Pilade: tra arti visive e teatro. Con intervista al regista Salvo Bitonti

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Pilade, Ph. F. Centaro

In un momento in cui i musei e i teatri sono restati chiusi a causa della pandemia, in Sicilia, una pregevole  rappresentazione teatrale  curata con regia di Salvo Bitonti ha portato in scena, presso il cortile del convento di San Francesco in Ortigia – sede dell’Accademia dArte del Dramma Antico di Siracusa – gli studenti del terzo anno di corso – un nuovo adattamento di Pilade, scritto da Pier Paolo Pasolini in due versioni, la prima nel 1966 e la seconda nel 1967.

Le scenografie sono state contrassegnate come se fossero citazioni di veloci e penetranti pitture evocanti quelle celebri ambientazioni intimiste dipinte dai maggiori pittori dell’Ottocento e delle realtà rurali e contadine del primo Novecento.

Si evincono, dibattute nell’attorializzazione e nelle movenze coreografiche dei saggisti,  le sensazioni di isolamento e di aggregazione dall’esistenza, dal  vivere in rapporto al prossimo, pensando all’unione della marcia dei lavoratori, un riverbero eco a quella classe proletaria che Nel quarto stato (1901) si trasforma in un’icona della libertà grazie alla straordinaria visionarietà di Giuseppe Pellizza da Volpedo.

Pilade, Oreste e la Dea Atena provano a sprigionare le loro pulsioni: dimodoché gli incantati oggetti di scena solitari vengono tradotti – intercalati dalle varie azioni performanti degli attori – in quella drammaticità classica ed aggregante, così tramandataci da Jannis Kounellis con le sue opere site specific, monolitiche raffigurazioni di teste elleniche, viceversa in quelle numerose sedie concatenanti, che ne configurano – con l’azione del pianto corale riversato dalle donne performanti in scena – il cerchio magico come ritualità intrauterina del rapporto madre vs terra.

Da tutto questo emerge una complessa consequenzialità del dramma, mentre la coralità della donna si amplifica divenendone speculare e simbolizzante attraverso la sua vestizione luttuosa: il velo nero cela le lacrime, copre la nuche, proprio come potrebbe esserne esemplificativo, tra le numerosissime comparazioni visive, il corteo delle dame ritratte tra il 1849 e il 1850 da Gustave Courbet per l’opera pittorica intitolata Un enterrement à Ornans.

Adesso chiediamo  al regista  quale è la relazione semantica che potrebbe convivere tra la storia dell’arte e la scrittura per un copione destinato ad una rappresentazione teatrale. E quanto essa sia importante per trascinare il fruitore in una soggettiva metateatrale e in un coinvolgimento partecipativo per gli studenti.

Quando mi hanno proposto di lavorare su Pilade di Pasolini, un testo teatrale di grande poesia di Pier Paolo Pasolini, scritto fra il 1966 e il 1967, ed ambientato in epoca  antica ma con riferimenti al dopoguerra italiano fino agli anni ’60, gli anni  del cosiddetto boom economico, ho subito pensato alle ricerche artistiche coeve.

Da una parte l’esperienza del Living theatre con la sua totale riscoperta del corpo e del suo spirito rivoluzionario anarchico-pacifista e poi le avanguardie pittoriche e artistiche di quegli anni.

In particolare il testo, che racconta un tentativo di rivoluzione che poi si dimostrerà impossibile, ben si adattava a trovare il suo spazio scenografico nelle sperimentazioni dell’”arte povera” di Kounellis, a cui scenograficamente mi sono ispirato per il grande cerchio che contiene l’azione scenica con le 10 sedie impagliate, rievocando alcune sue opere site specific.

Nell’arte di Kounellis, vi è il ricordo del mito dell’età contadina e della civiltà agraria , precapitalistica come nel testo di Pasolini, non chè il rimando al frammento iconico del mito classico greco, con teste e frammenti di architetture classiche.

Pilade, il testo di Pasolini è un po’ questo; un quarto episodio che si potrebbe aggiungere alla trilogia dell’Orestea di Eschilo.

Pilade, il compagno di Oreste che ha sempre taciuto, nella trasposizione contemporanea  del mito antico pensata da Pasolini, rivendica il diritto di parola e di sovvertire l’ordine apparentemente democratico, che Oreste intende istituire nella città di Argo, dove egli è ritornato. Infatti Atena, la Dea della ragione, lo ha aiutato ad essere assolto nel tribunale dell’Aeropago, dall’accusa di matricidio.

Pilade però non accetterà l’ordine che Oreste vuole ristabilire, un ordine apparentemente democratico con l’istituzione delle libere elezioni. Infatti questo nuovo ordine è fortemente imparentato con le forze del passato che hanno sorretto la tirannia.

Pilade è però un intellettuale e il suo progetto rivoluzionario, teso a scardinare la consolatoria legge della Ragione di Atena, fallirà nel suo obiettivo.

Nella scrittura teatrale quindi, ricca di rimandi all’attualità, convivono sia i riferimenti all’esperienza di un possibile movimento movimento rivoluzionario che di conseguenza può associarsi a quello artistico, come fu il movimento dell’Arte Povera in italia in quegli anni.

Ad esso ho aggiunto, nella critica costante che Pasolini fa della società borghese italiana dell’epoca e della sua smania di esasperato consumismo, anche un grande pannello pittorico che, con i suoi strappi di manifesti, può ricordare l’opera  materica di Mimmo Rotella.

Lo spettacolo è pensato per un coinvolgimento emotivo dello spettatore. Già la sede della rappresentazione, un antico cortile, in cui vi è una stratificazione di elementi architettonici dal periodo normanno all’Ottocento, nel centro storico dell’isola di Ortigia a Siracusa, induce a un particolare straniamento della vicenda, tra passato e presente, che seppur contemporanea rimanda al mito antico ovvero al Oreste ed Elettra e alla trilogia eschilea.

Inoltre un tema che ho esplicitato è la presenza, nella rappresentazione dei quattro elementi della natura: acqua, aria, terra e fuoco; simboli della nostra percezione degli archetipi mitici e culturali a cui il testo teatrale rimanda.

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Storico dell’arte, curatore, saggista e docente, Gabriele Romeo si è laureato in Scienze e Tecnologie dell’Arte all’Universita di Palermo e ha conseguito la laurea specialistica in Storia dell’Arte Contemporanea all’Università di Bologna. Ha preso parte al corso di alta formazione ICON, per curatori, presso la Fondazione Fotografia di Modena. Ha curato il Padiglione dello Stato Plurinazionale della Bolivia alla 57ª Biennale Internazionale d’Arte di Venezia. Insegna Storia dell’arte contemporanea, Fenomenologia delle arti contemporanee, Storia delle arti applicate ed ha tenuto il corso di Linguaggi Multimediali all’Accademia Albertina di Belle Arti di Torino. Autore per la casa editrice Skira, con una prefazione di Mark Gisbourne, del testo da lui scritto ed illustrato #HASHTAGART. Ha curato mostre in Italia e all’estero dedicate ad artisti internazionali ed emergenti, collaborando a Venezia con la Fondazione Bevilacqua La Masa. Membro di AICA International, Open Section (International Association of Art Critics).

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