PLPL #9. Zerocalcare, enciclopedia di un eroe suo malgrado

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Idolo generazionale, maestro di pensiero, esportatore della romanità nel mondo. Tutto questo e niente di tutto questo, per carità, guai dargli tanti accolli. Eppure sta di fatto che Zerocalcare, al secolo Michele Rech, a Più libri più liberi arriva accolto – e con ragione – come un eroe.

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Forse perché chi lo ama, sente di non poter essere tradito. Eppure a lui, proprio questo, sembra fare più paura di ogni altra cosa: «Si sono moltiplicati i possibili scivoloni, pensavo che bastasse non voler fare cose elettorali, non stare dalla parte di chi mette in galera i miei amici, le mie insindacabili regole di base. Ma mi hanno persino accusato di aver tradito un pubblico più ampio per non mancare al mio contesto originale. Ho cercato di rimanere intellettualmente onesto».

È probabilmente per questo che è così amato da chi si riconosce in questo giocare (ma è davvero un gioco?) nell’emblema del fallito, isolato, che non mangerebbe senza il fondamentale ausilio del microonde, e che ancora, anche adesso che il successo è dalla sua, considera i due o tre ragazzini a cui fare ripetizioni come un orizzonte possibile – di più, necessario – se i soldi dei disegnetti dovessero finire.

Sono forse questi, i suoi coetanei, che hanno eletto i fumetti prima e le serie poi a serbatoio inesauribile di massime, citazioni e scene epiche. Spaventati e perennemente mangiati dal senso di colpa e dalla percezione del ritardo sulla vita mentre tutti gli ultimi amici con cui andavano ai concerti sono diventati padri e madri di famiglia. Solo che loro lo nascondono, mentre Zerocalcare ne ha fatto una narrazione e per ognuno ha trovato un volto, in un universo di personaggi talmente popolato da aver bisogno di una Enciclopedia Calcarea – uscita per BaoPublishing – per non perdersi.

Maschere per mettersi a nudo, e affidare al pubblico subito senza aver mai avuto (o voluto) il tempo di sbagliare rotta, di sperimentare e tornare indietro. E trovandosi adesso con le paure di chi il confronto con pubblico lo deve prendere di petto suo malgrado.

Lo sa bene Serena Dandini, che dialogando con lui davanti a un auditorium gremito si concede spesso uno sfoggio divertito di romanità, ma lo sintetizza con saggia ironia. «Con un fidanzato potrei, ma come lo spiego al pubblico che l’ho tradito?» La risposta, Zerocalcare l’ha già messa nel suo lavoro: «Ho cercato di non peggiorare il mondo con la roba mia».

L’altra ancora di salvataggio, è un “senato” etico, gli amici di una vita, quelli a cui la sorte ha guardato con meno benevolenza, ma che continua a considerare migliori di lui. Ci sono loro «a cui sottoporre i miei dubbi, per condividere le responsabilità. Perché spesso gli stimoli a cui sono sottoposto sono antitetici a quello che farei per mia indole».

Amici che lo ancorano alla realtà, ma non solo: il rapporto con loro illumina quello di Michele con la vita, e di conseguenza la radice più autentica del suo personaggio: «Ci sono amici miei che hanno fatto meno strada e questo mi fa sentire ingiusto. È a loro che chiedo le cose di attualità di cui ho paura».

Al resto ci pensa la sua censura morale, l’essere rimasto quello che nel linguaggio punk si chiama straight edge. Uno che non fuma, non beve, non assume sostanze che diano dipendenza. Insomma, con l’ironia senza filtri tipica del fumettista di Rebibbia, un talebano «Mi do un sacco di regole perché ho il terrore che la minima deroga faccia cedere la diga».

Nel suo pervicace rivendicare la propria aderenza a se stesso, Zerocalcare, si fa portavoce Dandini, ci ha fatto sentire meno soli a partire, per il grande pubblico con i video sagaci e in pieno stile Calcare di Rebibbbia Quarantine, molto prima per chi affollava, da sempre le sue presentazioni costringendolo anche a tredici ore di disegnetti e a quintali di plumcake da non saper più dove lasciare (chi scrive c’era, e ne ha giovato per mesi: l’allora ufficio comunicazione del Circolo dei Lettori di Torino ringrazia).

Quell’esperienza, spiega, a lui ha permesso di incontrare persone che non avrebbe mai incontrato mai, ma la verità è che l’uomo dietro il fumetto è, dice Dandini, uno tignoso, che ha insistito lui per avere gli spazi da editori che gli dicevano «Non c’è mercato per il suo genere».

Citofonare Netflix, che si è visto recapitare mail a indirizzi improbabili prima che un editore rendesse possibili due serie Strappare lungo i bordi e Questo mondo non mi renderà cattivo – in origine pensate nell’ordine inverso – che hanno fatto – e faranno – epoca.

Anche in questo caso, l’uomo Michele Rech ribatte con una disarmante sincerità, in cui si può riconoscere chiunque abbia velleità, nella sua generazione ma non solo, di fare un mestiere artistico: «Sono tignoso perché non ho piani B».

Per fortuna, è soprattutto in questi spazi dalla cultura tradizionale ancora guardati con sospetto che l’Italia ha prodotto figure di livello assoluto. Come lui Mattia Torre, sceneggiatore di Boris e La linea verticale, a cui secondo Dandini lo avvicina l’ironia vicina a Mattia Torre, e la cui assenza, sintentizza Zerocalcare a nome di molti, «è la cosa che in questo momento mi sembra un disastro».

In un incontro perfettamente esemplificativo di cosa sia lo Zerocalcare-pensiero, c’è spazio, anche per «la cattiveria di Valerio Mastandrea» autocandidato armadillo/coscienza, e per gli amici di sempre, come Sara uno dei più amati della serie, che però è autonomo dal suo corrispettivo che «non ha mai avuto cedimenti».

Nei giorni in cui, fortunatamente, anche gli uomini si sentono chiamati a riflettere su se stessi, Zerocalcare ci era arrivato prima. Il suo lavoro, secondo Dandini, con leggerezza e precisione spiega il famigerato patriarcato. Anche in questo caso, però, la tendenza di Zerocalcare è spogliarsi da ogni mitizzazione, sempre catalogabile alla voce accollo. Così facendo, però, la sintesi è perfetta.

«Io sono un maschio nato negli anni Ottanta, con sta roba ci sono cresciuto. Farci dell’ironia è metterla a tema e provare a sgonfiarla. Del resto, faccio i fumetti piagnoni perché di sentimenti coi miei amici non ci parlo, o al più con assoluta solennità»

Come ben sa chi lo ha sentito parlare, e come si può facilmente intuire, quello alla Nuvola di Fuksas è un incontro ad alto tasso di romanità. In cui un simbolo di Rebibbia, periferia nord est della capitale, incontra una romana doc, che rivendica la propria appartenenza a Roma Nord.

Un mondo, per i romani, più che una nota geografica. Ma del resto, spiega Dandini: «Più uno è locale più internazionale, ce l’ha dimostrato Joyce con Dublino, Ma a Dublino non c’è lo stesso sense of humor».

Roma è una prova, e un ancora: «mi ha salvato la vita perché a Roma non ti puoi prendere troppo sul serio, qualcuno è subito pronto a darti del mitomane. Uno impara a fare ironia su sè stesso per evitare che ti ammazzino gli altri». Uno stato dell’anima, forse, più che della carta di identità.

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Nata (nel 1994) e cresciuta in Lombardia suo malgrado, con un' anima di mare di cui il progetto del giornalismo come professione fa parte da che ha memoria. Lettrice vorace, riempitrice di taccuini compulsiva e inguaribile sognatrice, mossa dall'amore per la parola, soprattutto se è portata sulle tavole di un palcoscenico. "Minoranza di uno", per vocazione dalla parte di tutte le altre. Con una laurea in lettere in tasca e una in comunicazione ed editoria da prendere, scrivo di molte cose cercando di impararne altrettante.

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