Le parole e la musica del Commissario Ricciardi. Maurizio de Giovanni e la Passione

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Roma si colora di Napoli e di poesia per una sera. C’è Maurizio de Giovanni con il recital Il commissario Ricciardi in musica e parole. Da Passione a Caminito, sul palco del Teatro Palladium ma non è solo.

Ad accompagnarlo, oltre alla voce seducente e potente di Marianita Carfora e la maestria dei musicisti (Marco Zurzolo, Marco De Tilla, Pino Tafuto), ci sono i tanti personaggi che popolano le storie delle canzoni napoletane così profondamente legate allo scrittore napoletano e a uno dei suoi personaggi più noti e più riusciti: il commissario Luigi Alfredo Ricciardi.

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Una selezione mai casuale di brani del repertorio classico che scrivono e descrivono un viaggio fatto di gioie e sofferenze, quelle dei loro autori ma anche quelle dell’epoca, che hanno prodotto le melodie e i testi che hanno reso Napoli tanto famosa nel mondo.

Il teatro in Piazza Bartolomeo Romano ospita il recital all’interno della rassegna Le parole non bastano. Libri in dialogo con la musica a cura di Luca Aversano e Mariolina Venezia.

È proprio la scrittrice materana ad aprire con una breve chiacchierata con il collega partenopeo il viaggio, in parole e musica, nelle canzoni napoletane e nel romanzo Caminito. Un aprile del commissario Ricciardi (Einaudi, 2022). Il tema, ovviamente, è la scrittura.

I due si confrontano sul loro primo incontro cartaceo, sui trascorsi da bancario di de Giovanni (“lavorare è una parola grossa, diciamo che ci andavo”) e sul desiderio e i tempi dello scrivere.

“Io non volevo scrivere e se devo essere sincero al 100% non scriverei nemmeno adesso. Non ho il sacro fuoco, non ho il fatto di scrivere come espressione di me stesso. Io racconto storie e mi fa piacere raccontare storie perché è bello ed è divertente», confessa il padre de I Bastardi di Pizzofalcone.

Credo che la scrittura sia uno strumento e un tramite. Il vero racconto è quello orale, quello che si fa a voce. Nessuno di noi, nemmeno il più bravo di tutti, può raggiungere un decimo della capacità di una mamma che racconta al figlio una storia per farlo mangiare. Il suo è il racconto perfetto.

Quando dice «e poi arriva il lupo» e il bambino spalanca gli occhi e la bocca e mangia, quello è il massimo dell’immedesimazione. Tutti noi dovremmo tendere a raccontare una storia che porta chi ascolta ad entrarci dentro.

Questa è una cosa che molti scrittori spesso dimenticano, pensano di essere in grado di moltiplicare i pani e i pesci tranquillamente perdendo il senso di se stessi che è quello di essere uno che racconta storie e basta”.

L’omaggio e il ricordo vanno ad un grande della letteratura italiana contemporanea come Andrea Camilleri“la conoscenza del quale è forse uno dei regali più belli che mi abbia fatto la scrittura” – e al suo sogno di sedersi sulla fontana del suo paese, raccontare storie prima di andarsene in giro con la coppola e tornare a sedersi per raccontare un’altra storia.

Scrivere tanto e velocemente, capacità che non mancava a Georges Simenon ma nemmeno a de Giovanni:

“una volta che ho una storia e che ho raccolto la documentazione, vado lì dentro. E siccome vado lì dentro posso starci poco. Quindi tutti i miei romanzi sono scritti massimo in un mese. Io tengo moltissimo a scrivere in maniera tale che chi legge stia dentro la storia finché non finisce. Il complimento migliore che mi fanno è «per leggere te mi si sono addormentate le gambe».

E io capisco dove sono stato letto e perché. Questo senza dare giudizi sulla qualità del prodotto, però… [ride, ndr]. Mi piace perché mi dà una certa reazione emotiva.”

La stessa velocità con cui si riempie il teatro per l’evento. La fila dei deGiovanners (gli appartenenti all’ampio e molto attivo fans club dello scrittore, ndr) ma anche di curiosi e appassionati di musica e teatro, infatti, non tarda a farsi nutrita ed inizia ad accalcarsi davanti al teatro già un’ora prima che lo spettacolo cominci.

Un fermento che non sfugge allo sguardo attento di Mariolina Venezia che, presentandolo, definisce de Giovanni “uno dei pochi scrittori con l’appeal di una rock star.”

Infatti, il teatro è molto spumeggiante in questo momento». In sala, tra gli altri, anche Maria Rosaria Omaggio.

“In tutta la narrazione di Ricciardi, la canzone napoletana classica è molto presente. Del resto la canzone napoletana racconta storie affascinanti e diversi miei racconti sono dichiaratamente ispirati a brani storici del repertorio classico napoletano come Voce ‘e notte o Rondinella”, ha spiegato l’autore in un’intervista al quotidiano “Il Tempo” poco prima dell’evento.

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Storie vere, storie accadute realmente “belle quanto quelle inventate a saperle cercare”, quelle che si alternano ai grandi classici della tradizione musicale partenopea.

Uno dopo l’altro – guidati dalla sapiente narrazione dello scrittore che, come un novello Virgilio, porta il suo  pubblico a spasso nei vicoli di Napoli e del suo immenso patrimonio artistico – ecco Vincenzo Russo, il guantaio-poeta innamorato della bella Enrichetta che ammirava dormire dietro le finestre del palazzo di fronte (esattamente come il commissario Luigi Alfredo Ricciardi, del resto) a cui dobbiamo, grazie all’intervento di Eduardo Di Capua, capolavori del calibro di I’ te vurrià vasà e Maria Marì e poi Libero Bovio con le sue Reginella, Silenzio cantatore e Passione in cui canta la malattia mortale dell’amore e i cui versi suonano in In fondo al tuo cuore. Inferno per il commissario Ricciardi (Einaudi, 2014).

Fa la sua comparsa in scena il Signor Poeta, Salvatore Di Giacomo, con il suo amore dolce e travagliato con la giovane Elisa Avignano che alla morte del marito (5 aprile 1934) impazzì dal dolore al punto di distruggerne tutte le lettere e gli scritti (compresi due romanzi inediti che non vedranno mai la luce).

Da quest’opera di distruzione, però, si salvarono fortunatamente gli scritti compresi tra il 1906 e il 1911 che, oltre a permettere la ricostruzione della storia del grande e travagliato amore tra i due, ha permesso il ritrovamento di uno dei grandi classici della canzone napoletana: Palomma ‘e notte. Brano che, del resto, rappresenta il fil rouge delle vicende del romanzo Anime di vetro. Falene per il commissario Ricciardi (Einaudi, 2017).

Ultimo ma non ultimo, arriva Edoardo Nicolardi, umile impiegato delle poste legato ad una giovane donna (Anna Rossi) da un amore impossibile perché data in sposa ad un uomo anziano e facoltoso (Pompeo Corbara).

Per lei comporrà una serenata che ha al suo interno tutto il tormento di un lontano amore e tutto l’amore di un tormento antico e che resterà nella storia: Voce ‘e notte.
«Bisogna stare attenti alle canzoni napoletane perché hanno strani effetti», avverte ironico de Giovanni. La serenata di Nicolardi, infatti, porterà fortuna ai due amanti visto che pochi mesi dopo, alla morte di Corbara, i due poterono sposarsi e vivere finalmente la loro passione. Per omaggiare questo sentimento nasce – per volere di Clara Nicolardi, nipote di Edoardo – il prestigioso “Premio Nicolardi”.

Tra i premiati nel corso degli anni anche de Giovanni: «sono stato molto fortunato e ho ricevuto molti premi importanti ma nessuno mi è caro come il premio Nicolardi che ho ricevuto per aver raccontato proprio la storia di questa canzone in un libro dal titolo Serenata senza nome – Notturno per il commissario Ricciardi (Einaudi, 2016)».

Il forte legame tra i romanzi di Ricciardi alla canzone della tradizione partenopea non manca nemmeno in Rondini d’inverno. Sipario per il commissario Ricciardi (Einaudi, 2017) in cui fa capolino Rundinella, la malinconica canzone composta da Rocco Galdieri e Gaetano Spagnolo nel 1918 che racconta la vicenda di un uomo tradito e abbandonato dalla sua amata volata via come una rondine ma di cui lui aspetta speranzoso il ritorno.

Nel romanzo trovano spazio anche E allora? di Armando Gill (pseudonimo di Michele Testa) e Scetate di Ferdinando Russo musicata da Mario Costa.
Il pianto dell’alba. Ultima ombra per il commissario Ricciardi (Einaudi, 2019)
vanta invece la presenza di Tutta pe mme di Francesco Fiore musicata da Gaetano Lama e ‘E ccerase, testo di Salvatore Di Giacomo musicato da Antonio Buonomo.

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Tra personaggi, poesia, turbamenti amorosi, musica e aneddotica, si ride e ci si commuove, si canta e cunta l’amore. Ed è una standing ovation sentita e prolungata fatta di applausi, selfie e autografi quella che il pubblico capitolino tributa allo scrittore e alla sua band.

Passione (titolo originale dello spettacolo/conferenza cantata nella sua versione completa) conquista Roma e il suo pubblico, anche quello solitamente non avvezzo alla canzone napoletana o alla lettura delle avventure del commissario nato dalla penna di de Giovanni.

Non importa conoscere o meno il dialetto dei vicoli all’ombra del Vesuvio, è la musica, insieme alla poesia, ad aprire la strada accompagnando lo spettatore tra i bassi e gli storici caffè in cui si riuniva l’eccellenza culturale ed artistica partenopea.

La capacità narrativa e affabulatoria di Maurizio de Giovanni, però, non potrebbe fare a meno della ammaliante voce di Marianita Carfora e dell’altissima qualità dei suoi musicisti che vivono e collaborano con lui sul palco alla costruzione di questo sentiero poetico fatto di parole e musica nel patrimonio artistico partenopeo.

Sentiero o forse, per meglio dire, caminito (di quelli che “raccontano della stagione, che sanno accogliere gli amanti in un abbraccio felice. E che, a tornarci da soli, moltiplicano i rimpianti e sommergono di malinconia”) come quello del più recente romanzo dello scrittore – Caminito. Un aprile del commissario Ricciardi (Einaudi, 2022) – che si congeda, tra gli applausi, dal suo pubblico con una storia nel segno di quella “corregionalità mondiale che accomuna Napoli e le sue vicende a San Paolo del Brasile o a Buenos Aires. Più difficilmente a Mantova o a Treviso”.

Una storia e una canzone dell’altra parte del mondo in cui però si può facilmente trovare qualche assonanza con il repertorio che ha colorato la serata.

Quella di una ‘canzone strana’ la cui musica è stata scritta nel 1923 e le parole, che hanno cercato la musica e l’hanno trovata, nel 1926 a 1500km di distanza da due persone diverse che non si conoscevano: siamo nel tango, nei piedi e nell’anima di Juan de Dios Filiberto che musicò il testo di Gabino Coria Peñaloza, ispirato dall’amore sofferente e sofferto per María e da quella stradina dietro la sua casa «dove si incontrarono per tutto il tempo che Gabino restò lí, e furono passione e tenerezza, e tenerezza e passione, e parole dolci e melodie intense».

Quella «stradina che il tempo ha cancellato e che un giorno ci hai visti passare assieme. Sono venuto per l’ultima volta, sono venuto a raccontarti la mia pena» (Caminito que el tiempo ha borrado que juntos un día nos viste pasar. He venido por última vez, he venido a contarte mi mal).

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Classe 1987. Romana di nascita, siciliana d’origine e napoletana d’adozione. Giornalista professionista, comunicatrice e redattrice freelance. Da sempre appassionata di (inter)culture, musica, web, lingue, linguaggi e parole. Dopo gli studi classici si laurea in Lingue e comunicazione internazionale e in seguito, presso l’università “La Sapienza” di Roma, si specializza in giornalismo laureandosi con una tesi d’inchiesta sul giornalismo in terra di camorra. Ha poi conseguito un master in Giornalismo (biennio 2017 – 2019) presso l’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli. Giornalista per caso e per passione, ufficio stampa e social media manager per festival, eventi ed associazioni in particolare in ambito culturale e teatrale oltre che per Europride 2011, Trame – Festival dei libri sulle mafie e per Save the Children Italia (2022). Collabora con diverse testate occupandosi in particolare di tematiche sociali, culturali e politiche (dalle tematiche di genere all’antimafia sociale passando per l’immigrazione, il mondo Lgbtqia+ e quello dei diritti civili). Vincitrice della borsa di studio del premio “Giancarlo Siani” per l’anno 2019.
Fotografa, spesso e (molto) volentieri.

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