La parola al Teatro #84. Clitennestra. Il processo. Per non dimenticare la realtà del mito.

Clitennestra. Il processo, spettacolo scritto da Alma Daddario e portato in scena quest’estate nei luoghi delle antiche leggende, per la regia di Sebastiano Tringali, la coreografia di Aurelio Gatti e i costumi di Marina Sciarelli Genovese nella sua attualità rappresente uno di quei testi dedicati a offrire la comprensione di sfere vitali dimenticate.

immagine per Clitennestra. Il processo

Rendere alla mitologia il suo significato simbolico è una necessità che nel Novecento comincia a muovere scrittori e pensatori fino a svelare i misteri dei simboli e ad attribuire loro il ruolo di guida nei percorsi della psiche così come della società.

Ma, più i tempi s’involvono e più torna (incomprensibilmente, a dire il vero) l’abitudine alla lettura testuale dei miti e più si ha necessità di ricollocare i significati e i percorsi da intraprendere per comprenderli profondamente.

Clitennestra, la regina di Micene, per i greci è  l’echidna (la vipera), la cagna, è il pensiero che inganna. Non esita ad uccidere suo marito Agamennone per vendicare il sacrificio della figlia Ifigenia, operato per mano dello stesso re. Regna da sola come fosse un uomo, non ha vergogna del suo adulterio e vive immersa in una faida che nasce di lontano ma diventa viva in un momento storico in cui grandi rivoluzioni, sociali (come il passaggio alla polis ) e culturali stanno avvenendo nel mondo mediterraneo.

Sono proprio queste che, già a partire dalla metà dell’Ottocento, grazie allo storico e antropologo Johann Jakob Bachofen, fanno sì che il suo mito cominci a simboleggiare il passaggio storico tra il matriarcato, di cui lei è rappresentante, e il patriarcato. Una realtà, probabilmente dovuta all’invasione di popoli indoeuropei, o semplicemente al modificarsi dei bisogni, che è durata almeno mille anni e che, nella penisola ellenica, si è verificata proprio successivamente alla guerra di Troia.

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Clitennestra, forse, non è mai esistita e questa ipotesi avvalora ancora di più il messaggio simbolico che Alma Daddario esplica nel processo in cui tutte le creature che attorniano la regina intervengono nei loro diversi ruoli, a confermare una sentenza che è stata già data, probabilmente alla nascita di Clitennestra. Sono le voci di Cassandra, di Agamennone, di Oreste suo figlio e carnefice e di Elettra figlia fedele, però, alla memoria del padre.

Una maledizione di Afrodite la condanna (così come sua sorella Elena, causa della guerra) ad essere adultera. Sposa di Tantalo, e madre, diventa bottino di guerra e viene costretta a sposare Agamennone l’assassino di suo marito e di suo figlio.

Da Agamennone ha quattro figli: Ifigenia (che significa “nata da violenza”) Crisotemi, Elettra e Oreste.

Ifigenia viene sacrificata agli dei per propiziare i venti che dovevano portare le navi dei guerrieri greci a Troia.
È qui che Clitennestra, che nulla ha potuto per fermare lo scempio, trasforma il suo dolore in un odio incontenibile che la porta alla vendetta.

La drammaturgia è un intrecciarsi continuo di parola, danza (Carlotta Bruni, Rosa Merlino, Paola Saribas, Matteo Gentiluomo, Luca Piomponi) e musica, elementi fra i quali Clitennestra (Valeria Contadino) racconta la sua storia sfortunata, i legami, i torti subiti.

Il testo è forte, coinvolgente e soprattutto non scontato. La danza ineccepibile nel ritmo e nella forza del significato, tutto sottolineato dai costumi inconfondibili che esaltano l’azione.  Non semplice il lavoro attoriale che, a volte, risente di una sorta di timore ad esporsi compiutamente, anche se nel finale la voce e la fermezza riprendono consistenza.

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Nel suo raccontare da un letto scarno, quasi d’ospedale, Clitennestra non si giustifica, sa che non potrà essere assolta, ma ripropone, in una sorta di confessione diretta allo spettatore, la sua vita, le violenze subite in tutte le sue forme di donna: sposa, madre, regina.

Non trova nessuno che possa difenderla, né un tribunale di umani (che, invece, soccorrerà suo figlio Oreste perdonandolo dall’accusa di matricidio), né una benevolenza degli dei. Lei è un’assassina. Anche se dell’uomo più brutale, tracotante, fedifrago e a sua volta assassino.

Nulla vale comparare le orribili azioni commesse: al crudele re di Micene la società  riconosce la legittimità dei suoi atti, mentre condanna senza speranza la donna. Come ancora oggi avviene, quando il ripetersi della storia si cela dietro i giudizi morali.

Ma la voce di Clitennestra resta quella di tutte le donne spezzate ed oltraggiate in ogni angolo del mondo.

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Giornalista culturale e autrice di testi ed adattamenti, si dedica da sempre alla ricerca di scritture, viaggi, tradizioni e memorie. Per dieci anni direttore responsabile del mensile "Carcere e Comunità" e co-fondatrice di "SOS Razzismo Italia", nel 1990 fonda l’Associazione Teatrale "The Way to the Indies Argillateatri". Collabora con diverse testate e si occupa di progetti non profit, educativi, teatrali, editoriali, letterari, giornalistici e web.

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