Dio ride Nish koshe. Moni Ovadia e l’equivoco di Mosè.

Sono passati 25 anni da quando Moni Ovadia creò il personaggio di Simkha Rabinovich, un vecchio ebreo errante che, da un passato indefinito ma saldo nel cuore dell’europa orientale, raccontava la Storia e le storie ebraiche, gli aneddoti, l’umorismo e le preghiere in compagnia della sua piccola orchestra di personaggi che sembravano usciti da un libro di Sholem Alaichem.
Era lo spettacolo Olem Goylem che è riuscito a far conoscere anche alle persone non di religione ebraica, i vizi, i tic, la generosità, l’accoglienza e la strabiliante intelligenza di questo popolo.

immagine per Moni Ovadia
Ph. di Umberto Favretto

Sulla zattera errante, ricolma di libri e attorniata di bauli tornano i musici e il cantastorie di Dio Ride-Nish Koshe (così, così). Sono più vecchi e forse più liberi di raccontare questo riso di Dio e di iniziare lo spettacolo parlando di muri e di uno in particolare: quello innalzato proprio da alcuni ebrei, il muro che segrega e priva della libertà il popolo palestinese. E poi anche di tutti gli altri che, dopo la caduta del più celebre Muro, quello di Berlino, sono via via rinati a causa dell’ossessione per il possesso della terra e dei conseguenti rigurgiti nazionalisti che, secondo Ovadia, hanno spento la spiritualità e il senso di fratellanza.

Da qui parte un viaggio appassionante che non invecchia mai; che alterna humor serrato, capace di confondere anche lo spettatore più arguto a riflessioni profonde. Un viaggio che ci fa incontrare Mosè che, con il suo popolo di disperati, vaga per 40 anni nel deserto cercando la terra promessa e che, per un equivoco dovuto alla sua balbuzie (lo dicono le Scritture!), arriva a Ca-naan quando sarebbe voluto andare in Ca-lifornia. Lo stesso Mosè che quando discende dal Sinai per la seconda volta con le Tavole delle Parole, non le ha né scolpite né dipinte sul marmo:  ha traforato la pietra, lettera per lettera, perché oltre le parole si potesse vedere l’orizzonte.

Un viaggio che è anche scritto nella legge dell’erranza a cui, si dice che per volere divino il popolo ebraico appartenga, durante il quale si scopre che per molti ebrei ortodossi non è obbligatorio credere in Dio ma, al contempo, si incontra la mistica dello Shabbat, la festa del riposo, l’esercizio dell’umanità senza la mediazione del consumo, il giorno in cui tutto è dedicato al riconoscersi umanità.

Sulla scena la musica si alterna ai racconti: suoni klezmer, canti yiddish, melodie arabe o gitane, fisarmonica, violino, clarinetto interagiscono con l’azione, con la danza e con i movimenti rituali. In particolare questi sono parte del nostro patrimonio collettivo di memoria e di immaginario.

Ogni danza circolare, ogni mano che s’alza come a collegare il cielo con la terra ci ricorda qualcosa di lontano e comune; ogni brano tratto dall’Antico Testamento, oppure dai libri di Franz Rosenzveig o Emmanuel Lévinas, ogni riferimento letterario, storico o filosofico sono memoria e strumento per non perdere il bisogno di giustizia e di pace.

Intanto Dio ride. Lo dice un testo talmudico raccontando la disputa dei rabbini sugli insegnamenti della legge: Dio ride perché la legge non sta nei cieli!

Ed alla fine torna il momento di parlare dell’oggi, dei muri, della politica sconsiderata di Israele. Moni Ovadia si professa ebreo antisionista, un’antitesi forse terribile, ma che lo porta ad indossare una kefiah per l’ultima canzone in arabo.
E improvvisamente è come se tutto perdesse appartenenza. Sotto quel copricapo c’è un uomo dal volto antico, uguale a quello di qualsiasi altro uomo che ha conosciuto dolore e ilarità, fatica e leggerezza.

Un uomo che ha sentito ridere Dio e che sa bene che c’è un solo modo di credere in Dio, ed è quello di dubitarne.

  • DIO RIDE Nish Koshe
  • di e con Moni Ovadia
  • e con le musiche dal vivo della Moni Ovadia Stage Orchestra
  • Maurizio Dehò, Luca Garlaschelli, Albert Florian Mihai, Paolo Rocca, Marian Serban
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Giornalista culturale e autrice di testi ed adattamenti, si dedica da sempre alla ricerca di scritture, viaggi, tradizioni e memorie. Per dieci anni direttore responsabile del mensile "Carcere e Comunità" e co-fondatrice di "SOS Razzismo Italia", nel 1990 fonda l’Associazione Teatrale "The Way to the Indies Argillateatri". Collabora con diverse testate e si occupa di progetti non profit, educativi, teatrali, editoriali, letterari, giornalistici e web.

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