Investire in Cultura. Alessandra Pellegrini e il meraviglioso mondo del fund raising culturale

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Investire in cultura (Nutrimenti) di Alessandra Pellegrini non è un manuale per fund raiser ed è molto di più di un saggio.
È la storia dell’autrice; è un storia che si sviluppa attraverso gli anni e mostra le sfaccettature, le intuizioni e qualche crepa di un sistema di finanziamento che nasce come una soluzione di condivisione e cura, assomiglia a una specie di incantesimo per le politiche culturali, ma che – a mio avviso – con il tempo si è trasformato in un ennesimo balzello per la colelttività (quando si chiama crowdfunding) e in un dispositivo di manipolazione politica quando ad aderirvi sono imprese e finanziatori.

Ma solo Alessandra Pellegrini, che ha nelle mani e nella scrittura la forza della curiosità, la pazienza dell’esperienza, la meraviglia dei risultati, può raccontarci questo meraviglioso mondo in cui il denaro può trasformarsi in arte.

Per chi è a Roma, martedì 18 aprile alle ore 19,30 potrà incontrare l’autrice, assieme a Vittorio Sgarbi, Andrea Cancellato, Gaddo delle Gherardesca e al moderatore Angelo Lorenzo Crespi alla Libreria Spazio Sette.

Il suo libro è un viaggio affascinante in un mondo che, a prima vista, non sembrerebbe così stimolante. Eppure offre punti di vista davvero inconsueti sul lavoro culturale. Qual è stata la scintilla che l’ha portata a raccontare la sua esperienza e a condividerla con i lettori?

Un po’ il caso, io le chiamo le coincidenze, come è avvenuto tante volte nella mia vita… nel 2019 avevo deciso di abbandonare l’insegnamento in Cattolica, mi rendevo conto di non avere un approccio molto accademico all’insegnamento, forse anche perché proprio poco propensa a dedicarmi alla scrittura e molto di più all’azione.

Poi è arrivata la pandemia e non potevo più “agire” e ho avuto tanto tempo a disposizione per pensare e scrivere. Ho riflettuto a lungo e poi ho deciso di incominciare a scrivere per ripercorrere la mia vita professionale e capire se potesse uscirne qualcosa di utile.
Non avevo mai risposto alla richiesta di pubblicare, è nata così l’idea di condividere la mia esperienza.

Quale lettore aveva in mente quando ha cominciato a scrivere questo libro? Solo professionisti della raccolta fondi?

Prima di tutto i giovani. Vorrei che questo libro confermasse loro che c’è sempre la possibilità di poter fare ciò che si desidera, bisogna essere creativi e inventarselo
Oggi diciamo che il mondo a cui i giovani si affacciano sia molto più difficile del nostro…forse è vero però hanno davanti a loro infinite possibilità di ruolo nel mondo lavorativo, ogni giorno nascono nuove professioni…spero che la mia storia li possa ispirare

Una frase che colpisce molto è quella in cui afferma che occorre passare dalla mentalità della questua a quella dello scambio. Ma, materialmente, come far intendere a un finanziatore che non si sta questuando? Oggi sembra essere ancora più difficile, a volte la bontà del progetto non basta e il ritorno per il finanziatore non è sempre visibile né a livello concreto né a quello di immagine o di rete.

In effetti ha ragione, c’è molta offerta di buone cause da sostenere e non sempre si può dimostrare che portino ritorni misurabili ma oggi, fortunatamente, si stanno facendo passi da gigante nel poter fornire dati concreti a supporto della credibilità di una causa. La mia storia racconta più di relazioni umane, più che di numeri.

Fare adesso questo mestiere, significa poter contare, oltre a ciò che racconto nel libro, anche sui dati. È lì che bisogna porre nuova attenzione per corroborare le buone cause…il mondo è cambiato in questo senso anche se gli esseri umani no, e quindi la nostra passione può avere ancora un grande ruolo per il successo di una campagna di fund raising.

Lei dice che trattare in nome di un ente importante sembrerebbe rendere le cose più semplici. Ma da dove iniziare quando si è pressoché sconosciuti? Cosa bisogna avere? Faccia tosta, una rubrica fitta di nomi e indirizzi, conoscenze particolari, fiducia in quello che si propone?

La prima regola è condividere i valori e la missione di coloro per cui si lavora. Porsi come un ponte tra loro e il mondo delle imprese, partendo però dalla valorizzazione delle loro relazioni e dall’analisi del mercato di riferimento…facile a dirsi ben più complicato a farsi…sicuramente vedersi come dei facilitatori e stimolatori di relazioni è una chiave vincente…Prima di chiedere di partecipare ad un progetto, bisogna creare una relazione.

Restando sul pratico, come si contattano i nomi illustri? Cosa bisogna fare, dire, avere per riuscire a coinvolgerli? Perché un premio Nobel dovrebbe aver piacere a venire alla prima della Scala?

Perché un Premio Nobel dovrebbe venire alla Scala? Perché lui è un’eccellenza e la Scala lo è altrettanto e quindi si riconosce nell’istituzione.
Come si contattano i nomi illustri? Essendo molto convinti di volerlo fare e studiando tanto, informandosi e trovando l’occasione giusta, il tramite, le parole giuste per farlo…in questi mesi sto vivendo una delle mie lotte più dure.
Ho un progetto in cui credo tantissimo ma senza il consenso di una specifica multinazionale non può partire. Sto cercando da quasi un anno di parlare con questa realtà, si era aperto un canale ma si è rapidamente chiuso, ne ho cercato un altro che mi aveva dato speranze ma poi è sparito, adesso ho trovato i contatti giusti e potrei agire ma ho acquisito delle informazioni che mettono in crisi l’intero mio progetto.
Cosa faccio? Mollo? No! Sto studiando una soluzione alternativa e poi utilizzerò i contatti attenuti dopo 9 mesi di avvicinamento…ci vuole perseveranza, pazienza e determinazione…ricordandosi sempre di controllare di non superare mai la linea che divide la cosa difficile da quella impossibile.

La figura del fundraiser è abbastanza recente e si modifica continuamente e rapidamente anche grazie al trasformarsi delle tecnologie. Le modalità che racconta nel suo libro sono ancora valide? La digitalizzazione ha cambiato l’approccio, le tecniche, le risposte?

Credo che le mie considerazioni possano essere forse utili ma quello che ci aspetta con il metaverso per il mondo delle Istituzioni Culturale credo che sia una vera meraviglia…un nuovo mondo da scoprire e dove confrontarsi esprimendo tutta la nostra creatività, anche come fund raiser.

L’intelligenza artificiale che oggi sembra rappresentare il futuro può aiutare il fundraiser? Già esistono “assistenti virtuali” nelle piattaforme di crowdfunding che aiutano i neofiti. Bastano, basteranno in futuro? Come vede l’evolversi di questa professione?

AI aiuterà tutti, in tutti i settori. Ho grande fiducia, purtroppo, come avvenne per la scoperta del fuoco, ci saranno anche grandi incendi e con questi grandi perdite, ma poi ho fiducia che anche questa nuova straordinaria risorsa sapremo governarla per il bene dell’Umanità.

Io sono cresciuta a pane e Intelligenza Artificiale grazie a mio padre, professore in Elettronica applicata nella Facoltà di Fisica a Milano… quando avevo quattordicianni mi parlava di banche dati, libri elettronici e robot… ma non perché ne parlava ma perché li studiava e li creava 50 anni fa. Lui ha scritto libri seri, non il mio racconto, e mi ha lasciato il più bel regalo del mondo, la capacità di sognare!

Infine, quale consiglio vorrebbe dare a chi inizia ora ad occuparsi di raccolta fondi, soprattutto perché possa lavorare, per quanto non semplicissimo, soltanto per i progetti in cui crede?

Ho letto recentemente una frase che mi ha colpito e su cui si potrebbe scrivere molto, ma ve la propongo perché forse è utile come viatico per trovare una risposta a questa domanda: Scegli il tuo amore e ama la tua scelta!

Scegliere un lavoro è una cosa molto seria e che condizione la nostra vita tutti i giorni, come scegliere con chi condividere la propria vita, è una scelta valoriale. Bisogna sempre farsi molte domande prima di accettare un incarico o un lavoro. È bene avere chiare le ragioni per cui lo si sceglie. Qualunque nostra azione è una nostra responsabilità e dobbiamo esserne consapevoli, ci rende liberi!

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Giornalista culturale e autrice di testi ed adattamenti, si dedica da sempre alla ricerca di scritture, viaggi, tradizioni e memorie. Per dieci anni direttore responsabile del mensile "Carcere e Comunità" e co-fondatrice di "SOS Razzismo Italia", nel 1990 fonda l’Associazione Teatrale "The Way to the Indies Argillateatri". Collabora con diverse testate e si occupa di progetti non profit, educativi, teatrali, editoriali, letterari, giornalistici e web.

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