Dai binari dell’Ex Dogana un treno chiamato Moda: sfilate, performance, designer, artisti e idee.

Una Burke

Se mi avessero bendata e poi portata alle sfilate di AltaRoma di questo gennaio, mai avrei detto che si trattasse di Roma. I rumori dello scalo ferroviario del quartiere San Lorenzo, il cielo plumbeo d’inverno, e soprattutto gli spazi dei magazzini dell’Ex Dogana, hanno dato un non so che di avanguardismo, un sapore da berliner all’ultima settimana della moda capitolina appena conclusa. Il vento di cambiamento, che tutti aspettavano sin dall’insediamento del nuovo CdA lo scorso Luglio, è arrivato e ha scomposto le abitudini della manifestazione, le opinioni degli addetti ai lavori, le reazioni del pubblico, mescolandole come foglie al vento e regalando una quattro giorni intensa. E se alcuni hanno pensato che la scelta della location fosse stato un errore, il risultato ha dato prova del contrario. Grandi nomi e young designer hanno scelto di condividere le nuove scelte del gruppo presieduto da Silvia Venturini Fendi, dimostrando che la moda della e nella Capitale ha ancora una lunga strada da percorrere. La crepa che in molti hanno interpretato come la rottura di un sistema consolidato e routinario, si è trasformata in un passaggio.

Sfuggente, forse, aleatoria, probabilmente, enfatica senza alcun dubbio, la Moda – anche quella romana – è sempre più espressione d’Arte. E se prima il concetto di estetica si preoccupava unicamente della ideazione realizzazione e conseguente fruizione delle opere d’arte, oggi questa si è capillarizzata e ha contagiato positivamente il sistema moda al punto da creare non solo sinergie tra artisti e designer, ma da influenzare entrambe le parti al punto di confondere l’una nell’altra. Nell’incontro vivo dell’espressione statica si sublima il lavoro degli stilisti che fanno del prodotto un’opera. Laddove all’occhio sfugge la praticità e la vestibilità di un capo o un accessorio ecco subentrare il fascino magnetico della sua lavorazione e costruzione. Ad AltaRoma è accaduto questo. Sul pavimento ruvido dei magazzini dell’Ex Dogana i big e i giovani hanno rinunciato alla passerella tradizionale per giocare a contrasti mai visti prima in città. Renato Balestra con le sue ispirazioni alle statue elleniche, Luigi Borbone che ha tratto ispirazione dalle Korai greche, o Greta Boldini, che a tempo di Wagner accompagna tabeaux vivants della propria collezione.

Ma è A.I. – Artisanal Intelligence a realizzare ciò che la passerella può solo fugacemente suggerire. Le istallazioni dialogano sul rapporto tra corpo e abito – “Body for the Dress” il titolo della rassegna di questa stagione -, e si traducono nel coinvolgimento di nove designer e tre artisti. Accanto alle donne guerriere di Sadie Clayton e alle texture di Ladina Steinegger , riconosciamo i bustier-corazza in pelle e cuoio di Úna Burke – che i più hanno ammirato addosso a Madonna o a Lady Gaga – e la borse di Pugnetti Parma, figlie dell’antica tradizione modellistica anni ’50 rinate attraverso il lavoro di Filippo Pugnetti. Brand ricercati che condividono lo spazio di uno dei magazzini della dogana sanlorenzina insieme alle installazioni di Paolo Roberto D’Alia, Sacha Turchi e Thomas De Falco. Quest’ultimo colpisce con la sua opera, ispirata all’immagine originaria dell’abito, che si estende immaginariamente e fisicamente attraverso 8 metri di tessuto e filato prevalentemente bianco e qualcuno rosso, in un continuum senza tempo spazio, senza mode. Già fotografato alla Triennale di Milano e indossato da Benedetta Barzini per una performance nel 2013, “Abito rosso abito qui” – il titolo del lavoro disegnato da De Falco e cucito da Paolo Di Landro – si fa per un istante bandiera di questa edizione di AltaRoma, riuscendo a concentrare l’estetica dell’arte e il bisogno della moda primordiale, qui si compie l’incontro, da qui ha inizio tutto, da qui comincia e ri-comincia Roma.

 

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Se dovessi pensare a me, mi immaginerei in una sala bianca, col pavimento di legno, circondata di libri, pile di riviste e giornali sul tavolo e un portatile aperto davanti agli occhi, intenta a seguire il filo del discorso di un articolo che non vuole riuscire. Sarebbe un’immagine perfetta, che camufferebbe le folli corse di una giornalista trentenne prestata agli uffici stampa - per esigenza o per passione? - da sempre appassionata di letteratura, teatro, cinema, moda e arte. Se non avessi saputo scrivere non so chi sarei oggi, ma ripensando a ciò che scrisse Marinetti, dopotutto “l'arte è per noi inseparabile dalla vita”.

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