La parola al Teatro #105. Quasi una serata. L’ironia di una storia paradossale

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Il “regista a due teste”, nato dall’unione delle menti dei fratelli Joel e Ethan Coen, si sdoppia quando si tratta di teatro: Ethan scrive infatti in solitudine i testi per il palcoscenico.
È stata proprio una delle sue opere, la sua prima sceneggiatura teatrale, a rallegrare, pur sempre inducendo alla riflessione, gli spettatori del Teatro Sociale di Como: Quasi una serata, per la regia di Davide Marranchelli, con Stefano Annoni, Paui Galli, Simone Severgnini e il regista stesso. L’opera, la cui sceneggiatura, in libreria dal 2015 è stata finalista al premio In-Box del 2023.

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foto Federico Galimberti

Lo spettacolo è suddiviso in tre capitoli, ciascuno indipendente l’uno dall’altro, ognuno caratterizzato da situazioni paradossali e surreali al confine fra il teatro dell’assurdo e le atmosfere kafkiane.

L’argomento comune ad ogni atto è la riflessione sull’esistenza e l’analisi del rapporto tra uomo e Dio, come nella più autentica tradizione ebraica, una divinità antropomorfa e un aldilà a misura d’uomo.

Ma il filo conduttore principale, oltre alle diverse scenografie di animali impagliati, è l’ironia, tipica della poetica dei due fratelli Coen.
Il regista, a sua volta, ha aggiunto la rottura della quarta parete e il metateatro, arricchendo così il significato dell’opera.

Prima dell’inizio della rappresentazione, inftti, mentre gli spettatori prendevano posto, gli attori si aggiravano per la platea conversando con loro e non solo perché durante lo spettacolo gli artisti hanno interpellato il pubblico fino a chiedere a qualcuno di recitare con loro.

Il primo atto ha molto in comune con una serie uscita su Netflix nel 2016: The Good Place, sebbene sembrerebbe che la fonte di ispirazione in quel caso fosse soprattutto Lost.

Un uomo in Purgatorio sta aspettando di accedere al Paradiso, ma la snervante attesa, prolungata da cavilli burocratici, è vissuta in una claustrofobica sala d’aspetto in cui non si può svolgere alcuna attività: nemmeno aprire una finestra o leggere una rivista aggiornata. Ben presto la situazione diventa talmente ingestibile da risultare fin troppo sadica per il Purgatorio e, infatti, il protagonista scoprirà di trovarsi all’Inferno.

La vicenda insegna che per vivere una situazione infernale non sono necessari le fiamme o il contrappasso dantesco, sono sufficienti i piccoli, snervanti e crudeli disguidi della vita. Promettere ad una persona un premio e negarglielo ripetutamente può essere inoltre più malvagio che affermare sin dall’inizio che il desiderio in questione sarà precluso per l’eternità.

La seconda narrazione è molto più breve: un agente segreto si dimostra incapace di apprezzare un’esistenza di anonimato, omicidi e madri che piangono i figli morti in azione, tanto da decidere di cambiare mestiere. La vita ordinaria, tuttavia, si rivelerà altrettanto angosciante perché il vero problema del protagonista non è l’aver scelto una professione inadatta, ma sono i suoi gravi problemi caratteriali e esistenziali.

Il racconto ha una struttura circolare perché inizia nella sauna, dove avviene l’omicidio che indurrà l’agente segreto a cambiare vita, e termina nello stesso luogo. La storia dimostra come certe volte i nostri problemi non derivano dall’ambiente in cui ci viviamo, ma siamo noi incapaci di trarre il meglio dalle varie situazioni.

La terza scena è la più importante per impatto emotivo e significato: dopo un dialogo interattivo tra attori e spettatori, il Dio giudicante e il Dio misericordioso si confrontano in un accanito dibattito.

Le due divinità sono dei semplici uomini che si rivolgono alla folla come due predicatori americani vestiti di nero, il primo severo, minaccioso, polemico e apocalittico, il secondo clemente, gioioso, positivo e amabile.

Pur essendo radicalmente differenti, le due facce del Dio occidentale si dimostrano ugualmente carismatiche e coinvolgenti, tanto che il pubblico ride e acclama entrambi con il fiato sospeso.

Ma Dio può mostrare contemporaneamente i suoi due volti al pubblico senza che uno dei due prevalga sull’altro? Ovviamente la risposta è negativa. Infatti il dibattito si concluderà con una rissa tra i due; l’omicidio del Dio giudicante e il suicidio di un isterico Dio misericordioso. Una riflessione sul concetto di Dio nella nostra società ma anche sull’abitudine di manipolare le persone usando la tecnica de “il bastone e la carota”, efficaci solo se ambedue presenti.

L’ultima scena vuole proporre al pubblico una considerazione su quanto ha appena visto, senza rinunciare all’ironia e all’opportunità di raccontare una storia avvincente e paradossale.

Coen immagina che, al termine dello spettacolo, uno spettatore si rechi con sua moglie nello stesso ristorante in cui l’attore che ha interpretato il Dio giudicante si trova con la consorte, mentre un cameriere lavora e parla al telefono con la compagna in difficoltà. Le coppie finiranno per discutere animatamente e nevroticamente, con un finale inaspettato.

La scena è surreale perché iracconta quel che potrebbe accadere al termine dello spettacolo, proprio di questo spettacolo che stiamo vedendo, con un attore che interpreta un ipotetico se stesso e un altro che recita nei panni dello spettatore; non manca inoltre una profonda analisi psicologica delle difficoltà del rapporto tra uomo e donna, che ha il sapore di una commedia.

Lo spettacolo si conclude con la lettura del monologo del Dio giudicante da parte di uno spettatore che non ha mai seguito un corso di recitazione. Risulta dunque evidente che, per trasmettere un messaggio ad un pubblico, non è necessario soltanto avere un contenuto avvincente: sono altrettanto importanti il tono, lo sguardo, le pause, la gestualità, in una parola la recitazione. Non è sufficiente declamare un testo per dare vita ad una scena.

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Laureata in Lettere Moderne presso l'Università degli Studi di Milano, ha intrapreso la carriera di insegnante per passione, o forse per follia. Il teatro, come attrice e come critica, è una vocazione, il latino e il greco sono invece la sua religione. Ama viaggiare, visitare musei, la musica dal vivo e collezionare Funko Pop. I suoi amici la descrivono come un po' pazza, e forse hanno ragione.

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