Erodiade. La straordinaria Francesca Benedetti rende omaggio a Giovanni Testori

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Francesca Benedetti con Giovanni Testori

Cosa dire di questa Erodiade, andata in scena ai Giardini della Filarmonica, spettacolare nella potenza in cui, dal palco quasi vuoto, raggiunge e cattura il pubblico?
Forse solo che è, in tutto e per tutto, un omaggio a Giovanni Testori, nell’anno del suo centenario.
Anche quegli schizzi che Testori (come Victor Hugo) ha fatto nel corso della stesura del testo. Schizzi di teste decollate, sanguinanti, che mostrano i fili di nervi e carne che ci congiungono alla vita e che – grazie alla video animazione di Francesco Scandale sono diventati mobili, rotanti, trasformati: anch’essi scenografia e monito.

Così come le musiche di David Barittoni che spaziano dalla violenza alla leggerezza; dall’eco elettronico alla soavità.
Un omaggio vivo.

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Erodiade, Francesca Benedetti

Francesca Benedetti che, nella sua lunga carriera, ha interpretato grandissimi autori  (Nicolaj, Jonesco, Shakespeare, Beckett, Giraudoux, Arrabal, Büchner, Brecht, Ibsen e ancora, e ancora), diretta da altrettanto importanti registi del teatro del ‘900, ha per Testori un sentimento partticolare.

Lo comprende, lo vive, ne porta certezze e ambiguità, rivoluzioni e restaurazioni. Ne accetta e si orna della milanesità dello scrittore e lo rende ancora una volta vivo, dopo essere stata interprete di Ambleto, ispiratrice e interprete del Macbetto, con questa Erodiade che sa completamente di sangue e, quindi, di vita.

Erodiade, madre di Salomè, ripudiò il suo primo marito e divenne regina convivendo con Erode Antipa, il fratello di questo. Uno stato inaccettabile per le leggi ebraiche.

Di questa ignominia li accusava Giovanni Battista, Iokanaan, che predicava il verbo di Cristo. Giovanni fu incarcerato per questo, ma Erode non ebbe mai il coraggio di metterlo a morte. Solo il ricatto di Salomè che in cambio della sua danza chiese la testa del profeta, fece compiere il destino.

Il personaggio di Erodiade, benché storico, a noi arriva più facilmente dalla letteratura che dai Vangeli e viene comunque interpretato, non c’è verità per Erodiade e allora ecco Testori – che lo scrive nel 1969 e lo rimaneggia più volte, anche dopo la sua “conversione” – farne una terribile eroina della passione, in nome della quale riesce a commettere un delitto selvaggio, quasi archetipico senza provare nessuna vergogna né senso di colpa.

Ma non solo, perché l’autore incatena il personaggio anche a due variabili che gli tolgono ogni autonomia: da un lato gli dà un ruolo escatologico, rendendolo il tramite del fato di Iokanaan; dall’altro lo assoggetta alla rappresentazione:

Erodiade non troverà in sena il pugnale col quale avrebbe dovuto concludere la danza dei destini e tornerà per un istante ad essere l’interprete stupefatta che cerca una soluzione a tale inconveniente. La troverà battendosi il petto, ma l’ingnno teatrale non è finito perché ora sì, da quel petto, sgorgherà nuovamente sangue vivo.

Tutto è finzione, tutto è realtà. Nonostante i significati, le filosofie, le riflessioni che si celano in questa storia, alla fine – come scrive Valentina Mancinelli nel suo paper dal titolo Erodiade di Giovanni Testori Tre versioni ella stessa tragedia –  «Erodiade, maschera in scena, paga lo scotto d’aver osato troppo, e nel finale, lo scrittore le rammenta che è solo un personaggio, un burattino nelle mani di un fato crudele e già scritto. Se anche ha riconosciuto l’assenza di senso della vita, se ha saputo farsi eroica e divina nell’affrontare la caduta delle illusioni, purtuttavia deve affrontare l’ultima tragica beffa».

Lo spettacolo, come dicevamo, è, in tutto e per tutto, un omaggio a Giovanni Testori. La grande capacità attoriale fa un passo indietro per illuminare il testo che fin dalle prime battute si impone su ogni altra partitura o drammaturgia.

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Francesca Benedetti con Giovanni Testori

C’è Testori. Testori regna. Regna grazie alla grandezza di Francesca Benedetti che ne diventa lo strumento con cui si fa carne, ma Erodiade non è una prova d’attore.
È una celebrazione.

Probabilmente lo è sempre stata visto che lo stesso autore lo riteneva un testo talmente difficile da recitare, da aver immaginato queste parole che accompagnano il lento cammino per arrivare in proscenio: «Quella che prende avvio così faticosamente, non è una rappresentazione e neppure una recita decentemente recitabile; è soltanto una catena di parole. Una lotta senza dimensioni emisure tra te, me e il tuo Dio […]»

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Giornalista culturale e autrice di testi ed adattamenti, si dedica da sempre alla ricerca di scritture, viaggi, tradizioni e memorie. Per dieci anni direttore responsabile del mensile "Carcere e Comunità" e co-fondatrice di "SOS Razzismo Italia", nel 1990 fonda l’Associazione Teatrale "The Way to the Indies Argillateatri". Collabora con diverse testate e si occupa di progetti non profit, educativi, teatrali, editoriali, letterari, giornalistici e web.

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