I campi di maggio di Igor Patruno. Gli anni Settanta che non si cancellano.

Milano anni 70 performance poetica con Pivano a sinistra in piedi e beat generation
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Cover

Leggere il libro di Igor Patruno I campi di maggio (Edizioni Ponte Sisto) è una vera e propria esperienza: la prima metà del libro si legge tutta d’un fiato e, se si sono vissuti quei meravigliosi anni Settanta, ci si riconosce, si scovano nomi amici e nomi dimenticati e si va avanti come quando nella calura ci si disseta e si vorrebbe che quei sorsi non finissero mai.
Ma, se continueremo a leggere a quella folle velocità, spinti dalla paura di perdere quello che si è appena guadagnato, il libro finirà presto e questo significherà perdere veramente la conquista di quella memoria. E così proviamo a leggere con più calma, imponendoci di centellinare le pagine. Un vero esercizio zen.

I meravigliosi anni Settanta, ho detto e so che molti dei lettori rabbrividiranno perché è stato più facile disconoscerli che proseguirli; è stato più semplice adattarsi ad una critica affrettata, spolverata dal glitter del decennio successivo (quando ci distolsero a suon di disco music e di finte opportunità dalla ricerca di giustizia e felicità) che continuare a lottare.
Che parole antiche e incrostate sto usando… Il fatto è che gli anni Settanta, meravigliosi o oscuri, sono un passato talmente presente, talmente carico di emozioni, significati, incoscienza e coraggio da essere ancora un lembo di presente.
Chi li ha vissuti, ed ha vissuto soprattutto “gli anni dei funerali” ne rimpiange le fondamenta, le motivazioni, le mete e il coraggio. Ma una cosa è certa. Non è nostalgia.

Ed altrettanto I campi di maggio non è un libro per reduci perché porta a (ri)vivere fatti accaduti. E lo fa persino con le generazioni più giovani, gettando semi di curiosità per  tutte quelle schegge di libertà che man mano sono state rimosse dalla nostra vita.

Il libro inizia come una pièce teatrale scandita dalle affabulazioni dell’amico Riccardo, l’attore dietro cui si cela il ricordo di Riccardo Reim; dalle tracce, mai cancellate dei giorni del liceo e da quelli degli improbabili amori immaginati o consumati in modi e in luoghi che nessuno aveva mai usato prima, e prosegue in quadri ben distinti, disegnati come scene che ci coinvolgono e ci portano uno dopo l’altro, uno dentro l’altro anche a nuove scoperte di quegli anni che sono stati davvero lunghi, ma anche troppo brevi, densi di fatti di cui abbiamo subito la paura o il fascino, ma che, perlopiù, sono rimasti oscuri, nascosti, travisati, abbandonati.

Anni in cui la tanto sbandierata trasparenza non esisteva; anni nei quali era ancora possibile agire come solitari, schegge impazzite oppure savie che portavano avanti istanze semplici e visionarie, che entravano nel cuore di un futuro ancora tutto da disegnare attraverso le armi (reali e metaforiche) del passato.

In ogni capitolo si assiste agli eventi senza mai sentirsi voyeurs, sempre coinvolti, attori anche noi lettori assieme ai personaggi reali o inventati da Igor Patruno. Attori anche coloro che leggeranno per la prima volta, senza aver vissuto, senza aver conosciuto. Tutti, improvvisamente, ci troveremo non solo a leggere, ma anche a guardare. Partecipando.
Non a caso partecipazione era una delle parole chiave di allora. Gaber cantava “libertà è partecipazione”, una magia che si ripete. Pagina dopo pagina.

La storia è quella di un giornalista che, dopo quarant’anni, sente la necessità di ricostruire uno dei tanti misteri irrisolti. Un mistero piccolo, quasi di serie B: la strana morte di due suoi amici e il silenzio che l’ha circondata.  Sarà un modo per ripercorrere la sua vita, la sua essenza; di sfilare dal mucchio il suo carattere, la poesia cupa che lo avvolge, rendendolo a suo modo quello che è sempre stato: un eroe capace di grandi pazienze e lunghe sopportazioni.
L’indagine che porterà avanti, anche oltre qualsiasi buon senso coinvolgerà, in una danza acuminata, smemorati volontari e vecchi sognatori, sarà la conferma di antichi sospetti collettivi che s’allargano e dilagano senza però riuscire a raggiungere né a portare giustizia.

Igor Patruno ha scritto questo libro in 10 anni, lavorando sulla ricerca e sulla scrittura senza dare mai nulla per scontato, neanche i lemmi utilizzati per circoscrivere o far risaltare un evento lontano grazie al “potere” della parola.
Nella parte dedicata agli anni ’70 usa, senza indulgenze, il linguaggio di allora: parla di missini e di celere ben sapendo che forse nessuno più, oggi, userebbe questi termini.
Poi  ricerca, esplora, ritrova. Si immerge in archivi fra nomi sconosciuti; fa viaggi reali ai confini del ricordo, rievoca fantasmi e stupori. Ed anche tanta bellezza che si palesa fra il sangue, le morti, gli abbandoni.

Ed è proprio nella seconda parte che la mano del giornalista si fa viva e I campi di maggio scopre il suo volto di reportage, attento, ma pur sempre un reportage dall’inferno che abbiamo conosciuto, con la sua terribile lista dei morti, degli assassini, delle sparatorie anche quelli più piccoli, insignificanti, dimenticati, tutti capaci di imporre pause e riflessioni.

Di fatto, il libro di Igor Patruno ci costringe a ripassare un’epoca di cui si hanno ancora troppi ricordi vivi, troppe delusioni, troppe paure, e nel contempo ci costringe ad ammettere che nessun rimpianto potrà mai davvero bendarci gli occhi; che gli anni ‘70 non sono stati  solo rabbia e negatività, che nessuno ha cancellato quel passato se non noi stessi, a volte, così come spesso si cancella lo splendore imparando da qualcuno (che non ci ama) la moderazione.

Ma i sogni di allora non li abbiamo persi. Si sono trasformati nei sogni di chi, proprio oggi, ha davanti il futuro. E poco conta se gli strumenti per raggiungerlo sono diversi: Antonio Delle Piane, il protagonista del libro di Igor Patruno non ha altro posto dove andare che la sua vita. E questo è il destino di tutti quelli che vivono davvero.

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Giornalista culturale e autrice di testi ed adattamenti, si dedica da sempre alla ricerca di scritture, viaggi, tradizioni e memorie. Per dieci anni direttore responsabile del mensile "Carcere e Comunità" e co-fondatrice di "SOS Razzismo Italia", nel 1990 fonda l’Associazione Teatrale "The Way to the Indies Argillateatri". Collabora con diverse testate e si occupa di progetti non profit, educativi, teatrali, editoriali, letterari, giornalistici e web.

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