Accadde che Barbette… La Queer che affascinò i Surrealisti e insegnò ad ancheggiare

Barbette

Vander Clyde o Vander Clyde Broadway nacque in Texas il 19 dicembre 1899 o un anno prima (a volte è indicato l’anno 1904): la sua biografia resta piuttosto misteriosa, così come i suoi natali; egli ha sostenuto di essere di Trickham ma molte fonti lo collocano nato nella città di Round Rock.

Personalità originale dalle fattezze androgine, appena finito il liceo iniziò a lavorare debuttando da solista all’Harlem Opera House nel 1919. Aveva assunto il nome femminile di Barbette trasformandosi in sensuale protagonista circense con immagine femminile: fu acrobata e trapezista di talento e ben presto rivelò le sue doti più globalmente performative diventando un pioniere queer del genere en travesti.

Diva a tutti gli effetti, fu anche, poi, coreografa e consulente d’immagine per il Cinema: fu assunta anche per allenare Jack Lemmon e Tony Curtis nella loro interpretazione al femminile nella pellicola A qualcuno piace caldo del 1959. Sembra che il loro ancheggiare nel film sia opera di Barbette, che ammirava a sua volta quello di Marilyn Monroe…

Divenne popolare in tutti gli Stati Uniti come stella del vaudeville e osannata soprattutto in Europa dove debuttò nel 1923 giungendo nell’internazionale, moderna Parigi che la elesse star anche grazie ai suoi spettacoli al Casino de Paris, al Moulin Rouge e a Le Folies Bergère.

Pettinata come una classica bellezza anni ’20, dai capelli dorati, volto enigmatico dal trucco sensuale, illuminata da gioielli magnifici e con abiti lunghi, sexy ed eleganti, in raso, sete e lamè, arrivava in scena con cappe, esotici copricapi e avvolta da piume di struzzo. La musica accompagnava i suoi spogliarelli, lenti burlesque durante i quali toglieva gli abiti fino ad apparire semi-nuda, carezzata da effetti di luce. I suoi numeri acrobatici sul trapezio erano arditi, tra anelli e fili sospesi. Alla fine di ogni numero, come avvenne alla sua prima, eclatante esibizione, toglieva con un coup de théâtre la parrucca per rivelare al pubblico le sue fattezze maschili.

Jean Cocteau scrisse nel 1926 su Le Numéro Barbette, un ampio testo pubblicato in “The Nouvelle Revue Française”  che Barbette, nella sua trasformazione da uomo a donna riecheggiava la trasfigurazione di dottor Jekyl / Mr. Hyde e le metamorfosi della tradizione mitologica greca e romana. Cocteau contribuì a spiegare quanto Barbette, in anticipo sui tempi, incarnasse certamente il passaggio attoriale da maschile a femminile – come nella teatralità classica antica – ma facendolo uscire dall’ambito dell’interpretazione e, dunque, dal palcoscenico, per diventare egli/essa stesso/stessa emblema di edificazione culturale del genere tramite proprio il Teatro e l’estetica. Glamour, oltretutto…

Barbette, così, forte della sua unicità, si esibì nei migliori teatri (Alhambra Theatre) e circhi internazionali (Medrano, Barnum etc.). Ebbe una breve pausa forzata quando, in tourné al Palladium di Londra, fu scoperta una sua relazione sessuale con un uomo: per questo, considerata una persona scandalosa, dalle pratiche sovversive della morale, fu sanzionato penalmente e non potette più tornare a lavorare in Inghilterra. La sua carriera e la sua notorietà, però, non furono appannati e la sua versatilità, non solo nel campo dello spettacolo, e il coraggioso e originale modo di essere e palesarsi ebbero moltissimi estimatori.

Fu sodale di Josephine Baker, ammirata da Anton Dolin, Mistinguett e Sergei Diaghilev, musa (e amante, per breve tempo) di Cocteau, che la inserì nel suo film sperimentale Le Sang d’un Poete (Il sangue di un poeta ) del 1930; fu anche soggetto di una serie di fotografie commissionate proprio dall’amico Cocteau a Man Ray, che ha restituito sia gli aspetti dello spettacolo e dell’ambiguità glamour di Barbette sia, anche, il dietro-le-quinte e il processo della sua trasformazione da maschile a femminile.

A un certo punto della sua vita iniziò a soffrire di dolore cronico acuto – dovuto forse a lesioni sulle scene o a una malattia –  che peggiorò a tal punto da renderla inabile, depressa e sofferente tanto da portarla drammaticamente al suicidio per overdose. Era il 5 agosto, 1973.

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Con una Laurea in Storia dell'Arte, è Storica e Critica d’arte, curatrice di mostre, organizzatrice di eventi culturali, docente e professionista di settore con una spiccata propensione alla divulgazione tramite convegni, giornate di studio, master, articoli, mostre e Residenze, direzioni di programmi culturali, l’insegnamento, video online e attraverso la presenza attiva su più media e i Social. Ha scritto sui quotidiani "Paese Sera", "Liberazione", il settimanale "Liberazione della Domenica", più saltuariamente su altri quotidiani ("Il Manifesto", "Gli Altri"), su periodici e webmagazine; ha curato centinaia di mostre in musei, gallerie e spazi alternativi, occupandosi, già negli anni Novanta, di contaminazione linguistica, di Arte e artisti protagonisti della sperimentazione anni Sessanta a Roma, di Street Art, di Fotografia, di artisti emergenti e di produzione meno mainstream. Ha redatto e scritto centinaia di cataloghi d’arte e saggi in altri libri e pubblicazioni: tutte attività che svolge tutt’ora. E' stato membro della Commissione DIVAG-Divulgazione e Valorizzazione Arte Giovane per conto della Soprintendenza Speciale PSAE e Polo Museale Romano e Art Curator dell'area dell'Arte Visiva Contemporanea presso il MUSAP - Museo e Fondazione Arazzeria di Penne (Pescara), per il quale ha curato alcune mostre al MACRO Roma e in altri spazi pubblici (2017 e 2018). È cofondatrice di AntiVirus Gallery, archivio fotografico e laboratorio di idee e di progetti afferente al rapporto tra Territorio e Fotografia dal respiro internazionale e in continuo aggiornamento ed è cofondatrice di "art a part of cult(ure)” di cui è anche Caporedattore.

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