Indagine sul futuro dell’arte italiana e del sistema connesso

Cesare Tacchi, una retrospettiva, mostra al Palazzo d. Esposizioni, Roma, 2018

Nel nuovo stato delle cose in cui siamo precipitati a causa dell’emergenza Covid-19 e del post-Covid-19, che ci ha improvvisamente scoperti come una vulnerabile comunità di  solitudini, molti nodi sono venuti al pettine. 

E’ giunto il momento di cucire insieme quanto scritto, detto e fatto nel tempo – su questa rivista e singolarmente da ognuno di noi, su media diversificati, nei tanti incontri online e attraverso il proprio lavoro – riguardo all’arte e alla cultura italiane e avviare un dibattito sulla necessità di riportarle al centro del potente scacchiere internazionale.

Al dibattito deve però presto seguire una concreta visione del futuro e delle proposte, con la formulazione di tattiche per uscire dalla crisi post-Covid 19, una crisi che, per la verità, per la cultura italiana e il paese dura da molto.

Siamo  consapevoli che le arti visive e la cultura italiane – per tacer della lingua nazionale: ne abbiamo parlato, lo rifaremo – non siano, nella realtà, davvero percepite come parte del corpo sociale; che, soprattutto, siano state, e da tempo, oggetto di colonizzazione da parte di un  Sistema dell’Arte angloamericanocentrico mosso da criteri politici e di alta finanza e siano state svilite anche a causa delle troppe decisioni delle nostre istituzioni museali mosse da opportunità / pressioni esterne che poco hanno a che vedere con la divulgazione e valorizzazione dell’eccellenza italiana. E se, invece, pressioni palesi non ce ne sono state, peggio: è il segno che l’altro sistema è entrato subdolamente nel cervello di chi dovrebbe fare i nostri interessi e lo ha schiavizzato senza darlo a vedere. “Chi pecora si fa…”.

Questa emergenza-pandemia e la crisi, già in atto ma di deflagrante e persistente durata, stanno dimostrando quanto l’Italia abbia bisogno di nuova valorizzazione a partire dai suoi Beni Artistici e Culturali e dai suoi artisti, troppo spesso tirati strumentalmente in ballo e per la giacchetta dai nostri amministratori e dalla politica, ma poi più spesso dimenticati nei vari piani di ricostruzione oltre che nelle Unità operative di pronto intervento (Task-Force); in questa miope visione del Futuro governativa manca la concezione di una progettazione condivisa, partecipata ai processi di (ri)costruzione ed è assente l’Arte.

Una rivista come la nostra – da più di dieci anni voce indipendente, priva di economia che la sostenga ma, anche, che la orienti, e aperta alla collaborazione di tante professionalità libere di esprimersi su ampie tematiche e produzioni artistiche e culturali –, ha sempre inteso proporre, in modo dolce e articolato, formazione oltre che informazione. Tale formazione ha al centro una serie di quesiti con sottintesi suggerimenti e con la coscienza di una necessità di ripensamento propositivo della posizione e del ruolo degli artisti italiani, del loro lavoro, di quello degli studiosi che analizzano, storicizzano,  valorizzano, promuovono e divulgano l’arte a partire da quella nazionale, considerando nella filiera anche l’operatività degli operatori impiegati.

A proposito della profonda modificazione della vita e della produttività del nostro Paese a causa della gravissima crisi epidemiologica che è penetrata in ogni ganglio del nostro fare e fruire, e con cui sappiamo di dovere a lungo convivere, ebbene: crediamo che sia fondamentale utilizzare il tempo – e alquanto modificato – che questa situazione ci sta obtorto collo dando, per una riorganizzazione del sistema artistico italiano alla radice che renda l’Italia e la sua produzione artistica e culturale protagonista di un futuro migliore e più ricco, tentando di riconquistare una leadership mondiale.

artapartofcult(ure), chi scrive in prima persona e altri sodali e colleghi, e come  anche si sostiene nell’articolo qui precedentemente pubblicato, da cui la presente esplorazione prende le mosse (Covid-19. Non destino ma l’arte della destinazione a firma Giorgio Kadmo Pagano), intendiamo operare in questa prospettiva e allargare consapevolezza e dibattito a partire dalle principali proposte, molte delle quali già nel citato articolo delineate. Perché ormai è certo:

Niente sarà come prima, ma dev’essere meglio e bisogna costruirlo da subito.

Ciò per non disperdere anche le poche cose buone che la manifestazione dell’emergenza e il suo contenimento-confinamento impostoci (Lockdown) come reazione hanno portato, e perché alla Fase 1 e alla Fase 2, e a quelle  di successiva normalizzazione, corrispondano anche delle Fasi culturali.

L’arte dell’Arte non solo ipotizza o prevede un/il futuro – e, magari, lo reifica –, non solo è e propone un punto di osservazione non univoco né omologato sulle cose, sul mondo, ma diventa il grimaldello per una destinazione e un cambiamento del destino.

Tutto sommato era questo anche il senso profondo delle Avanguardie storiche che hanno dato vita alla modernità.

Perché ciò avvenga nella produzione dei nostri artisti, e attraverso il lavoro di storici, critici, giornalisti d’arte e via via degli operatori di tutto il Sistema dell’Arte contemporanea, riteniamo fondamentale una sua ristrutturazione a partire dall’Italia e a cominciare dall’apparato pubblico.

Servono:

  • una seria riforma fiscale ad hoc dedicata al settore (che eliminerebbe molto del nero che affligge anche il nostro settore e contribuirebbe e pulire il mercato dai falsi che ancora lo inondano);
  • una modalità, complicata ma da persare, per l’inquadramento dei tanti operatori non garantiti (men che meno da inesistenti Ordini Professionali o farlocchi tentativi);
  • una pianificazione a lungo termine per attuare un equo sostegno economico-culturale, a partire da una responsabile e programmata operatività di istituzioni come ad esempio l’Italian Council (principale progetto, dal nome coloniale inglese, della Direzione Generale Creatività Contemporanea-DGAAP  del MiBACT dedicato alla Contemporaneità) per promuovere la produzione, la conoscenza e la disseminazione della creazione contemporanea italiana nel campo delle arti visive;
  • la creazione di una Rete Nazionale dei Centri per l’Arte Contemporanea che comprenda: 1) i luoghi d’interesse pubblico destinati alla promozione dell’arte contemporanea, dai musei alle gallerie, le varie tipologie di spazi ad essa in parte o del tutto dedicati, gli istituti culturali italiani all’estero, i centri di investimento in opere d’arte (bancari e non); 2) gli eventi e le manifestazioni afferenti all’arte contemporanea promosse nei vari territori come anche quelli organizzati dall’Italia all’estero; 3) le strutture formative scolastiche e di rilievo accademico per l’arte contemporanea

E servono orgoglio e coraggio. Da parte di chi? Prima di tutto del MiBACT e in particolare della citata DGAAP e, a seguire, dell’intera catena museale, per:

  •  l’attuazione di una decolonizzazione secondo le linee dei nostri interessi geopolitici, privilegiando, quindi, anzitutto l’arte e gli artisti italiani.

Decolonizzare non significa – nemmeno a dirlo, ma lo dichiariamo, a scanso di equivoci, o meglio: di strumentalizzazioni – chiudersi alle realtà e agli assesti internazionali, arroccarsi su uno sterile protezionismo nazionalista, diventare, insomma, localistici, e quindi isolarsi: al contrario! Significa tornare a mostrarsi, a dare contributi, a fare la differenza alla pari all’interno del citato scacchiere di potere. Questo perché – sia ancor più chiaro – il termine e il concetto stesso di internazionale, usato in questo nostro sistema e mondo, è falso e corrotto: nasconde, appunto, proprio quella colonizzazione di cui diciamo e che di fatto ci ha resi dei sottoposti.

Tornare a dare valore al citato lemma nella sua correttezza è dunque una delle rivendicazioni che qui mettiamo sul piatto (allontanando lo spettro sovranista), perché sia l’Italia a guidare la Cultura nel post-Coronavirus. Per farlo, va riorganizzata tutta la catena che la tiene più o meno in piedi, Turismo compreso, e si devono concepire investimenti sensati nel settore a lungo termine. Questo, ma tutto insieme, può farci cambiare in meglio e non bandi, finanziamenti-spot, miseri sussidi, incarichi e tavoli tecnici senza potere decisionale.

Questo, tutto insieme, compreso il moloch-Università pubblica, con i suoi Concorsi di discutibile andamento, carenza di Dottorati e Assegni di Ricerca e in alcune Facoltà con ingresso a numero chiuso (e nel pieno della pandemia abbiamo visto quanto abbia pesato quello per Medicina !!) da far scricchiolare l’Articolo 33 della nostra Costituzione.

La rovina non è, quindi, da addebitare sempre e solo nel Privato perché, lo vediamo:

(…) il Pubblico gli è stato compiacente ed è stata la triade pubblica (politici-dirigenti-funzionari) a permetterglielo.

A tal riguardo, prima di proseguire in questa campagna resistenziale, resiliente e propositiva, dobbiamo rammentare due fatti storici fondamentali:

A – 1) l’accordo Churchill-Roosevelt del 1943 per gli Imperi della Mente secondo cui «dominare la lingua di un popolo offre guadagni di gran lunga superiori che non il togliergli province e territori o schiacciarlo con lo sfruttamento»;

A – 2) la chiusura del CCF _ Congress for Cultural Freedom (il ministero americano per la colonizzazione culturale europea), 1950-67, perché ormai «il soggetto operava nella direzione richiesta per motivi che riteneva essere propri».

Non c’è quindi pur virtuoso grido d’allarme che serva, da parte di Forum dell’arte contemporanea italiana (quello ideato da Fabio Cavallucci a Prato nel 2015 per cercare strategie di miglioramento del sistema dell’arte, e proseguito negli anni ), di Associazioni delle Gallerie, Comitati per quelle delle Fondazioni, di unioni, gruppi e associazioni di Collezionisti, di Federculture,  dei vari Tavoli della Cultura, e di artisti, studiosi e curatori, se non partiamo da una citata decolonizzazione e dalla riorganizzazione globale dell’intero sistema.

Da qui diamo il via ad un confronto con artisti, storici, critici e curatori d’arte, collezionisti, galleristi, direttori di Musei, intellettuali, e altri protagonisti del mondo dell’arte e della cultura attraverso questo testo e una prima serie di domande di riferimento (qui): in parte rappresentano anche una posizione assunta da artapartofulture.net, un’intenzione di strategie per il settore, l’enunciazione di una visione (che sembra mancare pure al nostro Stato, persino nella cura del post-Covid19).

Le risposte o i contributi a questa che è anche una sorta di chiamata, saranno il secondo passo per fare dell’informazione – come premesso – vera formazione e per definire sia il motivo dell’impedimento di una ipotesi e uso della Diplomazia Culturale come strumento fondamentale di politica estera in Europa e di proiezione internazionale dell’Italia sia possibili soluzioni.

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Con una Laurea in Storia dell'Arte, è Storica e Critica d’arte, curatrice di mostre, organizzatrice di eventi culturali, docente e professionista di settore con una spiccata propensione alla divulgazione tramite convegni, giornate di studio, master, articoli, mostre e Residenze, direzioni di programmi culturali, l’insegnamento, video online e attraverso la presenza attiva su più media e i Social. Ha scritto sui quotidiani "Paese Sera", "Liberazione", il settimanale "Liberazione della Domenica", più saltuariamente su altri quotidiani ("Il Manifesto", "Gli Altri"), su periodici e webmagazine; ha curato centinaia di mostre in musei, gallerie e spazi alternativi, occupandosi, già negli anni Novanta, di contaminazione linguistica, di Arte e artisti protagonisti della sperimentazione anni Sessanta a Roma, di Street Art, di Fotografia, di artisti emergenti e di produzione meno mainstream. Ha redatto e scritto centinaia di cataloghi d’arte e saggi in altri libri e pubblicazioni: tutte attività che svolge tutt’ora. E' stato membro della Commissione DIVAG-Divulgazione e Valorizzazione Arte Giovane per conto della Soprintendenza Speciale PSAE e Polo Museale Romano e Art Curator dell'area dell'Arte Visiva Contemporanea presso il MUSAP - Museo e Fondazione Arazzeria di Penne (Pescara), per il quale ha curato alcune mostre al MACRO Roma e in altri spazi pubblici (2017 e 2018). È cofondatrice di AntiVirus Gallery, archivio fotografico e laboratorio di idee e di progetti afferente al rapporto tra Territorio e Fotografia dal respiro internazionale e in continuo aggiornamento ed è cofondatrice di "art a part of cult(ure)” di cui è anche Caporedattore.

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