 1943

“L’Atelier è il luogo del lavoro e anche della fatica. Il Luogo del mestiere. Nella mia vita è essenziale. E’ lì che mi raccolgo, come in un luogo di illuminazione nella lentezza del suo tempo”.

Così scrive nel 2000 Balthazar Michel Klossowski de Rola, in arte Balthus, nato a Parigi nel 1908 da una nobile famiglia di origine Polacca.

L’allestimento curato dalla Conservatrice Cécile Debray del Musée National d’Art Moderne – Centre Pompidou, ha inaugurato a Roma in ottobre, e si concluderà il 31 gennaio, dividendosi fra due sedi: le Scuderie del Quirinale e Villa Medici.

Balthus ha vissuto a Roma come direttore dell’Accademia di Francia, per più di sedici anni e qui aveva il suo atelier; la mostra ha per questo un valore storico biografico molto alto, dato dal senso dell’Italia per la sua pittura – i paesaggi agricoli, gli studi sui maestri del Rinascimento, la vita -, e dal fatto che questi capolavori ritornano per la prima volta esattamente lì dove sono stati pensati e dipinti. Ritrovando quindi quella precisa luce, di quella precisa storia che li ha prodotti. Una densità atmosferica incamerata da questo cono storico amplissimo, come una vibrazione che ridetermina, fosse possibile, persino la bellezza della pittura stessa, lì, nel luogo dove è nata; che come amava dire Balthus: solo questa esiste, non esiste il pittore.

L’Accademia di Francia si affaccia su Trinità dei Monti e nell’economia della retrospettiva il suo spazio pesa. Pesa e agisce. Poiché negli anni del direttorato balthusiano questa fu sottoposta a un lavoro di decisivo rinnovamento per opera espressa del pittore, e che oggi viene ripresentato in un lavoro di restauro che ha visto coinvolto anche il Ministero dei beni culturali italiano. Nell’apice di quell’ambiente specialissimo La Camera Turca è  uno degli spazi più pittoreschi dell’edificio, raffigurato proprio nell’omonimo quadro in cui posa la sua ultima moglie, la giapponese Setsuko e che apre l’allestimento mediceo.

La Villa si innalza a lato del collegio del Sacro Cuore, con la sua Chiesa, lungo la passeggiata che lambisce il parco monumentale di Villa Borghese; dalle sue finestre la città, attutita da quell’altezza e da questa membrana di verde, si spartisce insieme al cielo in due masse di materia differenti che si riversano verso l’interno ininterrottamente. Ambienti continuamente esposti a ogni possibile variare di luce, luce che rileva la forma, centro della poetica di Balthus, ovvero la volontà primaria della sua pittura che altro non è, per lui, se non il dipingere luce e forma. E’ questo il luogo dove lui ha vissuto e operato. La Villa.

Sebbene alle Scuderie le tele fondamentali della sua intera produzione aprano questo denso tour, infilando in uno spazio quasi ellittico successioni di opere fondamentali, e fin da subito – con La Rue del Moma di New York, La Patience, La Toilette de CathyLe Chat de La Mediterranée, fino all’esplodere definitivo della tensione nella grandissima tela La Chambre, del 1954, che chiude come fosse un manifesto l’esposizione della prima sala del primo piano – tuttavia, resta l’Accademia di Francia il culmine lirico di questo doppio allestimento: per il valore simbolico che questa ha; è evocata, proprio l’Accademia, in un passaggio metaforico nella tela conclusiva,  all’ultimo piano delle Scuderie, raffigurante il pittore nel suo atelier – Le Peintre et son modéle.

Ora.

E’ difficile avvicinare Balthus, a causa di una scabrosità che si regge sul filo, e mai definitivamente risolta; ed è facile farlo, andargli incontro, per via di una dichiarata appartenenza di se stesso ai grandi del quattrocento italiano: Piero della Francesca e Masaccio; di cui imita, in una sorta di parodia, le tavole e che continuamente riaffiorano nella impostazione di uno spazio razionale, espressamente sorretto dalla logica matematica chiara, di quel classicismo in cui noi italiani abbiamo confidenza, e che inquadra spazi reali – le sue camere – eppure sospesi e abitati da ogni sorta di ambiguità, che riposa nell’indifferenza quasi tassativa con cui vi si manifesta. E con cui dichiaratamente ci interroga, guardandoci. Negli occhi stessi dei suoi quadri, quelli delle giovanissime adolescenti, solitarie, bambine, così come è stato nella pittura Balthus. Solo.

In questo equilibrio, che in realtà si compone divergendo, e che si offre in un registro risolutamente figurativo, quando in quel momento la pittura lo abbandonava per entrare nella grande stagione dell’informale, il suo testo pittorico tiene dentro Khnopff, Hodler, Bacon, De Chirico, Hopper, Morandi e a ritroso fino a voler evocare il sintetismo e perfino i temi cari a Gauguin, con quel linearismo chiuso, di ascendenza Nabis, appreso forse per via del padre, egli stesso pittore, ma che si compie nella costruzione di volumi secondo la grande lezione cezanniana; il tutto, ancora, nel contenuto di un’esplicita inquietudine che scava, restituendo capitoli di poetica e affinità simbolista e surrealista, che lega l’immagine a una sorta di sogno vigile, dato nelle pose scomposte e ripetute di figure femminili assorte. Figure acerbe, nelle loro stanze, accompagnate spesso da un gatto o uno specchio, con cui si scrutano nella loro nudità, data nel riflesso del loro stesso sguardo intento, che ci considera o esclude, a seconda, e che disorienta e confonde; ma colte tutte nella fermezza di spazi scenici chiusi, di luoghi noti, tangibili, stabili che seppure ancorati al vero si sospendono dalla realtà. Stranamente. Spazi fatti della purezza di questo silenzio, che è si una geometria, ma è pervasa di un suo sottile e indicibile mistero. I corpi e luoghi quasi solidificati, intrappolati insieme, nell’immersione di quel pulviscolo minerale, dato dalla particolare tecnica che il pittore a un certo punto adotta, per dare ai suoi quadri la consistenza effettiva di un affresco.

Blathus è un artista con una vita lunghissima. Il gatto nei suoi quadri è la personificazione di se stesso.

Info mostra

  • Balthus la retrospettiva
  • A cura di Cécile Debray, curatrice del Musée National d’Art Moderne/Centre Pompidou
  • Scuderie del Quirinale e Villa Medici, Roma
  • 24 ottobre 2015 – 31 gennaio 2016
  • www.scuderiequirinale.it
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Vive a Roma, specialista in Storia e Arte Contemporanea presso la Sapienza di Roma, ha conseguito un master e attualmente si occupa di progettazione europea nell’ambito del sottoprogramma cultura, con specifiche competenze nel programma “Creative Europe”. Ha collaborato ad alcune riviste culturali, scritto saltuariamente di politica per alcune testate on line.

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