Italiano Corretto #2. Tre domande a Andrea Michielotto di Lercio

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Andrea Michielotto

In un’epoca di globalizzazione, dominata dall’utilizzo pervasivo dei social network e delle nuove tecnologie di comunicazione digitale, è ancora possibile parlare un Italiano Corretto?

È questo il tema del convegno che si terrà a Pisa il 15 e il 16 aprile. Tra ibridazioni, forestierismi, emoji, espressioni mutuate dal gergo giovanile o dall’immaginario pop del cinema e delle serie TV, la nostra lingua sta evolvendo, come anche le forme che la veicolano. E questo rappresenta un problema per i professionisti e freelance della parola.

In attesa della due giorni di incontro art a part of cult(ure) ha posto tre domande ai professionisti che condurranno alcuni dei  sei laboratori interattivi più un evento speciale, che rappresentano il cuore dell’incontro e che ci accompagneranno alla scoperta delle sfide e delle opportunità che l’italiano 3.0 pone quotidianamente a tutti noi.

È la volta di Andrea Michielotto redattore di Lercio.

Qual è, oggi, l’italiano “corretto”?

Per me l’italiano corretto è quello che consente di esprimere in modo efficace e preciso gli argomenti che si vogliono esporre. Penso che l’italiano sia una lingua ricca ed espressiva, che sia in grado di rinnovarsi e che permetta di comunicare in modo corretto ed esauriente nel mondo globale e mutevole del terzo millennio. Dall’osservatorio di Lercio, notiamo che spesso viene maltrattato anche dai mass media, che invece dovrebbero diffondere informazioni accurate non solo per il contenuto, ma anche per la forma.

Secondo quali percorsi scegliete le parole adatte per la vostra scrittura e per una comunicazione efficace?

Lercio fa la parodia di un certo tipo di giornalismo 2.0 urlato e sensazionalistico. Per questo molte parole che usiamo sono quelle che caratterizzano maggiormente quella forma di scrittura: incredibile, shock, clamoroso e via dicendo.
Le nostre notizie poi hanno una finalità satirica, quindi usiamo anche parole di quello specifico linguaggio: iperboli, esagerazioni, allitterazioni e qualunque altra cosa accresca l’effetto comico di quel che scriviamo. Per esempio, Daniele Luttazzi cita Mel Brooks e sostiene che il suono della c dura ha un potere umoristico molto elevato. I nostri titoli falsi poi devono avere sintesi, ritmo e sfruttare parole e temi caldi del momento, per diventare virali. Spesso basta usare bene un termine per aumentare l’effetto comico di un titolo e facilitarne la diffusione.

Come è possibile diffondere capillarmente una sana opposizione alla retorica e ai luoghi comuni che ci vengono propinati quotidianamente e che sono diventati “l’oppio dei popoli” assai  più di qualsiasi religione?

Noi proviamo a opporci alla retorica e ai luoghi comuni esasperandoli o comunque usandoli per ottenere un effetto comico. Ora che siamo abbastanza conosciuti, speriamo di avere un paio di effetti positivi: per i lettori, far sorgere qualche dubbio in più su quel che vedono passare in rete e far sì che condividano qualche bufala in meno, esercitando meglio il loro senso critico; per i giornalisti (o in generale per chi produce informazione), far suonare un campanello d’allarme quando si accorgono che quel che stanno scrivendo si avvicina troppo a un nostro articolo, sia per il linguaggio che per i contenuti.

Andrea Michielotto nasce per partenogenesi da un altro organismo pluricellulare chiamato Andrea Michielsette. È considerato uno dei maggiori narratori viventi in uzbeko, anche se crede di scrivere in italiano. Attualmente lavora come ghost writer di Domenico Scilipoti.

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Giornalista culturale e autrice di testi ed adattamenti, si dedica da sempre alla ricerca di scritture, viaggi, tradizioni e memorie. Per dieci anni direttore responsabile del mensile "Carcere e Comunità" e co-fondatrice di "SOS Razzismo Italia", nel 1990 fonda l’Associazione Teatrale "The Way to the Indies Argillateatri". Collabora con diverse testate e si occupa di progetti non profit, educativi, teatrali, editoriali, letterari, giornalistici e web.

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