La Digestion. Musica Contemporanea a Napoli

immagine per La Digestion

La digestion scalda i motori della musica contemporanea a Napoli per il terzo anno consecutivo, in forma ridotta per numero degli appuntamenti, ancora più rilevanti per il peso specifico degli interpreti chiamati ad animare lo spazio performativo messo a punto dai ragazzi di Phonurgia (Andrea Bolognino, Renato Grieco, Domenico Napolitano e Giulio Nocera) insieme alla complicità della Fondazione Morra, da sempre impegnata nelle cose della musica contemporanea nella città.

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Così, sabato 13 aprile è stata la volta della Musica Concreta presso la chiesa di San Potito, in un appuntamento made in La dig che si rivela sul serio un festival di musica raramente ascoltata sempre più spesso, se è giunto al secondo evento della sua terza edizione, ricostruendo senza particolari difficoltà le fila del pubblico profondamente senziente.

L’incontro seguiva la speciale masterclass tenuta dagli ospiti transalpini tesa alla descrizione dell’acusmonium costruito nella navata centrale – proprio al centro della navata: 16 diffusori posizionati in modo studiato a determinare uno spazio d’ascolto il cui focus era proprio il centro dominato dalla loro presenza; meno fortunati tutti gli altri, a segnare una gerarchia dell’ascolto a seconda della posizione e a partire dall’impossibilità di muoversi per la sala, anche virtù della presenza di sedie trasparenti effetto iniziativa comunale, in grado tuttavia di rincuorare quel pubblico intervenuto illo tempore per Basinski, per l’opening act del volume II de La dig; così troviamo posto ad orario segnalato in attesa si creino le condizioni di rito, per le quali vanno versate chiacchiere disimpegnate per almeno trenta minuti.

Kassel Jaeger – Lionel Marchetti – Jérôme Nœtinger: questo il tridente concreto schierato a difesa della musica acusmatica, quella particolare condizione così quotidiana dei diffusori che nascondono la fonte tale da essere costitutiva di una certa percezione del suono.

Sorvoleremo diversi aspetti, tesi a diluire il contenuto della serata in una narrazione più o meno soddisfacente per rifarci interamente ad una piccola disamina sullo stato della musica al tempo del suo addomesticamento concertante: in questi contesti più che altri, viene fuori in maniera performante la storia dell’impegno rituale, laddove la prassi concertistica resta immutata quasi si trattasse necessariamente di musica colta, senza cogliere la continuità coi suoni di tutti i giorni che pure sembra essere il vanto di questa musica ancora costretta a definirsi di ricerca pur di incontrare l’accoglienza senza remore del suo ben stratificato pubblico.

I punti che mi interessa toccare sono essenzialmente quattro, riflettono uno stato delle cose che travalica il concerto in questione per interrogarci totalmente sulle pratiche di ascolto come restituite indifferentemente dal pubblico a partire dalla rimediazione eccessivamente fotografica della propria presenza:

  1. la musica concreta francese contemporanea mescola l’aneddotico alla narrazione facendo della crudezza iniziale del suono concreto una materia oscura dalle sonorità inudibili (la natura aneddotica è segnalata dalle stesse poche parole spese poco prima della diffusione di ‘dans la montagne’)
  2. la costruzione di un loop, pur apprezzabile nella sua spazializzazione qualora capitati al posto giusto, resta ridondante se giocata diverse volte nel giro della stessa azione performativa la cui durata ha superato la soglia d’attenzione, come dimostrato dal riversarsi del pubblico fuori la chiesa in odor di fine primo tempo;
  3. grandissima la capacità di controllo degli esecutori, pronti a fare musica più con le macchine e meno con gli oggetti, ridotti quasi a pretesto concreto;
  4. pubblico che non ha menato nemmeno un colpo di tosse in sala, pur non potendo evitare il chiacchiericcio tale da meritare diversi shhhh alla ripresa della seconda parte del concerto.

Sì, a una certa abbiamo lasciato il posto, siamo tornati a casa, come in altre occasioni in cui la disponibilità all’ascolto era venuta meno: anche l’ascoltatore merita di essere rispettato se egli stesso rielabora responsabilmente la propria presenza.

Eravamo stanchi di ascoltare, semplicemente perché passivizzati all’ascolto. Ma in questo caso l’insofferenza dell’ascoltatore poi redattore non fa arretrare di un centimetro il recente posizionamento della città di Napoli in prima fila tra le città ospitali nei confronti delle sonorità più disparate.

In effetti, il pur encomiabile lavoro de La Digestion non è da meno che il lavoro parimenti importante svolto in città da altri attori culturali impegnati a diffondere le cose della musica contemporanea, pur confidando in ritorni di pubblico con ben altri numeri.

Insomma, la città è quella giusta per far partire un discorso impegnato sulla musica d’oggi, al momento troppo patinata dalle autorità del passato.

Info

https://www.ladigestion.org
facebook.com/ladigestion

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Antonio Mastrogiacomo vive e lavora tra Napoli e Reggio Calabria. Ha insegnato materie di indirizzo storico musicologico presso il Dipartimento di Nuovi Linguaggi e Tecnologie Musicali del Conservatorio Nicola Sala di Benevento e del Conservatorio Tito Schipa di Lecce. Ha pubblicato “Suonerie” (CD, 2017), “Glicine” (DVD, 2018) per Setola di Maiale. Giornalista pubblicista, dal 2017 è direttore della rivista scientifica (Area 11 - Anvur) «d.a.t. [divulgazioneaudiotestuale]»; ha curato Utopia dell’ascolto. Intorno alla musica di Walter Branchi (il Sileno, 2020), insieme a Daniela Tortora Componere Meridiano. A confronto con l'esperienza di Enrico Renna (il Sileno, 2023) ed è autore di Cantami o Curva (Armando Editore, 2021). È titolare della cattedra di Pedagogia e Didattica dell’Arte presso l’Accademia di Belle Arti di Reggio Calabria.

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