Arte Fiera Bologna con i suoi 50 anni non è una boomer. Premi, report e tutto.

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Arte Fiera Bologna, la più antica e longeva tra le kermesse d’Italia, ha festeggiato, in questo 2024, i suo 50 anni di vita rivelandosi meno boomer di quel che ci si poteva aspettare.

Ovviamente nata con uno scopo commerciale, ha mantenuto questo carattere con alterne fortune e si è sempre distinta per inclinazione nazional-popolare pur aspirando – e spesso riuscendo – ad associarvi un’attenzione curatoriale.

In questa edizione appena conclusa abbiamo salutato con soddisfazione il ritorno di una maggior qualità rispetto al passato. Simone Menegoi (Verona, 1970), al timone di questa ammiraglia da ben sei anni, è riuscito in un più spedito cambio di passo che ci auguriamo si radicalizzi.

In generale, le gallerie in Fiera sono state più attente a mostrare opere attraverso allestimenti calibrati e meno affastellati in effetti bric-à-brac che distoglievano da una buona fruizione che stavolta – con le inevitabili eccezioni – è stata di nuovo possibile.

La vitalità anche collezionistica ha animato e rincuorato galleristi ed artisti: un pubblico composto da meno parvenu, passerellari* e curiosi – questi, pur beneaccetti: solitamente sono gli unici paganti: 27 euro! – e da una maggiore presenza di intenditori disposti all’acquisto si è constatata eccome.

Peccato per la latitanza internazionale: nonostante l’operoso impegno di Menegoi per un riorientamento in questo senso, le gallerie straniere di peso si son disperse, che peccato.

Positivo il dialogo con il territorio specialmente tramite eventi collaterali e un indotto a ricasco di ulteriori iniziative proprio stimolate dall’Art Fair ufficiale.

Un inciso: l’immancabile Giuseppe (Pino) Boresta, l’artista guastatore, ironico e critico provocatore, situazionista, che stavolta, con i suoi libri rettificati e regalati o lasciati in bella vista a mo’ di bookcrossing anzi, artcrossing, quest’anno ha rischiato l’arresto e patito un (vero) malore perché trattato da molesto abusivo infiltrato da chi non ha (ri)conosciuto il suo notissimo e guadagnato (sul campo) diritto alla libera espressione e performance irregolare, alla sua Arte per Tutti. Tant’è.

Non va però dimenticato che un tale e allora sconosciuto, ma già talentuoso, Maurizio Cattelan si imbucò ad Arte Fiera 1991 con un proprio stand illegittimo dove si mise a commerciare gadget di una squadra di calcio fantasiosa, da lui organizzata e sponsorizzata e composta da giocatori tutti immigrati africani.

Quell’operazione è stata omaggiata dall’azienda di ceramiche di design Mutina, che ha commissionato (tramite Sarah Cosulich, curatrice di Mutinafor Art) e prodotto l’installazione BECAUSE: ma la nera Z di Zorro, come un taglio di Lucio Fontana, su una parete e un gatto pure nero rivolto verso un angolo di quella struttura resa come una sorta di stanza-palco aperta, ben visibile a tutti e maiolicata dalle ceramiche disegnate ad hoc da Michael Anastassiades, pare più un monumento sepolcrale che un colpo di genio maestro.

Questo intervento di Cattelan appare come sempre, e comunque, irriverente, sfuggente ma in questo caso molto molto paracul… pardon: canzonatorio; ed è piuttosto debole: di spirito e di anima come, ad ogni modo, il Sistema dell’Arte e il nostro Universo Mondo così come lo abbiamo trasformato. Amen.

Cosa ha registrato di particolare questa festosa Arte Fiera 2024?

Il ritorno di alcune gallerie quali Apalazzo Gallery, Laveronica, Lia Rumma, Lorenzelli Arte, Franco Noero, Ronchini, Sprovieri; una ripresa della ceramica (Davide Monaldi da Sales; Guglielmo Maggini da Sara Zanin; Ontani da L’incontro; Luigi Presicce da Rizzuto, solo per fare alcuni esempi) e la ricomparsa della pittura, di quella meno liccata: in ogni caso capace di coniugare al meglio possibile etica ed estetica per non cader nella “cosmetica” (Ulay docet); più artiste donne e, come abbiamo indicato, una selezione più accurata di opere, con una notevole presenza di Fotografia.

Ecco a tal proposito le dolenti note legate a una domanda che ci siamo fatti di fronte alla solita ghettizzazione della Fotografia e dell’immagine in movimento: perché mettere in Fiera una sezione apposita, schiaffata in fondo al padiglione del cosiddetto contemporaneo quando tantissimi lavori fotografici, ad esempio, erano presenti anche ovunque nelle varie altre gallerie (Giovanni Ozzola da Continua; Mimmo Jodice da Vistamare; Francesco Jodice da Michela Rizzo; Julia Bornfeld da Antonella Cattani; Paolo Ventura in mixed media e fotografia da Marcorossi, dove c’era anche un Matteo Basilè), e pure nell’area del moderno (Nino Migliori e il suo tuffatore del 1951 da M77, ad es.)?

Quando la finiremo di separare opere, specifici e collezionisti come se fossero altro rispetto a quanto afferente all’arte ad esempio pittorica, scultorea etc.?

Altra nota, ma a piè di pagina: quel collezionismo specializzato che si ipotizzava più interessato a quel segmento specifico ha però latitato, è mancato quello più forte, internazionale, maggiormente disposto ad apprezzare e portarsi a casa capolavori fotografici (figuriamoci video!). Amen.

Facendo un riassunto e un resoconto di quel che si è evidenziato, segnaliamo: la buona tenuta di Alighiero Boetti, le cui opere erano presenti adeguatamente; un po’ meno invadenza di lavori di Lucio Fontana; anche di Mario Schifano ne sono stati portati meno, ma quelli esposti tutti importanti (Tonelli; Studio Gastalla; Eddart di Roma; Repetto, con un grande Acerbo anni ’80; Campaiola con un Incidente del ’63 appartenuto alla storica galleria romana La Salita di Gian Tommaso Liverani), ma in generale opere dei romani anni Sessanta se ne sono viste poche.

Ben posizionato Uncini (da Armanda Gori Arte di Prato; e dalla E3 di Brescia con, tra l’altro, un significativo Architetture, 2006 oltre a magnifici Ugo La Pietra, uno splendido Mattiacci, Canevari, Nunzio, Pinelli, un’opera-ologramma di impatto poetico di Michelangelo Bastiani e, sbirciando nel retro ufficio/magazzino, una serie fotografica sui ghiacciai e i loro teli di copertura di Claudio Orlandi; e inaspettatamente Boetti un carro armato nero e assoluto di Canevari).

Tiene Piero Dorazio (da Mazzoleni; dalla belga Edouard Simeons; da Maurizio Corraini di Mantova; da Progettoarte ELM; da Santo Ficara; da Mucciaccia etc.); ubiqui Carla Accardi (Richard Saltoun – Roma/Londra; Edouard Simeons; Campaiola; Mucciaccia; Farsetti; Minini; Litografia Bulla), Giorgio Griffa (a L’Incontro; da Stefano Forni; da Ferrarini etc.) e anche Ettore Spalletti (da Vistamare; da Edouard Simeons; da Lia Rumma etc.).

Inevitabilmente, molti Salvo: l’operazione portata avanti per posizionarlo a livello di mercato dell’arte si sta palesando da un po’, e qui taccio; stesso dicasi, con meno evidenza, ancora, per Valero Adami; si è individuata pure una notevole quantità – con qualità – di Emilio Isgrò (da L’Incontro; da M77; Guastalla; da Gaburro, da Tornabuoni con un ironico, colorato Giotto, ovvero Io dichiaro di non essere Giotto, 2014), e si è notata un’articolata, assidua presenza sia di Gianni Asdrubali (da A Arte Invernizzi; da Santo Ficara e alla Galleria Girald che gli ha riservato un ampissimo stand monografico), sia di Marco Tirelli, tornato in qualche misura protagonista in molte gallerie sia di Moderno che di Contemporaneo (tra le tante: Marcorossi; galerie Placido; Nicola Pedana etc.).

Non possiamo dimenticare un particolare Scarpitta nello specifico, ovvero lo strepitoso, Barefoot, del 1964, da Studio Gariboldi; e Domenico Gnoli da Santo Ficara: in special modo, La Gioconda, del 1965, una cornice nella cornice in cui la citazione leonardesca si fa magrittiana e misteriosa presenza che ci mostra le spalle guardando il paesaggio davanti a sé…

Nemmeno la galleria Il Ponte di Firenze è passato inosservata con lo stand dedicato allo sperimentale SKMP2, film del 1968 di Luca Maria Patella con episodi-performance di Sargentini, Kounellis, Mattiacci, Pascali, lo stesso Patella e Rosa Foschi (appoggiava questa scelta una selezione di opere degli artisti coinvolti nel “pionieristico progetto supportato dalla galleria L’Attico di Roma”).

Passando da Gianni Dessì vs Giuseppe Gallo rispettivamente alle gallerie Umberto Benappi vs Niccoli-Sperone (per l’occasione in… coppia) per un omaggio alla Scuola Romana di San Lorenzo, troviamo la galleria di Fabrizio Russo che nelle scelte del Moderno ha dato spazio a opere come sempre museali (Duilio Cambellotti, Leoncillo, Capogrossi, Umberto Boccioni, Tato aerofuturista, Giacomo Balla futurballa, Fausto Pirandello, Maurice de Vlaminck, solo per dire di alcuni, e più sculture di Medardo Rosso, una delle quali, udite udite, dalla collezione di Margherita Sarfatti).

Frittelli,  che ci ha abituati a una costante alta qualità nelle sue partecipazioni alle Art Fair, nel suo stand ha allestito una sorta di liofilizzazione della mostra in corso nella sua galleria fiorentina, Gruppo 70. Una guerriglia verbo-visiva, a cura di Raffaella Perna (che sabato 3 febbraio presso la Book Talk Area di ArteFiera ha presentato la connessa pubblicazione per i tipi di Silvana Editoriale), che evidenzia “l’attualità di uno dei movimenti più radicali della scena artistica italiana degli anni Sessanta”, nel libro raccontato attraverso testi e opere degli artisti stessi. In vendita anche opere di altri protagonisti di quegli anni tra cui Libera Mazzoleni; sua è, dalla serie Uno sguardo sul mondo, l’opera intitolata Niente bombe, su Ulrike Meinhof, della banda armata Raf / Rote Armee Fraktion (Banda Baader-Meinhof), incarcerata per terrorismo a Stammheimer, in seguito trovata morta per suicidio assai sospetto, probabili violenze subite e… il suo cervello trafugato e analizzato: storia dura e oscura che molto colpì l’artista che ne fece una profonda riflessione ad arte.

Nel settore più contemporaneo (semmai sia lecita tale separazione), da Massimo Minini e da Francesca Minini insieme, si evidenziano i duri lavori autobiografici e qui compositi di Jacopo Benassi; da perdere gli occhi sono i collage di francobolli colorati e ordinatissimi (visti pure alla Sales) di Flavio Favelli;  meraviglioso è il paravento di Sabrina Mezzaqui, Punti di vista,1998, fatto con cartoline di Bologna – ben 300 – ritagliate a mano e rese quasi merletti, o intarsi al contrario – cioè mancanti di materia costruttiva – e ricomposte in una campionatura che richiama il tema della memoria, sempre caro all’artista.

Apprezzata da Continua la pittura di Marta Spagnoli, le sculture di Arcangelo Sassolino, le opere di Shilpa Gupta, in particolare un enorme tutte-stelle allover ricamato con fili colorati su tela di lino neutra: poetica e fortissima; e una grande foto di Giovanni Ozzola, La vida y la muerte me están desgastando, dal titolo del celebre romanzo storico del 2006 dello scrittore cinese e Premio Nobel per la Letteratura Mo Yan.

Ineluttabile la presenza di almeno un busto di Francesco Vezzoli: alla Galleria Franco Noero (che ha mostrato anche opere di Anna Boghiguian, Lothar Baumgarten, Pablo Bronstein, Tom Burr, Jason Dodge, Sam Falls, Martino Gamper, Mario García Torres, Hassan Sharif, Simon Starling, HenrikOlesen) dominava un suo Achille (non ABO!) con Body painting sul volto (2021); in questo booth è parso riuscito anche il dialogo tra un nudo fotografico (Lisa Lyon) di Mapplethorpe e una sorta di environment domestico ma geometrizzato, astrattizzato, e con tanto di tovaglia fatta ad hoc e vaso di fiori, del messicano Gabriel Kuri.

Apparentemente tranquillizzante lo stand de Laveronica, tornata ad Arte Fiera con una selezione strutturata su etica e politica, con Daniela Ortiz, Igor Grubic, Alejandra Her, Adelita Husni Bey, Moira Ricci; Corrado Gugliotta è stato coinvolto anche in COLPO AL BIANCO dell’artista peruviana Ortiz e prodotto da ArteFiera e Fondazione Furla e installazione da agire e agitare che ha voluto denunciare, chiassosamente con un vero tiro al bersaglio, assai particolare, il dominio che l’industria bellica ha esercitato indisturbata negli ultimi 90 anni, e il fatto “che la sua invisibilità ha garantito l’assoluta immunità ai pochi individui che controllano, sviluppano e impongono il suo potere”.

Pittura pittura da Federico Rui Arte Contemporanea, con Daniele Galliano; anche da Primo Marella tanta pittura: mistica-surrealisteggiante Agostino Arrivabene, Alessandro Sicioldr e Ruben Pang – e di artisti asiatici e (finalmente!) africani, pure selezionati da Osart (Feni Chulumanco, Jeanne Gaigher, Franklyn Dzingai, Sethembile Msezane, Katharien de Villiers, Wilfred Timire e Ikeorah Chisom Chi-FADA da Sud Africa, Zimbabwe e Nigeria) e da Ncontemporary (che ha scelto Silvia Rosi – MAXXI Bulgari Prize –, di Modena ma con origini del Togo, che porta nelle sue opere anticolonialiste).

Anche da Francesco Pantaleone c’è la pittura, ma mescolata ad altri linguaggi, e pure impegnata, di Stefania Galegati che ha riempito e tappezzato lo stand per dare vita alla narrazione dell’utopico ma possibile progetto sull’Isola delle Femmine, isolotto di quasi 15 ettari e a 19 chilometri da Palermo e che rischiava di essere alienato, venduto a privati; così, l’artista ha puntato all’acquisto ideando una raccolta fondi aperta e una comproprietà. Ma solo donne potranno acquisire una parte dell’isola – onorando il suo antico nome –, che resterà tutelata, parco naturale e, soprattutto, una volta trovati tutti i 3,5 milioni di euro necessari, in buone mani: femminili.

Da Rizzuto governava il perturbante lavoro di Luigi Presicce (ceramica!), da Lia Rumma, tra Beecroft, Kentridge e Spalletti, il neon Existetial time #.9, 2019, di Joseph Kosuth; da Giampaolo Abbondio è stato possibile godere in santa paceah, meravigliosi i suoi divanetti per la contemplazione e la tregua dalla fatica dell’erranza tra padiglioni: grazie! – delle opere Jason Middlebrook, artista americano ospite a Todi da Abbondio per realizzare opere in quella che l’artista e il gallerista ricordano come un’estate calda in modo infernale (2022) e tale da sciogliere i colori sulla tela…

Magnifico l’essenzializzato dipinto Homemade is better than Store Bought e le sezioni trasversali di alberi sopra cui Middlebrook ha creato immagini coloratissime in forma di geometrie, percorsi, architetture a richiamare – quello e queste – il rapporto tra natura e antropocene, vita arborea in continua metamorfosi e interventi costruttivi umani che trasmutano e impattano su questo ecosistema.

Impegno sociale, politico, empatico e in massima parte al femminile – eccezion fatta per Giuseppe Stampone, Matteo Mauro, Santiago Sierra –, con Zehra Dogan, Regina Josè Galindo, Silvia Giambrone, Tiziana Pers, Binta Diaw, Iva Lulashi per la mirata proposta della galleria Prometeo di Ida Pisani.

Similmente, la scelta pure al femminile ha segnato The Gallery Apart – abituata a seguire artiste donne – e qui con opere impegnate di Bertille Bak – arazzi con richiami autobiografici, bellissimi, intensi e ancora, in Italia, con quotazioni possibili , con quelle di Mariana Ferratto, Corinna Gosmaro, Federica Di Pietrantonio…

A proposito – poiché la The Gallery Apart è di base a Roma – ottima prova proprio delle gallerie romane: scusate la partigianeria, ma è doverosa, qui, poiché si sa bene la fatica che l’arte contemporanea fa per campare in una città dell’Antico, dell’Antiquariato e di un certo generone romano ben poco incline a mettersi in discussione dal punto di vista culturale.

Dunque, sinceramente, particolari complimenti, nella Main Section, anche a: 1/9 Unosunove, con Jonathan VanDyke, il senior Sergio Lombardo, Simon Callery, Pietro Moretti, quest’ultimo anche protagonista delle scelte fieristiche della Galleria Doris Ghetta di Ortisei/Milano che ha puntato proprio sulla pittura veemente, coloratissima e sgarbata del giovane romano classe 1996; a Ex Elettrofonica (con: Sergio Breviario, Agostino Iacurci, Elena Mazzi, Margherita Moscardini, Gabriele Picco, Marco Raparelli); a Federica Schiavo (potente la pittura di Simone Berti: 16, 18 o 26mila euro la quotazione in fiera; la galleria è stata tra l’altro impegnata con l’artista Patrick Tuttofuoco nella mostra, a cura di Davide Ferri, Abbandona gli occhi, alla Sala Convegni Banca di Bologna in Palazzo De’ Toschi e nell’ambito di ART CITY Bologna 2024); a Francesca Antonini con due booths separati ma in affinità, pittorica: tra Alice Faloretti e Rudy Cremonini.

Ecco Studio Sales che a Stefano Arienti, Flavio Favelli, Davide Monaldi, Diego Miguel Mirabella ha affiancato una scelta di genere – femminile – orientata sulle opere intime e di riflessione culturale della disegnatrice, pittrice e fotografa iraniana (classe 1969) Avish Khebrehzadeh e del suo albero-casa, rifugio, trampolino di lancio…; sugli idoli di richiamo archetipico di Eva Marisaldi; sulle donne dipinte da Romina Bassu che ha confermato quanto la sua figurazione senza fronzoli arrivi, proprio per questa mancanza di compiacimento, dritta al cuore e solleciti la riflessione, avendo molto da dire: rarefatta ed essenziale, rappresenta donne fuor di stereotipo in cui mette a fuoco la viscerale ma anche indotta connessione tra queste, il loro corpo e il senso e il rischio della vulnerabilità.

Monitor ha portato opere – e molta pittura – di Lucia Cantò, Thomas Braida, Matteo Fato, Daniel V. Melim; la Richard Saltoun (da Londra ma con una sede capitolina), oltre ad Accardi (come già scritto nell’articolo), ha proposto anch’essa, come da tempo fa, molte artiste donne, accanto a Gianfranco Baruchello, Sandro Chia, Mario Coppola, Eliseo Mattiacci, e al collettivo Atelier dell’errore: Silvia Giambrone, Nedda Guidi, Bice Lazzari, Franca Maranò, Giulia Napoleone, Carol Rama, Greta Schoedl e Gina Pane della quale ha selezionato scatti da seminali performances (Action Psyché, 1974, forse la sua azione più spiazzante e visionaria).

z2o Sara Zanin ci ha consegnato opere di qualche artista storica (l’importante e lanciatissima Mariella Bettineschi) e artista storico (Cesare Tacchi che purtroppo non ha lasciato un’ampia produzione ma ci regala sempre profondità sulla superficie), uno scultore che usa la ceramica (meravigliosamente: Guglielmo Maggini), un’artista fotografa di intensa empatia e di rigore morale, oltre che dello sguardo (Silvia Camporesi), e Ekaterina Panikanova, Beatrice Pediconi, Alfredo Pirri, Michele Tocca, (Nazzarena) Poli Maramotti, Marta Roberti e le sue indagini sull’identità, Giovanni Kronenberg e i suoi matrimoni morganatici tra materiali ed elementi. La Galleria Gilda Lavia ha partecipa nella sezione Pittura XXI presentando l’artista Carla Grunauer e le sue conformazioni rarefatte; Ada Project la narrazione simbolico-quotidiana di Diego Gualandris.

Matèria, presente anche, con l’altra romana Spazio Nuovo, nella sezione Fotografia e immagini in movimento, ha portato in uno stand Fabio Barile, Runo B, Stefano Canto, Giuseppe De Mattia, Marta Mancini e un senior della sperimentazione fotografica come Mario Cresci; nel booth a parte, quello del segmento fieristico dedicato, ha trovato spazio narrativo la serie di Sunil Gupta dal forte carattere controculturale, sociale e politico e con trattazione di temi quali quelli razziali, inerenti alle lotte contro l’omofobia, per l’affermazione dell’identità gay e queer nella metà degli anni Sessanta a New York. Un autore e una mostra pregevoli, immagini impattanti nella loro semplicità di un quotidiano che si fece epico.

E ora nella sezione Multipli, le altre romane: Galleria Scarchilli aveva allestito un solo show di Michelangelo Pistoletto, con i suoi lavori specchianti e serigrafati; Litografia Bulla si è distinta per raffinatezza e forza nella scelta espositiva, non solo e non tanto per i nomi degli artisti ma per la tipologia di opere selezionate: Louis Fratino, Gianni Dessí, Domenico Bianchi, Bruno Ceccobelli, Ana Mendieta, Carl Andre, Piero Pizzicanella, Mimmo Paladino, Paolo Gioli (parete accattivante!), Anna e Patrick Poirier, Adam mc Ewen, Jannis kounellis, Diego Miguel Mirabella (presente, con una sua forza, una certa eleganza e un’interessante ambiguità, da Sales), Marco Eusepi, Bea Bonafini, Guglielmo Maggini, Canemorto, l’immancabile Salvo di turno etc.

Nella sezione foto e video: Florence Henri (Martini & Ronchetti); Ghirri, Matta-Clark; Dune Varela de Seijas, Simon Roberts e Casper Faassen (di cui abbiamo scritto già: qui) da mc2gallery; Marco Maria Zanin, Giuseppe Lo Schiavo da Spazio Nuovo; Helmut Newton, Tim White-Sobieski e i neoPop irriverenti Mazaccio & Drowilal da Glenda Cinquegrana; Maria Vittoria Backhaus, Carolle Bénitah e Rebecca Norris Webb da Alessia Paladini Gallery; Anders Petersen da Spot Home Gallery di Napoli; Andrea Branzi e Marco Palmieri e da Antonia Jannone; molti eccetera eccetera.

La Fiera, dal bilancio più che positivo, sta già predisponendo la sua macchina organizzativa per il prossimo anno: suggeriamo una più decente presenza di taxi fuori dai cancelli, soprattutto la sera, per non lasciare al freddo e a piedi decine e decine di visitatori e soprattutto di addetti ai lavori tanto stanchi a fine giornata da non potersi nemmeno sedere per attendere il proprio turno di viaggio, giunto dopo più di un’ora di fila.

Ma poiché chi scrive è abituata a ben altri disservizi, quelli romani della cronica mancanza – lobbistica – dei tassinari, il salvifico cambio di scarpe in favore di più comode meravigliose slipper ha alleviato l’attesa. Consiglio vivamente di portarsele dietro per l’edizione del 2025.

*passerellari: il neologismo è nostro, nato per indicare quelle persone che frequentano inaugurazioni, mostre ed eventi vari al solo scopo di mostrarsi, attualmente con l’aggiunta di selfie postati sui Social, specificamente indossando outfit bizzarri oppure favolosi (o coniugando entrambe le caratteristiche), sperando di non passare inosservati.

 

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Con una Laurea in Storia dell'Arte, è Storica e Critica d’arte, curatrice di mostre, organizzatrice di eventi culturali, docente e professionista di settore con una spiccata propensione alla divulgazione tramite convegni, giornate di studio, master, articoli, mostre e Residenze, direzioni di programmi culturali, l’insegnamento, video online e attraverso la presenza attiva su più media e i Social. Ha scritto sui quotidiani "Paese Sera", "Liberazione", il settimanale "Liberazione della Domenica", più saltuariamente su altri quotidiani ("Il Manifesto", "Gli Altri"), su periodici e webmagazine; ha curato centinaia di mostre in musei, gallerie e spazi alternativi, occupandosi, già negli anni Novanta, di contaminazione linguistica, di Arte e artisti protagonisti della sperimentazione anni Sessanta a Roma, di Street Art, di Fotografia, di artisti emergenti e di produzione meno mainstream. Ha redatto e scritto centinaia di cataloghi d’arte e saggi in altri libri e pubblicazioni: tutte attività che svolge tutt’ora. E' stato membro della Commissione DIVAG-Divulgazione e Valorizzazione Arte Giovane per conto della Soprintendenza Speciale PSAE e Polo Museale Romano e Art Curator dell'area dell'Arte Visiva Contemporanea presso il MUSAP - Museo e Fondazione Arazzeria di Penne (Pescara), per il quale ha curato alcune mostre al MACRO Roma e in altri spazi pubblici (2017 e 2018). È cofondatrice di AntiVirus Gallery, archivio fotografico e laboratorio di idee e di progetti afferente al rapporto tra Territorio e Fotografia dal respiro internazionale e in continuo aggiornamento ed è cofondatrice di "art a part of cult(ure)” di cui è anche Caporedattore.

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