2020? Ma non era tutto già accaduto 7 secoli fa?

Gli esseri umani in generale sono abituati a pensare a qualcosa accaduta molto tempo fa, addirittura secoli fa, come se non gli appartenesse e non lo riguardasse minimamente; nella migliori delle ipotesi, qualcosa che è toccata ad altri, indietro nel tempo e quindi che non potrà ripetersi ancora, tanto più che “quegli altri” sono così distanti da noi che al massimo possono essere percepiti come proiezioni di umanità, non essa stessa umanità, fatta di carne, sentimenti, sogni, di vita, insomma.

Il tempo è stato da sempre oggetto di studi e riflessioni filosofiche e scientifiche, ma quel tempo passato potrebbe essere ora qui dietro l’angolo, oppure manifestarsi attualizzandosi a quello che noi percepiamo come presente. Ebbene vivendo questo presente possiamo dire che forse nel 1300 e nella sua grande crisi di allora possiamo intravedere molte analogie con quello che stiamo vivendo nei primi decenni di questo XXI secolo e forse trarne anche qualche  valido insegnamento.

Del resto, quegli esseri umani che vissero sulla propria pelle quell’esperienza, altro non erano che i nostri avi, i nostri lontani parenti in una Europa del tardo Medio Evo.

Questo articolo nasce proprio dall’insegnamento di una appassionante lezione tenuta dallo storico Alessandro Barbero al teatro Colosseo di Torino nella rassegna GiovediScienza del febbraio del 2010 e reperibile in parte in Rete.

Barbero, con la sua consueta estrema competenza, puntigliosa lucidità e vivace capacità di narrazione, riesce a fare un quadro illuminante su quanto queste due epoche così apparentemente lontane in fondo si somiglino molto o, per lo meno, abbiano tra loro non trascurabili analogie.

Pensate al secolo comunemente considerato buio e irrazionale e a quello ipertecnologico e secolarizzato: cosa possono avere in comune? Ma è proprio questo il punto di partenza. Il Medio Evo come lo immagina la maggior parte di noi non è stato affatto un secolo oscurantista, quella è solo un’invenzione dell’Illuminismo e del Romanticismo che in quel modo lo raccontarono. Al contrario, la conferma è che sia stata un’epoca di grandi traguardi e di grande ottimismo.

Lo raccontiamo con il tempo presente. L’economia fiorisce, le arti, la letteratura, il commercio, le città e l’urbanistica, la qualità in generale della vita migliora. Le persone pensano di vivere in un momento fortunato della storia, fino a quando le cose iniziano a mettersi male.

La crescita demografica della popolazione e un consumo di suolo eccessivo iniziano a ridurre spazio, i campi coltivabili in una economia che si basa principalmente sull’agricoltura e in particolare sulla coltivazione del grano. E’ quindi da qui che parte un primo impoverimento del tessuto sociale, che inizia a sperimentare la fame. Il sistema entra in crisi perché si sono già alterati gli equilibri dei territori disboscando intere foreste per creare nuove possibilità di coltura e pascolo.

Il terreno disponibile non è più sufficiente a soddisfare il fabbisogno di una popolazione in continua crescita. Il cibo inizia a scarseggiare e nel frattempo nascono le prime leggi per contenere l’uso indiscriminato del suolo e tutelare i boschi (la legna è, però, comunque essenziale per il riscaldamento, le costruzioni edilizie e per flotte navali). Il costo della vita aumenta  e più poveri iniziano letteralmente a morire di fame per strada.

A concorrere all’inasprimento di questa crisi arriva un ciclo naturale di cambiamento climatico: una sorta di “piccola era glaciale”. Per molti anni, infatti, il clima era stato ideale, caratterizzato da inverni non troppo freddi, stagioni delle piogge regolari e caldo non eccessivo che avevano allietato la vita delle collettività e i loro raccolti. Adesso tutto si raffredda eccezionalmente.

Gli inverni sono gelidi e lunghi, i grandi fiumi europei ghiacciano e soprattutto ghiacciano i campi coltivati e i passi alpini, utilizzati come rotte commerciali ma con questo clima inatteso bloccati dalla neve; le estati  sono altrettanto disastrose: molto piovose, non permettono ai raccolti di giungere a compimento, sistematicamente distrutti dalle precipitazioni abbondanti.

Sin qui, dunque, come elementi comparativi abbiamo: un’esplosione demografica della popolazione, un sistema che per far fronte al fabbisogno crescente consuma suolo e altera l’ecosistema, una società che inizia ad impoverirsi e ad avere fasce di persone che soffrono la fame e, infine, un cambiamento climatico in corso. Qualcosa di molto familiare, non vi sembra? Molto più familiare e attuale di quanto non potremmo immaginare, se aggiungiamo che su questo scenario si va tragicamente ad innestare una epidemia.

Una durissima ondata di peste polmonare e bubbonica, pare proveniente dalla Cina – un’altra coincidenza! -, dove c’era stata una grave pandemia nel 1333, nel 1347 arrivò in Europa tramite le rotte commerciali, in particolare, probabilmente con le navi genovesi che facevano la spola tra il Mar Nero e il Mar Mediterraneo per il mercato del grano. La pandemia si diffuse nelle zone portuali, arrivando a Messina a Marsiglia e poi nelle città sul Tirreno, per poi spargersi ovunque. La cosiddetta “peste nera” si diffuse  in Europa e, nel giro di due anni, provocò decine di milioni di morti: si calcola metà della popolazione di allora. Alcune stime ci dicono come in Europa nel XIV secolo vivessero circa 100 milioni di persone, in Italia forse 10-12 milioni.

Il problema che questa piaga si ripresentò puntualmente allo scadere di circa ogni decennio del secolo per cui rese la popolazione europea sopravvissuta sempre più incerta e terrorizzata e anche allora si vararono periodicamente delle misure di confinamento, di “lockdown”, con chiusure dei consigli comunali, dei contratti dai notai etc.; la vita produttiva e sociale subisce un rallentamento o addirittura una sospensione. Da non perdere il passaggio in cui Barbero, nel 2010, attualizzando il racconto e riferendosi alla ciclicità decennale della calamità, ipotizza, a titolo puramente esemplificativo (!!!) un ritorno virulento di una peste nel 2020!

Riassumendo, raccogliendo in ordine gli elementi che ci accumunano a quel secolo, abbiamo: crisi di un sistema, fame, quindi impoverimento della popolazione, una pandemia e in ultimo la guerra.

Ormai credo sia riconosciuto dalla maggior parte dell’opinione pubblica che la globalizzazione produce conflitti e guerre ma che queste oggi non sono più come quelle tradizionali, cioè come l’umanità le ha vissute nel passato, fatte di nazioni che mettono in campo eserciti in fronti definiti. E pur se il Secondo Conflitto Mondiale modificò tragicamente questo assetto più netto, di parti opposte che si fronteggiavano in modo delineato, qualcosa dell’arte della guerra restava ancora legata a quella del passato. Adesso, invece, nei confini degli stati più sviluppati tutto avviene attraverso la finanza, diventata il nuovo, penetrante strumento bellico e di ricatto di interi sistemi economici di Paesi, unioni economiche e monetarie.

Nel ‘300, invece, le guerre sono tante, più tradizionali ma hanno una caratteristica particolare: diventano lunghe, estenuanti ed hanno un carattere sempre più distruttivo per i civili (si pensi, come esempio, alla Guerra dei 100 anni tra il Regno d’Inghilterra e il Regno di Francia). Se ci riflettiamo, c’è qualche analogia con le guerre portate tra la fine del XX secolo e l’inizio del XXI secolo per stabilire “il nuovo ordine mondiale”, i nuovi assetti geo-politici, soprattutto nel Medio-Oriente: Afghanistan, Irak, Siria etc.; si tratta, infatti, di tutti conflitti lunghi, estenuanti con gravissime ripercussioni sulla popolazione civile. Medioevali, in qualche misura…

In questo scenario cupo, però, il professor Barberio ci racconta di un dopo crisi dove invece la vita di nuovo inizia a migliorare in tutti i suoi aspetti e anche le classi subalterne denutrite e sopravvissute alla pandemia trovano il loro momento di riscatto economico e sociale. Anche nell’abisso della crisi si sta preparando il terreno per quello che poi sarebbe diventato il Rinascimento italiano.

Un buon auspicio per noi tutti oggi, che accompagnerei consigliandovi la visione dell’istruttivo e persino avvincente video che trovate in allegato.

 

 

In foto: Il Trionfo della Morte, grande affresco staccato, proveniente dal cortile di Palazzo Sclafani a Palermo e oggi conservato nella Galleria regionale di Palazzo Abatellis sempre a Palermo, datato 1446 circa e di autore anonimo (detto Maestro del Trionfo della Morte).

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Paolo Di Pasquale si forma studiando prima Architettura poi Disegno Industriale a Roma, specializzandosi in Lighting design. Nel 2004 è co-fondatore dello STUDIOILLUMINA, dove si occupa principalmente di Architectural Lighting Design e Luce per la Comunicazione: lo Studio progetta e realizza allestimenti espositivi e museali, ideazione della luce, corpi illuminanti, scenografia notturna - nel settore della riqualificazione urbana e in progettazione di arredi (porti turistici, parchi, giardini, piazze etc.)-, piani della luce per alcuni Comuni italiani e spettacoli di luce. Nel 2007 fonda lo Studio BLACKSHEEP per la progettazione di architettura di interni e di supporto alla pianificazione di eventi, meeting e fiere. E' interessato alla divulgazione della cultura della luce e del progetto attraverso corsi, workshop, convegni e articoli. Ha insegnato allo IED e in strutture istituzionali. E’ docente di Illuminotecnica presso l’Istituto Quasar - Design University Roma di nel corso di Habitat Design e in quello di Architettura dei Giardini. E' Redattore di art a part of cult(ure) per cui segue la sezione Architettura, Design e Grafica con incursioni nell'Arte contemporanea. Dal 2011 aderisce a FEED Trasforma Roma, collettivo di architetti romani che si interroga sul valore contemporaneo dello spazio pubblico esistente, suggerendone una nuova lettura e uso con incursioni e azioni dimostrative sul territorio metropolitano.

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