Butterfly, il sopravvissuto. Le stragi di mafia viste dagli occhi di chi rimane

immagine per Butterfly, il sopravvissuto. Le stragi di mafia viste dagli occhi di chi rimane

Dopo una strage c’è chi muore e chi resta in vita, morti che camminano in una vita fatta di fantasmi, sensi di colpa e incubi. Saro, agente di scorta di un magistrato ucciso insieme ad altri agenti in un attentato, appartiene a quest’ultima categoria. È lui il protagonista di  Butterfly, il sopravvissuto, pièce in scena – da un testo di Gianni Clementi – in occasione del trentunesimo anniversario della strage di Capaci (23 maggio 1992, ndr) al Teatro Ghione di Roma.

A vestire i panni di Saro è Francesco Benigno – attore e regista palermitano noto per il film Mery per sempre da cui prende il nome l’associazione artistico culturale di promozione e sviluppo per iniziative legate al mondo dello spettacolo e della cinematografia che dirige a Palermo per aiutare giovani talenti ad emergere – che cura anche la regia dello spettacolo.

immagine epr Butterfly, il sopravvissuto. Le stragi di mafia viste dagli occhi di chi rimane
foto di Claudio Pezzillo

È il capo-scorta del ‘dottore’, un magistrato amante dell’opera che spesso durante i viaggi fa ascoltare le arie preferite anche agli agenti che lo accompagnano, in particolare Madama Butterfly di Giacomo Puccini.

È lui l’unico sopravvissuto all’attentato. L’autobomba che, dopo l’interrogatorio ad un pentito svoltosi nei camerini di un teatro, fa esplodere la macchina del magistrato e lo uccide insieme agli altri agenti della scorta –  Cecé (Roberto Di Liberti), Lollo (Maurizio Nicolosi) e lo svedese –  lasciando lui miracolosamente in vita, lo segnerà per sempre.

In preda alla cosiddetta “sindrome del sopravvissuto” vivrà incastrato in quegli attimi come un eterno maledetto presente tra i sensi di colpa per aver concesso a Lollo di prendere il suo posto alla guida quel giorno e il senso di impotenza per non esser morto quel giorno al posto del giovane Cecé che da lì a breve sarebbe diventato padre e a cui mancavano solo due esami e la discussione della tesi per laurearsi in giurisprudenza e perseguire il suo sogno di diventare magistrato.

L’autobomba che spegne per sempre la vita e la lotta per la giustizia del ‘dottore’, i sogni di Cecé, la voglia di vita e l’amore per il ballo e per il Catania calcio di Lollo, il rigore dello Svedese, pur lasciandolo in vita, uccide anche Saro.

immagine epr Butterfly, il sopravvissuto. Le stragi di mafia viste dagli occhi di chi rimane
foto di Angelo Marano

Oltre alla sua carriera (verrà trasferito – a seguito del trauma subito – all’ufficio passaporti a svolgere mansioni meramente amministrative e non più operative), vittima del suo dolore senza cura sarà anche la relazione con la compagna Melina (Tiziana Tumminello) che gli resterà accanto soffrendo però per la drammatica condizione del compagno in preda ogni notte ad urla e sogni agitati cui potrebbe metter fine con degli psicofarmaci ma che testardamente sceglie di farne a meno per poter incontrare, almeno nei sogni, i suoi amici e fare i conti – perennemente in perdita – con i suoi fantasmi.

Indiscusso merito della pièce – oltre a riportare in scena il tema dell’impegno contro la criminalità organizzata e della memoria di quanti e quante hanno perso la vita proprio in virtù di questo impegno – è sicuramente questo ribaltamento della prospettiva nella narrazioni delle stragi.

Il punto di vista stavolta non è quello delle vittime o dei familiari delle vittime ma quello di chi resta in vita e si trova a fare i conti con un particolare senso di colpa, quello di essere sopravvissuti.

“Hibakusha”, come in Giappone vennero definiti i sopravvissuti ai bombardamenti atomici di Hiroshima e Nagasaki, spesso lasciati in un angolo e dimenticati anche nella liturgia delle grandi celebrazioni.

Un senso di colpa tanto vivo in Saro da spingerlo a vigilare di nascosto – rischiando, anche, di passare per un malintenzionato – per anni sulla vedova e sul figlio orfano del giovane collega.

Come durante una lite gli ricorda la stessa Melina, la donna dopo qualche anno si è rifatta una vita con un nuovo compagno mentre lui, per il suo tormento interiore, dopo quel drammatico evento ha rinunciato anche al loro sogno di avere un figlio, di vivere una vita di coppia felice e di viaggiare.

Solo in un secondo momento, Saro riuscirà finalmente a rivolgere la parola e a presentarsi a quel giovane uomo (interpretato sempre da Di Liberti) così somigliante a quel padre, che a causa dell’attentato non ha mai conosciuto, in un dialogo catartico che potrebbe aiutarlo a trovar pace, almeno per un po’.

immagine epr Butterfly, il sopravvissuto. Le stragi di mafia viste dagli occhi di chi rimane
foto di Angelo Marano

La scenografia è essenziale: un letto, prima oggetto di scena del teatro in cui si svolge l’interrogatorio del pentito poi luogo dei sogni senza pace di Saro e Melina, una panchina e uno scrittoio che di volta in volta si piegano alle esigenze narrative e un kimono, simbolo di quella Madama Butterfly e del suo tragico epilogo.

La narrazione è costruita soprattutto attraverso i dialoghi, in vita e nei ricordi di Saro, tra i tre agenti e successivamente con Melina.

L’interpretazione è intensa – degna di nota quella dell’esordiente ventenne Roberto Di Liberti e quella di Maurizio Nicolosi che strappa risate con l’indole spumeggiante del suo personaggio – anche se in un paio di passaggi eccessivamente urlata ma sicuramente in grado di rendere la partecipazione emotiva degli attori rispetto alla vicenda narrata.

Sul finire dello spettacolo fanno il loro ingresso in scena i ritratti – realizzati da Nino Sancarlo, tra gli artefici del muro della legalità che, a Palermo, raffigura volti dei personaggi che hanno sacrificato la propria vita per difendere ideali come la legalità e la giustizia – di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino e de “gli uomini della scorta” (con buona pace dell’agente Emanuela Loi e del suo essere donna) di cui vengono scanditi i nomi, accompagnati anche dalla proiezione di video di repertorio.

Grande assente la dottoressa Francesca Morvillo, anch’ella magistrata e vittima della strage del 1992, in scena il suo ritratto non c’è e tanto meno il suo nome viene pronunciato.

+ ARTICOLI

Classe 1987. Romana di nascita, siciliana d’origine e napoletana d’adozione. Giornalista professionista, comunicatrice e redattrice freelance. Da sempre appassionata di (inter)culture, musica, web, lingue, linguaggi e parole. Dopo gli studi classici si laurea in Lingue e comunicazione internazionale e in seguito, presso l’università “La Sapienza” di Roma, si specializza in giornalismo laureandosi con una tesi d’inchiesta sul giornalismo in terra di camorra. Ha poi conseguito un master in Giornalismo (biennio 2017 – 2019) presso l’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli. Giornalista per caso e per passione, ufficio stampa e social media manager per festival, eventi ed associazioni in particolare in ambito culturale e teatrale oltre che per Europride 2011, Trame – Festival dei libri sulle mafie e per Save the Children Italia (2022). Collabora con diverse testate occupandosi in particolare di tematiche sociali, culturali e politiche (dalle tematiche di genere all’antimafia sociale passando per l’immigrazione, il mondo Lgbtqia+ e quello dei diritti civili). Vincitrice della borsa di studio del premio “Giancarlo Siani” per l’anno 2019.
Fotografa, spesso e (molto) volentieri.

My Agile Privacy
Questo sito utilizza cookie tecnici e statistici. Cliccando su "Accetta" autorizzi tutti i cookie. Cliccando su "Rifiuta" o sulla X rifiuterai tutti i cookie eccetto quelli necessari per il corretto funzionamento del sito. Cliccando su "Personalizza" è possibile selezionare quali cookie attivare.