Casa Morra. Intervista a Peppe Morra

Instancabile, promotore culturale, mecenate, collezionista d’eccezione, appassionato signore dell’arte, Peppe Morra non smette di stupire. Dal 1973, anno della fondazione della sua galleria di via Calabritto a Napoli, Studio Morra, al 2008, anno in cui fonda in un ex centralina elettrica di salita Pontecorvo lo strepitoso Museo Archivio Laboratorio del maestro dell’Azionismo Viennese, Hermann Nitsch. Nel 1991 costituisce la Fondazione Morra, Istituto di Scienze delle comunicazioni visive e nel 2006 lancia il progetto di riqualificazione urbana attraverso l’arte, il Quartiere dell’arte, in una delle zone abbandonate e degradate della città di Napoli nel Quartiere Avvocata.
Passione e spinta utopistica, muovono le sue scelte; afferma, con tenace convinzione:

“Io credo che il fulcro della riqualificazione urbana possa essere la cultura”.

Anche questo nuovo progetto, Casa Morra, inaugurato a Palazzo Ayerbo D’Aragona Cassano, è sospinto dalla stessa passione e dalla medesima visione. Un complesso di 4.200 mq che sarà gradualmente ristrutturato per accogliere l’ampia collezione Morra: oltre 2000 opere presentate con percorsi tematici e focus su artisti. Un attraversamento nella storia dell’arte contemporanea e nei fondamentali movimenti come Gutai, Happening, Fluxus, Azionismo Viennese, Living Theatre, Poesia Visiva sino alle ricerche più avanzate italiane e straniere. Frutto di oltre quarant’anni di presenza attiva nello scenario internazionale dell’arte.

Siamo andati in anteprima  per testimoniare la nascita di questo nuovo progetto e porre qualche domanda al suo ideatore.

Peppe Morra, prima di tutto: come è nato questo progetto, qual è la sua specificità e cosa lo distingue dagli altri archivi?

“Sin dall’inizio quando decisi d’intraprendere questa attività, pensai che sarebbe stato bello mettere insieme un patrimonio fruibile, di arte che non fosse commerciale. Avrei potuto scegliere artisti anche più vendibili e commerciali, ma io preferivo fare altro. M’interessavano artisti come Marina Abramović, Nanni Balestrini, Julian Beck, George Brecht, John Cage, Ugo Carrega, LUCA/Luigi Castellano, Henri Chopin, Giuseppe Desiato, Marcel Duchamp, Heinz Gappmayr, Al Hansen, Geoffrey Hendricks, Dick Higgins, Allan Kaprow, Urs Lüthi, Stelio Maria Martini, Charlotte Moorman, Eugenio Miccini, Hermann Nitsch, Günter Brus, Nam June Paik, Giulio Paolini, Luca Maria Patella, Lamberto Pignotti, Luigi Tola, Vettor Pisani, Paul Renner, Gerhard Rühm, Shozo Shimamoto, Rudolf Schwarzkogler ed altri che vedrai in esposizione qui. Questo spazio che mi rispecchia, si pone in alternativa a tutti i musei del mondo. Noi non facciamo catalogo d’arte, questo è un archivio d’ arte contemporanea, la maggior forza di questa collezione ad esempio, è l’archivio fruibile e consultabile di Julian Beck e del Living Theatre; una buona parte dei materiali catalogati da Judith Malina è qui. Pensa la scorsa settimana un professore di Vancover è venuto a studiare l’opera di Julian Beck qui da noi e si diceva appunto meravigliato di trovare qui così tanto materiale che altrove non riusciva a trovare.”

Raccontaci del primo evento ee com’è strutturato questo spazio?

“Il primo evento, aperto il 28 ottobre, prevede un inedito dialogo di opere di John Cage – Marcel Duchamp – Allan Kaprow. Il principio della casualità del gioco dell’oca è posto a fondamento dello statuto e del divenire di Casa Morra. La prima mostra si apre pertanto con tre artisti che della casualità hanno fatto pratica creativa, applicando una svolta nel modo di vedere e percepire l’arte: Cage, Duchamp, Kaprow riuniti insieme per mostrare il desiderio di costruire un ambiente in cui agire, fare esperienza sperimentando. L’evento inaugurale, sarà celebrato da due progetti performativi: CAGE 1 – 13 di Daniele Lombardi, con l’esecuzione di tredici pièces di John Cage, insieme con Ana Spasic, Jonathan Faralli, l’ensemble puntOorg, Luigi Esposito, Bruno Persico e Maria Teresa Fico; la video installazione/concerto Decameron di Emanuel Dimas De Melo Pimenta, un lavoro complesso elaborato integralmente in realtà virtuale, un oceano di esperienze aperte alla libera partecipazione del pubblico. Partendo dal 2016 data del manifesto di questo progetto, noi apriremo per sette anni le prime ventuno stanze, ogni anno tre artisti, tre spazi tre artisti per sette anni, nello spazio sottostante vorrei esporre tutti quegli artisti che nel tempo non ho avuto modo si esporre ed i nuovi artisti che negli anni si saranno affermati. Artisti storici e non. Poi a ciascuno di essi andrà per tre anni per sette volte cambiata la stanza con altre opere, in un continuo divenire. Ospiteremo residenze di artisti, studenti Erasmus, sarà uno spazio aperto di fruizione e produzione di arte”.

Quando è nata la scintilla ed hai capito che questo sarebbe stato il tuo percorso, che volevi occuparti di arte.

“Non è una cosa che arriva all’improvviso, questa è un sentire che è dentro di te, fa parte di te. Posso tornare a dei ricordi di come mi sono avvicinato all’arte ed andare ancora più indietro nel tempo. Ricordo per esempio quando avevo sette anni, invece di andare a scuola e stare fermo nel banchetto, scappavo ed andavo a curiosare in città e fuori di essa, a godere della bellezza di camminare in un campo bagnato e sentire il profumo di un fiore che sboccia e sentire gli uccelli e guardare gli animali, sentire la natura. Non a caso poi nel tempo, in me si sono affiancati interessi nei più disparati settori. Non soltanto l’attività artistica, ma il mio legame magnetico con il mondo agricolo, di cui la Vigna San Martino è felice approdo. La Vigna è un’esperienza dei sensi, che coinvolge tutti quelli che vi accedono.”

Ho seguito negli anni il tuo percorso nomadico, da via Calabritto, a p.zza Dante, Quartiere Sanità, dalla Vigna San Martino, al Quartiere Avvocata. Progetti che tendevono ad uscire dalle pareti della galleria e son diventati nel tempo, Fondazione, Archivio, Immersione nella natura pura ed ora Casa Archivio, residenze di artisti, non sei mai stato un gallerista nel senso tradizionale.

“A via Calabritto avevo un’ottimo riscontro, grande seguito, molti collezionisti ci seguivano, ma sono andato via da lì e sono andato nel borgo dei Vergini, perché non m’interessa chiudermi nella stanza bianca, nel circuito ristretto del mercato. Il senso sociale dell’arte è vitale per me, quello che puoi condividere con gli altri. Non potrei mai pensare di tenere l’arte chiusa nelle quattro pareti fine a se stessa, l’arte è portatrice di entusiasmo e cambiamento, va diffusa. Napoli è una straordinaria città, magnetica, tutti gli artisti che sono venuti qui nei secoli e che noi invitiamo qui, ne restano catturati, infatti qui hanno prodotto e producono delle straordinarie opere dedicate. A Napoli ci sono delle energie strepitose.”

Le tue iniziative come sono state accolte dal pubblico, nel corso degli anni.

“Non è stato mai facile, ho avuto sempre tante difficoltà soprattutto quando proponevo, negli anni settanta, artisti come Nitsch, Gina Pane, Marina Abramovic e gli altri, c’erano più poliziotti nella galleria di via Calabritto che non visitatori. Però… vedi l’ambivalenza degli accadimenti…: c’era una stampa davvero contro, a quel tempo, mentre invece il mondo universitario ci seguiva e supportava. Arrivarono persino le accuse di oscenità e vilipendio alla ragione di Stato: erano anni complicati…”

Cosa accadde durante la contestata performance di Hermann Nitsch di preciso? Arrivò la polizia e fu chiusa la galleria?

“No, non chiusero la galleria, si aspettò la fine della performance e poi, alle sette del mattino, la polizia andò a consegnare negli alberghi dove erano ospiti gli artisti, agli stessi, un foglio di via. Non potevano rientrare a Napoli se non dopo un certo periodo di tempo. Successivamente nelle accademie i giovani buttavano giù i cavalletti, non volevano più dipingere, gli studenti ed i docenti si rendevano conto che l’arte non vuol dire, dipingere il nudo, o la copia dal vero, si era generato uno spostamento, nella percezione, e nel modo di rapportarsi all’arte, c’erano performance nelle chiese, si era generato un cambiamento.”

Tu eri consapevole, nel momento in cui lo invitasti che avresti generato poi, delle reazioni così eclatanti ed il successivo cambiamento dell’approccio all’arte?

“No, non lo avrei mai pensato, lo feci perché per me era una necessità farlo, lo ritenevo importante, e poi arrivarono le conseguenze nel bene e nel male. Ma se non facciamo noi le cose nelle quali crediamo, con coraggio, mai nulla succede ed accade, tutto resta fermo, immobile. L’arte provocatoria, supportata da un pensiero, chiaramente e non provocazione fine a stessa, genera trasformazione, crescita, evoluzione. L’arte modifica il tuo modo di pensare, di essere, non è andare a comprare l’opera, che ti arreda la stanza da letto o il salotto elegante.

Perché hai scelto la definizione “Casa” per uno spazio così complesso?

“Perché non mi piace la parola palazzo, che rimanda a condominio. La casa è la tua casa è il tuo luogo, questo è uno spazio che mi rispecchia, al tempo stesso è uno spazio aperto alla fruizione pubblica e tutte la persone che vi abitano già, che vi abiteranno per brevi o lunghi periodi, tutti coloro  che vi gravitano intorno e collaborano con noi sono come una famiglia, in un luogo di condivisione, formazione e fruizione. Io spero che questo possa essere un seme, che possano nascere poi altre iniziative simili, che si possa diffondere l’idea che da una collezione possa nascere altro e non solo per se stessi ma per la collettività, ecco mi piace quest’idea qui.”

In tutti questi anni hai dato vita a progetti incredibili, coinvolto artisti, mosso sogni, riqualificato spazi destinati all’incuria e all’oblio, nutrito con la linfa dell’arte, ospitando e coinvolgendo le migliori menti del panorama internazionale, con convegni, incontri , mostre performances, hai diffuso idee, promosso il rinnovamento, l’evoluzione. E’ un lavoro impegnativo, dove trovi l’energia per tutto questo?

” Nel cambiamento: è da lì che arriva l’energia.”

Info

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Marina Guida si laurea in Conservazione dei Beni Culturali ed Ambientali, presso L’Istituto Universitario Suor Orsola Benincasa di Napoli, (città natale dove vive e lavora) con una tesi sulla ricezione critica delle opere di Robert Mapplethorpe in Italia.
Frequenta i seminari e gli incontri dell’arte tenuti presso il centro di Documentazione Filiberto Menna di Salerno, moderati Dal Prof.Angelo Trimarco e dalla Prof.ssa Stefania Zuliani.
Critico militante, curatore indipendente, redattore free lance, collabora con diverse riviste d’arte contemporanea e periodici d’arte e cultura, scrivendo recensioni delle mostre ed articoli di approfondimento, firma saggi e testi critici per cataloghi di progetti espositivi in spazi privati.

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