Bookcity #2. Wonderland. Chi eravamo e chi siamo tra cultura e controcultura.

immagine per Alberto Mario Banti, Wonderland
Wonderland, cover

Alberto Mario Banti, Wonderland. La cultura di massa da Walt Disney ai Pink Floyd edito da Laterza.

Una minaccia incombe su una comunità armonica, un eroe la affronta e la sconfigge e l’equilibrio può ristabilirsi. Tutti i racconti diventati cultura di massa nel secolo breve sono stati costruiti così.

Un «sistema valoriale manicheo» nato e codificato negli anni Trenta e mai più venuto meno, pur nello slabbrarsi dei confini e nel diluirsi della monoliticità dei personaggi che caratterizza gli ultimi anni.

Accanto all’establishment, però, nel 1962, accade qualcosa.

Arriva un ragazzo che suona la chitarra coi denti. Si chiama Jimi Hendrix e canta di un ragazzo che ha ucciso la ‘sua’ donna perché aveva un altro. È una rivoluzione. Qualcuno ha portato in musica un tema delicato, sconcertante. E, quel che è peggio, la voce di Hey Joe non giudica l’assassino. È nato il rock, lo strumento per raccontare storie in i valori non sono più gli gli stessi.

Sono gli anni della Mistica della femminilità, gli stessi in cui Leslie Gore dà voce ha tutte le donne gridando agli uomini: You don’t own me, tu non mi possiedi. Anni di fermenti nuovi, di nuove rivendicazioni che incontrano uno strumento, quello del rock appunto, che non ne fa da colonna sonora ma impasta e rielabora quello che c’era prima. Prende «storie blues» come Hey Joe e crea qualcosa di nuovo.

Quella che Alberto Mario Banti, chiama Wonderland, come il saggio presentato in occasione di Bookcity ed edito e introdotto da Giuseppe Laterza. La terra dove tutto può succedere.

Dove l’establishment viene meno e lascia spazio a storie nuove, in una «costruzione a palinsesto» che non ti lascia più il fiato di un lieto fine, o di una posizione sicura da prendere. Stai con Bonny e Clyde o con i ranger? Quella che era giustizia si trasforma in «vendetta forsennata».

Una corsa a perdifiato che non può durare, e che infatti – spiega Banti, mentre immagini e suoni avvolgono la platea della Triennale – a metà anni Settanta implode. Insieme al rock.

È qui che si scava la frattura fra la voce del rock e quella dei ragazzi e le loro convinzioni su cosa deve essere fatto. La «svolta moralistica», dice il saggista, che ha portato alle accuse a Zappa e  che abbiamo conosciuto anche in Italia col processo a De Gregori.

La crisi del 1973 lascia spazio alle incertezze, al bisogno di evasione. Così la controcultura, secondo Banti, passa e lascia dietro di sé solo scampoli di bellezza, «schegge dopo l’esplosione» che però vediamo ancora oggi. E che a Wonderland possono fiorire in ogni momento. Perché a Wonderland c’è ancora vita, le sorprese del suo baule magico possono ancora stupire

Cosa è oggi la controcultura? Secondo Achille Mauri, la cui memoria familiare ha segnato la storia culturale, artistica, editoriale e intellettuale del Novecento italiano «serve a spiegare cos’è la cultura».

E a far ritrovare, anche nell’America con cui abbiamo guardato come una Wonderland reale, una parte di noi.

Uomini e topi tradotto in da Nini Bompiani nel trasbordo che la riportava dall’America, da dove Umberto Mauri sbarcava con il primo pupazzetto di Topolino. Lontanissimo da quello che conosciamo oggi. Che non è nato oltre oceano, ma sulle scrivanie di Mondadori.

Così come la pop art, chiosa Mauri. L’arte degli oggetti di consumo, prima di prendere le sembianze di Marilyn, è stata nelle mani di un gruppo di giovani formatosi nel 63. Vivevano a Roma e si chiamavano Fabio Mauri, Schifano, Festa, Angeli.

Ma anche la tecnica ha seguito un percorso simile. Chi ripercorra la storia dei computer, prima di andare da Ibm, dovrebbe bussare alla famiglia Olivetti. Ecco dove il discorso si tiene, riallacciandosi a Banti e segnando il confine fra storiografia e uso pubblico delle immagini.

E allora forse Wonderland, quella controcultura che abbiamo cercato fuori di noi e che ripensa modelli antichi «nobilitando la cultura di massa», potrebbe trovarsi ancora più vicina di quando pensiamo.

+ ARTICOLI

Nata (nel 1994) e cresciuta in Lombardia suo malgrado, con un' anima di mare di cui il progetto del giornalismo come professione fa parte da che ha memoria. Lettrice vorace, riempitrice di taccuini compulsiva e inguaribile sognatrice, mossa dall'amore per la parola, soprattutto se è portata sulle tavole di un palcoscenico. "Minoranza di uno", per vocazione dalla parte di tutte le altre. Con una laurea in lettere in tasca e una in comunicazione ed editoria da prendere, scrivo di molte cose cercando di impararne altrettante.

My Agile Privacy
Questo sito utilizza cookie tecnici e statistici. Cliccando su "Accetta" autorizzi tutti i cookie. Cliccando su "Rifiuta" o sulla X rifiuterai tutti i cookie eccetto quelli necessari per il corretto funzionamento del sito. Cliccando su "Personalizza" è possibile selezionare quali cookie attivare.