Tempo di Libri #1. Noi e la preistoria. Vicini attraverso le donne

Dopo accese discussioni e non senza polemiche, è finalmente giunto il tempo di Tempo di Libri. La manifestazione milanese, che intende raccogliere – almeno in parte – il testimone del pur vivo Salone del Libro di Torino, si è prefissa di fare le cose in grande. A provarlo, fin dalle prime ore della giornata di apertura, un calendario ricco e interessante, che ospita una partecipatissima – malgrado la mattinata infrasettimanale – anteprima mondiale. Si tratta di L’ultima dei Nehanderthal, della giovane autrice canadese Claire Cameron. Dalla sua penna sgorga un romanzo che racconta di donne, e di un tempo tanto lungo fra loro da non averne quasi contezza.

Rose è un’archeologa, che si trova a scoprire due corpi, femminili, di due varianti della specie homo. Tra cui, appunto, l’ultima classificata come Neanderthal. Donne da cui, suggerisce l’autrice, anche la moderna studiosa ha più similitudini che differenze, malgrado quarantamila anni le separino.

A pubblicare questa affascinante vicenda è una casa editrice indipendente e fresca di nascita, che difetta ancora in dimensioni ma non in coraggio, la SEM. A raccontarla ai primi ospiti di Tempo di Libri, invece, col prezioso supporto del traduttore Paolo Noseda, celebre “voce” Rai, la critica culturale de Il Manifesto Alessandra Pigliaru e la scrittrice Michela Murgia.
Ne scaturisce un dibattito ricco, che avvicina a un pubblico italiano una scrittrice che pur «protetta da una storia forte, non si permette di scrivere con leggerezza», nel suo significato deteriore.

Indaga invece il femminile da una prospettiva che offre lampi di originalità.
Sebbene si soffermi infatti sulla figura della madre, la spoglia di quella mistica ridondante e stucchevole che troppo spesso le si attribuisce. Del generare racconta la fragilità, la vulnerabilità, la paura, che l’autrice descrive vividamente per averlo vissuto.
Si muove poi agilmente in un lasso temporale macroscopico, nel quale è la donna di oggi a rappresentare un ponte. Nel proprio lavoro «scopre un mistero, ed è incinta di un figlio che è sua volta un mistero», sintetizza la Murgia.
Accanto alle somiglianze, che si specchiano soprattutto in una fisicità che il tempo non ha cambiato, sussistono le differenze. Se Rose ha un nome e una individualità definita, la donna di Neanderthal non ha nome, è semplicemente Ragazza. Ma è lei, e non più il maschile,  ad incaricarsi di dare nome, ancorché soltanto in termini di funzioni e peculiarità fisiche, ai membri del proprio nucleo famigliare e con essi al mondo.

La scrittrice di Toronto si tiene però lontana dal frusto clichè del mondo selvaggio a cui ritornare, tanto quanto intende scardinare la nostra presunzione di evoluzione.
In ossequio al fatto che a definirci in quanto sapiens sapiens degli anni Duemila è «la capacità di raccontare» – che rovescia il «saper fare» di un uomo preistorico votato alla sopravvivenza – le immagini della Cameron sono vivide e potenti.

E non a caso, conchiuse. Nella preistoria come oggi, due esseri si toccano, nell’ultimo istante della loro vita, ripetendosi «Non siamo soli». È questo che desideriamo smentire, chiosa Michela Murgia: essere soli, che tutto finisca con noi.
E per superare la paura, anche ciò che ci è tanto lontano da  non poter essere neppure calcolato senza sforzo di immaginazione, può essere il più efficace degli specchi.

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Nata (nel 1994) e cresciuta in Lombardia suo malgrado, con un' anima di mare di cui il progetto del giornalismo come professione fa parte da che ha memoria. Lettrice vorace, riempitrice di taccuini compulsiva e inguaribile sognatrice, mossa dall'amore per la parola, soprattutto se è portata sulle tavole di un palcoscenico. "Minoranza di uno", per vocazione dalla parte di tutte le altre. Con una laurea in lettere in tasca e una in comunicazione ed editoria da prendere, scrivo di molte cose cercando di impararne altrettante.

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