Love actually, questione d’amore

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Love actually è una questione d’amore. Quando vi assistei nel 2003 mi parve un filmino divertente che trattava dell’amore ai nostri giorni. Forse un po’ superficiale, ma divertente.

Non l’avrei mai definito un film di Natale, come poi sarebbe divenuto, perché c’era troppa distanza dai miei Natali, quelli senza pacchetti regalo, cenoni e insegne al neon, che somigliavano ad un silenzioso decorrere del Solstizio d’Inverno in attesa della Luce: un albero di cachi maturi, carico di lance di ghiaccio sotto la luna piena.

Invece no, avevo torto.

Love actually è un gran bel film perché durante gli anni ho scoperto che possiamo condividerlo con chi amiamo e ridere insieme. Niente si addice di più delle feste alla questione d’amore.
I detrattori ci sono sempre, si sa, sono dentro e fuori di noi ma in fondo sono utili per argomentare un discorso dialettico.
E qui ci vorrebbe una emoticon, decidete voi quale.

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Forse non ci si metterà mai d’accordo sulla felicità in amore, ma su Love actually e sulla bravura di Richard Curtis sceneggiatore non si discute: già acclamato per aver scritto rom com come Quattro matrimoni e un funerale, Notting Hill e Il diario di Bridget Jones, cocreò Mr Bean e nel 2013 non ci deluse con Questione di tempo.
Su Curtis, che sa parlare privo di affettazione dei sentimenti “buoni”, potremmo conciliare.

D’altra parte è indubbio che il test Anna Karenina lo fallirebbe. Si tratta di un test ispirato dalle parole di Tolstoj tratte dal romanzo omonimo e sostiene che la felicità può essere ottenuta solo dal soddisfacimento di una serie di condizioni: qualora assenti, ciascuna di esse descriverebbe una forma diversa di infelicità:
Tutte le famiglie felici si somigliano; ogni famiglia infelice è invece infelice a modo suo...

Riguardo la felicità ricordo un’altra frase, tratta dal film di Natale di me bambina, Lilli e il vagabondo, modificata quel tanto che serviva per farla pronunciare da un cane filosofo di cui mio padre raccontava sulla via del ritorno dal cine, costretto com’era a rispondere a tutti i miei “perché?”

Un cane infelice deve trovare altro cane più infelice di lui, allora è felice.

Cos’è la vita se non un collage di impressioni che poi si manifestano nel tuo mondo? E poi chi l’ha detto che l’amore non coincida con la felicità?

Cani/filosofia/Tolstoj.

I cani vennero per primi, cari amici, compagni di viaggio, come scrisse Schopenhauer: chi non ha mai posseduto un cane non sa cosa significhi essere amato; la filosofia fu il mio primo amore del liceo; la famiglia Tolstoj quella che avrebbe potuto realizzare il mio sogno di offrirmi volontaria nelle missioni in Africa.

Insomma, la felicità può avere risonanze diverse per ciascuno di noi ma Love actually racconta che non c’è un solo modo di essere felici ma tanti, l’importante è condividere  questi momenti della vita con chi amiamo.

E quale miglior momento per amare ed essere felici, più delle feste? Se una volta certe celebrazioni, compreso il Natale, erano considerate parte dei valori borghesi, bisogna ricordare che si vive sempre in bilico sui ponti del nostro tempo e l’equilibrio è necessario per non cadere preda delle idee.

Il film mostra che l’amore è già nella speranza e lo fa attraverso otto storie interpretate da attori bravi e pieni di humor (Hugh Grant, Colin Firth, Emma Thompson, Keira Knightley, Bill Nighy, Liam Neeson, Laura Linney, Alan Rickman), il tutto condito con quel pizzico di polvere di stelle che rende ogni racconto magico.

Love actually ci fa trarre un sospiro divertito con una rappresentazione del Natale attualizzata dall’uomo ragno, da una balena e dalle aragoste giganti. Rivedo spesso l’intervista radiofonica di Billy Mack (Bill Nighy) che trovo spassosissimo in duetto con lo scozzese Gregor Fisher.

E che dire della colf straniera (Lucia Moniz), di cui è innamorato Jamie (Colin Firth), che lo osserva affidarsi ad un improbabile portoghese per conquistarla? Qui i miracoli accadono davvero: lo strampalato Colin (Kris Marshall) che progetta di trovare l’amore negli Stati Uniti sarà esaudito non una ma ben 4 volte. Mentre Liam Neeson, che ha adottato il figlio della perduta compagna, impara a divenire una figura autentica e tenerissima per un bimbo orfano…

Hugh Grant, nei panni del primo ministro inglese, si accorge dell’ipocrisia della classe politica e festeggia con un goffo balletto la sua nomina.

Sembra che l’attore non volesse ballare e avesse cercato di evitare di girare quelle sequenze, a torto, perché si rivelarono eccezionalmente spiritose, anche grazie ad un efficace montaggio. Sulle note di Silent night, la dichiarazione d’amore di Andrew Lincoln con i cartoncini disegnati a Keira Knightley soddisferà i più romantici.

E la storia d’amore ancorché platonica tra due controfigure di porno divi (Joanna Page e Martin Freeman) è specchio dei tempi. Ma indubbiamente è Martine McCutcheon, nel ruolo di segretaria del primo ministro, che ci ricorda che occorre essere sempre noi stesse al di là delle mode, delle consuetudini e del moralismo. Così anche la moglie tradita (Emma Thompson) si renderà conto di non aver perso molto quando lascerà il marito e si aprirà ad una nuova consapevolezza di sé stessa…

Curtis, in The Laughter & Secrets of Love Actually: 20 Years Later, ha detto:
“I film possono fungere da promemoria di quanto possano essere belle le cose e di come esistano cose che potremmo ignorare e che sono, in effetti, i momenti migliori della nostra vita.”

Nel film mescola lacrime e ilarità, tenerezza e malinconia, amore e tradimento, aprendo e chiudendo il film in un terminal degli arrivi dell’aeroporto. Sfilano così i protagonisti di questa tranche de vie natalizia mentre la colonna sonora di Craig Armstrong con la hit Love is all around (l’amore è dappertutto) rallegra il film, assieme a brani di Joni Mitchell, Kelly Clarkson, Norah Jones e dei Beach Boys.

Indubbiamente a Curtis non sfugge quanto sia importante la musica per emozionare e sciogliere i nodi della mente che non ci permettono di essere “qui e ora”, a dispetto della nostra finitezza.

Basta quell’attimo e la magia è compiuta: siamo eterni.

Anche nel ricordo.

Già, è proprio una questione di amore.

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Fulminata sulla via della recitazione a 9 anni, volevo fare la filmmaker a 14 e sognavo la trasposizione cinematografica dei miei romanzi a 17. Solo a 18 anni ho iniziato a flirtare col cinema d'autore ed a scrivere per La Gazzetta di Casalpalocco e per il Messaggero, sotto lo sguardo attento del mio​ indimenticato​ maestro, il giornalista ​Fabrizio Schneide​r​. Alla fine degli anni 90, durante gli studi di Filosofia prima e di Psicologia poi, ho dato vita ad un progetto di ricettività ecologica: un rifugio d'autore, dove gli artisti potessero concentrare la loro vena creativa, premiato dalla Comunità Europea. Attualmente sono autrice della rubrica "Polvere di stelle" sul magazine art a part of cult(ure) e collaboro con altre testate giornalistiche; la mia passione è sempre la sceneggiatura, con due progetti nel cassetto, che spero di poter realizzare a breve.

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