Alcarràs, l’ultimo raccolto. Sfida tra memoria, sentimenti ed economia. Orso d’Oro al Festival di Berlino 2022

Alcarras, l’ultimo raccolto. Sfida tra memoria, sentimenti ed economia. Orso d’Oro al Festival di Berlino 2002

Innamorarsi della Spagna, quella un po’pittoresca stile western, quella un po’ fertile realtà rurale, tra tematiche da vecchio tradizionale ‘900 ed incerto tecnologico 2000. Alcarras è in Catalogna ma potrebbe essere Palombara Sabina nel Lazio, tanto sono simili i metodi di coltivazione dei pescheti e tanto sono ancora umani i rapporti delle famiglie che là e qua tengono dietro alle coltivazioni.

Alcarràs è diventato un film narrato da una figlia di quella terra, Carla Simon, che malgrado i suoi 35 anni, ha vissuto a lungo in quei luoghi, li ha assorbiti e ne ha dipinto un affresco autentico e sincero. Una full immersion nella natura fatta di piante da frutta, campi di granoturco, orti pieni di genuine verdure, albe sconfinate, tramonti sfumati, notti dal buio profondo attraversato da animali selvatici.

Un racconto semplice ed allo stesso tempo intenso su un valore assoluto come quello tra il vecchio ed il nuovo, la sfida tra i sentimenti e l’economia.

Iniziando dalla vecchiaia, piena di nostalgia e di tristezza per l’incerto presente, continuando con l’età matura che vuole resistere al malessere delle cose che cambiano ed al futuro che irrompe nella quieta vita rurale e la cancella.

La regista Simon ha deciso di denunciare la morte imminente dell’agricoltura familiare tradizionale (che copriva, ancora alla metà del ‘900, l’80% della popolazione spagnola ed anche di quella italiana).

Dicendo forte e chiaro che ciò che sta cambiando non è solo il microcosmo della famiglia ma il mondo economico e sociale. Un de profundis molto allargato, che parte dall’agricoltura ma è critico sul sistema del capitalismo globalizzato e sulle sue trasformazioni attraverso nuove tecnologie, pur ecologiche, come i pannelli solari (una contraddizione evidente delle nostre coscienze ambientali).

La storia sembra banale ma tocca molti universali dell’Esistenza umana. L’entusiasmo e la tristezza, l’iniziativa e la rassegnazione, la forza e la fragilità, la lealtà e il tradimento, la vita e la morte, il passato e il presente.

La Simon ci fa toccare questi alti valori attraverso la semplicità della vita dei suoi autentici agricoltori (tutti non professionisti), delle loro azioni e reazioni al mondo che cambia, tutti dai vecchi ai bambini impotenti a cambiare il corso delle cose.

La famiglia Solé è costituita da generazioni di contadini. Il nonno ha avuto in dono i terreni, durante la guerra civile, dalla ricca famiglia Pinyol, senza nessuna carta firmata ed ora il giovane erede Pinyol vuole impiantare pannelli solari su quei campi per produrre energia elettrica. Per i Solé questo è l’ultimo raccolto di frutta prima della decapitazione di centinaia di piante di pesco e della partenza per altri lavori.

Alcarràs è un film sulla terra ma anche sulla memoria, sulla necessità di mantenere i propri ricordi per evitare che si perdano le proprie radici.

Il vecchio patriarca Rogelio è quello più colpito perché ancora vorrebbe credere al valore di una stretta di mano. Il figlio Quimet, il maschio che ha seguito le orme del padre non si rassegna a lasciare la terra e non può e non vuole dedicarsi ad altro. Ma anche il mercato della frutta è stato occupato dalle grandi catene alimentari che riducono continuamente i guadagni degli agricoltori (pagano la frutta 0,15 centesimi al kg.).

Mentre la famiglia di Quimet, la moglie Dolors ed i figli adolescenti Roger e Mariona cercano di aiutare il padre nella raccolta, il cognato Cisco e la sorella cercano un accordo con il proprietario Pinyol per poter essere assunti dalla Ditta che produce energia.

I ragazzi in questa situazione di malessere collettivo vedono il futuro lontano dalla loro terra, senza più identità, e si rifugiano in vie di fuga come il bere, la marijuana o il ballo dell’hip-hop, in una adolescenza ormai svanita.

Ma il valore aggiunto alla bellezza di questo film è dato dalla bambina Iris, terza figlia di Quimet, che con i piccoli cugini, in una infanzia incantata come una volta in passato, inventa e gioca con quello che scopre dentro la natura, da una macchina vecchia abbandonata ad una grotta scavata nelle rocce, dall’arrampicata per cogliere frutti succosi alla sepoltura mistica di un coniglio selvatico. In una sana e vivace fanciullezza ancora vissuta nella sua autenticità senza meccani o cellulari.

La regista Carla Simon con grande talento espressivo, coadiuvata dalla direttrice della fotografia Daniela Cajias ha ricreato paesaggi di affascinante ma realistica atmosfera agreste, con bellissimi campi lunghi, riprese dall’alto o primissimi piani immersi nel verde.

Pochi i dialoghi che hanno una grande importanza sia per una narrazione di ampio respiro sia per avvalorare la genuina recitazione di attori contadini non professionisti.

Un film elegiaco ma duro e sincero Alcarràs sugli stati d’animo delle persone e sulle problematiche del nostro presente, premiato con l’Orso d’Oro al Festival di Berlino 2002.

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Pino Moroni ha studiato e vissuto a Roma dove ha partecipato ai fermenti culturali del secolo scorso. Laureato in Giurisprudenza e giornalista pubblicista dal 1976, negli anni ’70/80 è stato collaboratore dei giornali: “Il Messaggero”, “Il Corriere dello Sport”, “Momento Sera”, “Tuscia”, “Corriere di Viterbo”. Ha vissuto e lavorato negli Stati Uniti. Dal 1990 è stato collaboratore di varie Agenzie Stampa, tra cui “Dire”, “Vespina Edizioni”,e “Mediapress2001”. E’ collaboratore dei siti Web: “Cinebazar”, “Forumcinema” e“Centro Sperimentale di Cinematografia”.

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