I due Papi. Le vite parallele di due uomini alle prese con le responsabilità e la coscienza.

Due uomini profondamente diversi, accomunati dallo stesso destino. Due uomini in crisi, che vedono nelle dimissioni l’unica via d’uscita dallo stallo in cui si trovano le loro vite.
Uno nelle stanze del Vaticano, l’altro in Argentina. Uno pronto al “gran rifiuto” e a rinunciare alla cattedra di Pietro, l’altro al ruolo di cardinale arcivescovo per tornare a fare il prete tra i poveri dei barrios di Buenos Aires. Due dimissioni artefici di un grande cambiamento, non solo nelle vite dei diretti interessati ma anche nella storia umana ed ecclesiastica.
Sono loro, con le loro umanissime incertezze, i protagonisti de I due Papi, opera teatrale di Anthony McCarten – da cui è stato tratto un film Netflix di grande successo a livello planetario – per la regia di Giancarlo Nicoletti, che sarà in scena dall’11 aprile al 30 aprile al Teatro Sala Umberto di Roma.

immagine per i due papi

Una co-produzione Goldenart Production, Viola Produzioni, Altra Scena e I due della città del sole su licenza di Muse of Fire Production Ltd e in collaborazione con Festival Teatrale di Borgio Verezzi – dove al suo debutto è stato accolto come ‘un lavoro strepitoso’ – che vede in scena, nei panni dei due pontefici, due grandi interpreti del teatro italiano: Giorgio Colangeli (Papa Benedetto XVI, nato Joseph Aloisius Ratzinger) e Mariano Rigillo (Papa Francesco al secolo Jorge Mario Bergoglio). Accanto a loro anche Anna Teresa Rossini, Ira Fronten e Alessandro Giova.

Uno spettacolo che, a dispetto del titolo, non vuole essere in alcun modo una dissertazione teologica ma oscilla «fra documento storico, humor e dramma» ripercorrendo «non solo i giorni frenetici che portarono dalla rinuncia di Benedetto all’elezione di Francesco, ma anche le ‘vite parallele’ di due uomini molto diversi, accomunati dallo stesso destino. E, soprattutto, ci racconta la nascita di un’amicizia – speciale e inaspettata – fra due personalità fuori dall’ordinario», si legge nelle note di regia.

Va in scena, infatti, l’incontro-scontro, a tratti anche ironico, tra due personaggi profondamente diversi ma allo stesso tempo segnati dagli stessi tormenti interiori. Un incontro in Vaticano che – realmente avvenuto o meno – «ci riguarda tutti, in quanto uomini, trascendendo dalla dimensione religiosa o spirituale, e oltre il pruriginoso interesse che sempre suscitano le questioni vaticane».

Il tema profondo è quello della crisi e, in particolare per Ratzinger-Colangeli, quello della solitudine (talvolta auto-imposta) di fronte a eventi e scelte che sembrano insostenibili e troppo grandi da affrontare e «di come a volte sia difficile, se non impossibile, per un solo uomo il fardello delle responsabilità e ci pone l’interrogativo di quanto, veramente, sia giusto o meno perseverare o se non valga la pena, a volte, scendere dalla propria croce».

Al centro di tutto, infatti, c’è una domanda senza tempo: quando si è in crisi, bisogna seguire le regole o la propria coscienza?

immagine per i due papi

Di fronte alla maestosità degli affreschi della Cappella Sistina, Ratzinger e Bergoglio si confrontano su temi relativi alla fede – dalla crisi della Chiesa (non mancano i riferimenti a temi ‘scottanti’ come pedofilia, banca vaticana e la posizione nei confronti di omosessuali e divorziati) alla loro vocazione («non posso più sedere sulla cattedra di Pietro perché non sento più la voce di Dio. Sento solo silenzio») – ma anche molto più terreni come il tifo calcistico e i gusti musicali perché prima ancora che religiosi sono uomini.

Ci sono proprio due uomini al centro della scena, due uomini alle prese con il potere e come gestirlo. Da una parte c’è chi lo affronta seguendo il dogma, l’intransigenza e il rigore dello studioso (il “pastore tedesco”, e non solo per la passione per Il commissario Rex), dall’altra con il cambiamento e la conciliazione (il radicale ed empatico cardinale argentino appassionato di calcio e di tango).

Due caratteri opposti ma entrambe necessari, tra tradizione e innovazione. In entrambi, infatti, c’è la consapevolezza del proprio essere umani («siamo tutti malati di superbia spirituale. Non siamo Dio, siamo umani») e, proprio per questo, il sentirsi piccoli di fronte ad una sfida troppo grande: «sono un peccatore, i cardinali non possono scegliere me». Proprio da peccatori si confessano l’uno all’altro ammettendo le proprie colpe e fragilità e, superando le proprie ‘inconciliabili’ differenze si riconoscono.

«Dio corregge il Papa dandocene un altro. E io voglio ammirare la sua opera», dice Ratzinger a quello che riconosce come il suo successore naturale e necessario. Se inizialmente il timore dell’elezione di Bergoglio era un motivo per non dimettersi, diventa poi una spinta a farlo: «Per qualche oscuro motivo avverto la necessità di un Bergoglio. Sono uno studioso, non un manager. Ho un pacemaker e sono cieco dall’occhio sinistro e qui ci vogliono tanti occhi per vedere. Dacci una chiesa per il terzo millennio. Una Chiesa che parla alla gente, da amare. E ricordati di San Francesco». Un invito che Bergoglio, come sappiamo, accoglierà.

«Due papi, ma è impensabile!?», esclama in scena il pontefice argentino, come fino a dieci anni fa avremmo fatto tutti. Eppure, da quel marzo 2013 – con l’elezione di Bergoglio dopo che un mese prima Benedetto XVI aveva lasciato il mondo senza fiato con le sue dimissioni, le prime dopo più di sette secoli – al 31 dicembre 2022 l’impossibile è diventato possibile, anzi realtà.

Le scene, curate da Alessandro Chiti, insignito del Premio “Mulino Fenicio” per la migliore scenografia, regalano allo spettacolo – già impreziosito dall’ottima interpretazione degli attori oltre che dalle note di Dancing queen degli Abba – una resa scenica preziosa ed elegante riproducendo dai giardini di Castel Gandolfo alla terrazza di San Pietro fino all’iconica Cappella Sistina.

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Classe 1987. Romana di nascita, siciliana d’origine e napoletana d’adozione. Giornalista professionista, comunicatrice e redattrice freelance. Da sempre appassionata di (inter)culture, musica, web, lingue, linguaggi e parole. Dopo gli studi classici si laurea in Lingue e comunicazione internazionale e in seguito, presso l’università “La Sapienza” di Roma, si specializza in giornalismo laureandosi con una tesi d’inchiesta sul giornalismo in terra di camorra. Ha poi conseguito un master in Giornalismo (biennio 2017 – 2019) presso l’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli. Giornalista per caso e per passione, ufficio stampa e social media manager per festival, eventi ed associazioni in particolare in ambito culturale e teatrale oltre che per Europride 2011, Trame – Festival dei libri sulle mafie e per Save the Children Italia (2022). Collabora con diverse testate occupandosi in particolare di tematiche sociali, culturali e politiche (dalle tematiche di genere all’antimafia sociale passando per l’immigrazione, il mondo Lgbtqia+ e quello dei diritti civili). Vincitrice della borsa di studio del premio “Giancarlo Siani” per l’anno 2019.
Fotografa, spesso e (molto) volentieri.

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