Muhammad Ali. nato Cassius Marcellus Clay Jr. divenuto The Greatest e icona positiva senza tempo

immagine per Muhammad Ali
Muhammad Ali, Ph. By Brian Hamill

Strana coincidenza: giorni fa stavo vedendo il film Alì (Ali), del 2001, diretto da Michael Mann, interpretato da un credibilissimo Will Smith. e con una bellissima colonna sonora.

Nato Cassius Marcellus Clay Jr. (Louisville, 17 gennaio 1942 – Scottsdale, 3 giugno 2016), ex campione del mondo dei pesi massimi, soprannominato “The Greatest” (Il più grande), Ali, o Alì, dopo una brillante carriera da dilettante si mise in luce alle Olimpiadi di Roma del 1960 conquistando l’oro nella categoria dei pesi mediomassimi, con un  record amatoriale finale di 100 vittorie e 5 sconfitte.

Il racconto cinematografico copre dieci anni della vita di Muhammad Ali: dalla clamorosa e inaspettata conquista del titolo contro Sonny Liston, allo storico incontro The Rumble in the Jungle, disputato a Kinshasa, capitale del Congo Belga (oggi Zaire) contro George Foreman, al suono e canto di Ali Bomaye! Ali Bomaye! Ali Bomaye!, come un mantra ancestrale che echeggia per tutta l’Africa desiderosa di libertà e giustizia; per la cronaca: Ali stese il rivale all’ottavo round.

Il film si sofferma, giustamente, anche molto sul suo clamoroso e politico rifiuto di arruolarsi nell’esercito statunitense – c’era la Guerra in Vetnam…-, sul conseguente arresto e l’accusa di renitenza alla leva, nonché sulla privazione del Titolo iridato; a causa di ciò, non combatté per i successivi quattro anni ma l’appello di Alì fece strada sino alla Corte suprema degli Stati Uniti d’America, che annullò la sua condanna nel 1971 con una  riabilitazione completa: tale battaglia come obiettore di coscienza lo rese un’icona nella controcultura degli anni  Sessanta.

Provocatorio e stravagante sul ring, dove si muoveva con una agilità quasi da danzatore, anomala per la sua altezza e la muscolature, fu presentissimo e molto impegnato nella vita: la pellicola lo palesa, narrando la durezza e complessità di quei tempi bui; e mostra sua amicizia con Malcolm X, e la sua adesione all’Islam –  Nation of Islam (NOI) di Elijah Muhammad; fu allora che cambiò legalmente il suo nome in Muhammad Ali e promuovendo inizialmente il concetto di separatismo nero; poi, con una visione d’insieme profondamente influenzata dalla sua ammirazione per il mentore Malcolm X,  lasciò la NOI, aderendo prima al sunnismo e poi praticando il sufismo, oltre a sostenere l’idea di integrazione razziale. Uomo profondamente impegnato per i diritti dei neri e  in tante lotte civili e per la pace, campione grandissimo, è stato e resta un modello positivo e propositivo non solo nel campo dello Sport.

Forse anche per questo Napoli rende omaggio a Muhammad Ali, con una mostra in programma dal 22 marzo al 16 giugno 2019, al PAN – Palazzo delle Arti Napoli, che  presenta 100 immagini, provenienti dai più grandi archivi fotografici internazionali quali New York Post Archives, Sygma Photo Archives, The Life Images Collection che colgono Ali in situazioni e momenti fondamentali non solo sportivi.

Anche se nel 1984 gli fu diagnosticata la sindrome di Parkinson, attribuita alla sua professione e che lo portò ad un graduale declino fisico nel corso dei decenni successivi, e anche dopo il suo ritiro dal mondo sportivo, Alì rimase impegnato in numerose azioni umanitarie, sino alla morte avvenuta il 3 giugno 2016.

La mostra partenopea è promossa dall’Assessorato alla Cultura e al Turismo del Comune di Napoli, organizzata da ViDi – Visit Different, curata da Marco Pastonesi e Giorgio Terruzzi.
Ufficio stampa:  CLP Relazioni Pubbliche | Anna Defrancesco Gatti 

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Con una Laurea in Storia dell'Arte, è Storica e Critica d’arte, curatrice di mostre, organizzatrice di eventi culturali, docente e professionista di settore con una spiccata propensione alla divulgazione tramite convegni, giornate di studio, master, articoli, mostre e Residenze, direzioni di programmi culturali, l’insegnamento, video online e attraverso la presenza attiva su più media e i Social. Ha scritto sui quotidiani "Paese Sera", "Liberazione", il settimanale "Liberazione della Domenica", più saltuariamente su altri quotidiani ("Il Manifesto", "Gli Altri"), su periodici e webmagazine; ha curato centinaia di mostre in musei, gallerie e spazi alternativi, occupandosi, già negli anni Novanta, di contaminazione linguistica, di Arte e artisti protagonisti della sperimentazione anni Sessanta a Roma, di Street Art, di Fotografia, di artisti emergenti e di produzione meno mainstream. Ha redatto e scritto centinaia di cataloghi d’arte e saggi in altri libri e pubblicazioni: tutte attività che svolge tutt’ora. E' stato membro della Commissione DIVAG-Divulgazione e Valorizzazione Arte Giovane per conto della Soprintendenza Speciale PSAE e Polo Museale Romano e Art Curator dell'area dell'Arte Visiva Contemporanea presso il MUSAP - Museo e Fondazione Arazzeria di Penne (Pescara), per il quale ha curato alcune mostre al MACRO Roma e in altri spazi pubblici (2017 e 2018). È cofondatrice di AntiVirus Gallery, archivio fotografico e laboratorio di idee e di progetti afferente al rapporto tra Territorio e Fotografia dal respiro internazionale e in continuo aggiornamento ed è cofondatrice di "art a part of cult(ure)” di cui è anche Caporedattore.

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