L’Onesto Fantasma. Tognazzi, Marchetti e Sciarappa celebrano sulla scena l’amico Bruno Armando

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Eravamo quattro attori in scena poi siamo rimasti in tre. Forse. L’onesto fantasma, spettacolo recentemente in scena al Teatro Sala Umberto di Roma, per la regia e la drammaturgia di Edoardo Erba e la produzione di Altra Scena e Viola Produzioni, ruota intorno alla storia di quattro amici, quattro attori. Sul palco, però, ce ne sono soltanto tre: Gallo, Costa e Tito, al secolo Gianmarco Tognazzi, Renato Marchetti e Fausto Sciarappa. Il quarto, Nobru, è il fantasma e quello intorno a cui ruota l’intera vicenda.

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Foto LiveMedia/LPM/Roberto Bettacchi
Nobru, che compare solo in video, è l’anagramma di Bruno cioè Bruno Armando, attore scomparso nel 2020 e legato a Tognazzi, al regista e agli altri due interpreti da una grande amicizia oltre che da trascorsi professionali. Quello che va in scena è, infatti, oltre che un omaggio all’amico venuto a mancare ma anche uno spettacolo universale sull’amicizia e sul teatro che trova nell’assenza di un compagno fraterno il suo filo conduttore.

La narrazione si sviluppa attraverso una sorta di metateatro. Incontriamo i tre protagonisti, infatti, alle prese con l’elaborazione del lutto per l’amico e collega appena scomparso. I ricordi, grazie anche ai video girati con il telefonino in tournée, strappano sorrisi e lacrime. Il tempo passa ma non il dolore. Si rincontrano, la mancanza dell’amico è ancora forte.

Mentre Gallo, la cui carriera decolla tra cinema e tv, riesce ad andare avanti quanto meno professionalmente, gli altri due soffrono anche a livello artistico ed economico la perdita del collega. In particolare Costa che, in preda ad una forte difficoltà economica, trascina Tito nel progetto di ricomporre la ditta teatrale per mettere in scena l’Amleto. Il tutto, però, coinvolgendo – non senza difficoltà – anche Gallo, che ha promesso a se stesso di non tornare più sul palcoscenico senza l’amico e collega, e il defunto Nobru a cui vorrebbe affidare il ruolo del fantasma del padre del protagonista.

Come Gallo ricorda a Tito – e come Erba ribadisce nelle note di regia – l’Amleto è la storia di una vendetta o «meglio, l’analisi poetica dei sentimenti di un vendicatore. Cosa che calzava perfettamente con l’idea che avevo in mente.

L’Onesto fantasma dunque è un’assenza. E come tale si vendica dei tradimenti dei suoi tre amici, costringendoli a una penosa confessione. Ma contemporaneamente rivela di essere l’essenza del sentimento che li legava e li legherà per la vita. Sui tre protagonisti di questo piccolo dramma, scende lo spirito santo.

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Foto LiveMedia/LPM/Roberto Bettacchi
E il funerale mancato, che ha generato un lutto mancato, si consuma improvvisamente, traumaticamente, ma in un modo infine benefico. I tre scoprono nel teatro il luogo dove l’elaborazione di un conflitto diventa poesia, trova un modo per farsi accettabile e consentirci di andare avanti».

Il gioco scenico – particolarmente riuscito – di Erba consiste, infatti, nella creazione di un parallelismo tra l’opera di Shakespeare e le vicende dei suoi personaggi giocando sia con la ‘follia’ che sembra cogliere Gallo – vittima più o meno inconsapevole delle trame di Costa – e la dimensione dell’aldilà e dell’esoterismo creando una commistione meravigliosa tra le due (o meglio tre visto che quella al centro della pièce è, a sua volta, ispirata a quella reale degli interpreti) storie.

La scenografia è essenziale, quattro praticabili e una serie di video, ma si avvale delle luci che cambiano repentinamente quando si passa dall’opera di Erba a quella del Bardo, vista però da un punto di vista insolito, cioè quello del fantasma.  Non una rilettura ma un pretesto per seguire una linea narrativa che supporta la vicenda al centro dello spettacolo.

È una storia di amicizia, ricordi e intimità ma anche di frustrazioni e invidie. Uno spettacolo che è quasi una catarsi, un omaggio e un nuovo inizio.

«Per me – spiega Gianmarco Tognazzi, in un’intervista – questo spettacolo rappresenta la possibilità di mantenere una promessa. Quella che avevo fatto a Bruno Armando con cui ho lavorato per 14 anni in ditta teatrale che era quella che saremmo tornati insieme in teatro. Grazie ad Edoardo Erba e a questo meraviglioso testo torno con Bruno sul palco come ci eravamo detti ed è una grandissima emozione».

«Per il pubblico, invece, è – aggiunge – la possibilità di assistere ad uno spettacolo che parla di teatro, che parla di amicizia e di cosa significa dover convivere con la perdita di un amico che ha fatto parte di un gruppo e quindi di come si riesce ad andare avanti per quelli che rimangono cercando di avere la forza. Questa forza si trova forse soltanto avendo la capacità di dirsi finalmente tutto in faccia per poter ripartire».

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Uno spettacolo che ha dovuto attendere due anni prima di vedere la luce. «Gianmarco Tognazzi, Renato Marchetti e Fausto Sciarappa mi hanno chiesto di scrivere qualcosa su Bruno», spiega il regista e autore. «Ho dovuto – aggiunge Erba – aspettare, però, due anni prima di farlo perché la ferita anche per me era troppo fresca e dolorosa. Poi mi è venuta un’idea dissacrante e spiritosa ma che allo stesso tempo poteva l’amicizia e una possibile crisi di questa amicizia tra quelli che rimanevano».

Indubbia la capacità attoriale di Tognazzi, Marchetti e Sciarappa che sanno trasmettere al pubblico, superando la famigerata quarta parete, anche la propria emozione nel ricordo di quell’amicizia interrotta – non nell’affetto – per la morte di Bruno Armando.

Il tormento che rasenta la follia di Gallo, la rabbia spasmodica di Costa e la fragilità di Tito sono in un certo senso le emozioni degli stessi interpreti che dopo la scomparsa dell’amico vivono “senza”, insieme a un “senza” accanto.

Nel finale, tutt’altro che ovvio, si consuma la catarsi. La “presenza” di Nobru funge come una sorta di specchio portando a galla segreti, paure e verità represse ma anche permettendo ai protagonisti di guardarsi dentro e di guardare all’amicizia e al sentimento che li lega e di rinsaldarlo anche nel nome di Nobru e della sua mancanza che rischiava di allontanarli.

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Classe 1987. Romana di nascita, siciliana d’origine e napoletana d’adozione. Giornalista professionista, comunicatrice e redattrice freelance. Da sempre appassionata di (inter)culture, musica, web, lingue, linguaggi e parole. Dopo gli studi classici si laurea in Lingue e comunicazione internazionale e in seguito, presso l’università “La Sapienza” di Roma, si specializza in giornalismo laureandosi con una tesi d’inchiesta sul giornalismo in terra di camorra. Ha poi conseguito un master in Giornalismo (biennio 2017 – 2019) presso l’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli. Giornalista per caso e per passione, ufficio stampa e social media manager per festival, eventi ed associazioni in particolare in ambito culturale e teatrale oltre che per Europride 2011, Trame – Festival dei libri sulle mafie e per Save the Children Italia (2022). Collabora con diverse testate occupandosi in particolare di tematiche sociali, culturali e politiche (dalle tematiche di genere all’antimafia sociale passando per l’immigrazione, il mondo Lgbtqia+ e quello dei diritti civili). Vincitrice della borsa di studio del premio “Giancarlo Siani” per l’anno 2019.
Fotografa, spesso e (molto) volentieri.

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