Tutti i soldi del mondo il film sul rapimento di Paul Getty. Sul set con gli stunt

Tutti i soldi del mondo
imagine per Tutti i soldi del mondo
Tutti i soldi del mondo, locandina

Non è bastata una delle più alte professionalità del cinema attuale (Ridley Scott) per fare un buon film sull’uomo più ricco del mondo negli anni ’70 (JPaul Getty), apologo negativo sul possesso estremo di Tutti i soldi del mondo, di cui non si può usare nemmeno un dollaro di riscatto per la liberazione del nipote prediletto (JPaul Getty III).

Malgrado i lunghissimi titoli di coda, con attori noti e meno noti, ogni tipo di maestranze professionali e generiche, tecnici ed effetti speciali, location ricercate e quanto altro si poteva mettere in campo, la Scott Production ha realizzato un film a tesi.

Un film nella sua estrema linearità, con sequenze alternate nella loro temporalità, ora in un castello inglese, nucleo essenziale in cui un vecchio taccagno (Christopher Plummer) accumula opere d’arte trafugate in tutto il mondo e continua a far soldi con le crisi provocate dalle speculazioni petrolifere, a scene folcloristiche romane in cui una madre (Michelle Williams) combatte per la liberazione del figlio rapito, aiutata da un monocorde ex agente Cia (Mark Wahlberg), poco convincente come negoziatore.

Poi c’è un ragazzo di sedici anni – un Charley Plummer poco rifinito quale erede di rango di un’immensa fortuna né tanto meno come attor giovane di belle speranze – il quale in un inizio sfolgorante alla Ridley Scott, racconta come voce narrante l’ascesa finanziaria del nonno in Arabia e la sua vita mondana di tycoon con famiglia allargata (5 mogli e 14 nipoti), ma pian piano scompare dal fuoco della storia, come fosse non essenziale se non per il taglio di un orecchio da parte dei rapitori.

Il tutto filmato con un’estetica patinata fine a se stessa e dejà vu, nella tecnica perfezionista di cui Scott ha saputo fare uso dai Duellanti al Gladiatore passando per Alien e Blade Runner.

Non c’è altro se non molta sufficienza poca partecipazione ed anima, al di là della superficie di una trama, girata in scene montate in alternanza, ed in parte rimontate di nuovo per la sostituzione di Kevin Spacey (per effetto dello scandalo delle molestie) con lo stanco Christopher Plummer.

Con una serie di luoghi comuni (per carità, studiati e documentati anni ’70) sulla Dolce vita romana, alberghi e case di lusso, frenesia dei media per il rapimento, banditi di strada e ‘ndrangheta, battute di polizia, assalti e pure brigate rosse.

Girato anche in gran fretta per uscire al cinema più presto possibile ed evitare il confronto con la serie Trust che Danny Boyle ha girato sullo stesso argomento per la Fox Extended che arriverà a febbraio sui canali Sky.

Così, deluso da un blockbuster, che di più non mi concedeva di parlare, mi sono recato, tra scrosci di pioggia e sdrucciolevoli pozzanghere di strade sterrate tra macchie mediterranee, al casalone solitario ed impervio dello stunt coordinator del film Franco Maria Salamon.

Salamon è persona squisita nella sua ospitalità nel salone dell’Agriturismo Il quadrifoglio, con il caminetto acceso, il caffè ed i panettoni di casa. Tra le raffiche di pioggia al di là dei vetri bagnatisi vedeva il complesso di strutture anticiclone, installato per il training degli stunt e non solo.

Franco Salamon ha cominciato la sua carriera  con i film del regista di genere poliziottesco Stelvio Massi, con corse in moto e controfigure di Franco Gasparri (Mark il poliziotto, 1975) e Maurizio Merli (Un poliziotto scomodo, 1978).

Mi ha fatto vedere del suo immenso archivio scene di film, TV, serie, spot pubblicitari. Accreditato su IMDB (il miglior data base sul cinema) come stunt, regista o assistente seconda unità (con circa 150 partecipazioni), tra l’altro, in film come Il paziente inglese di Antony Minghella, la serie La meglio gioventù di Marco Tullio Giordana, Il gladiatore, Hannibal e Le Crociate di Ridley Scott, la serie Imperium: Augusto, la serie La freccia nera, e Ocean twelve di Steven Sodebergh, Miracolo a Sant’anna di Spike Lee, Angeli e demoni di Ron Howard, la serie I Borgia di Tom Gridam, Spectre (il ventiquattresimo della serie di 007) di Sam Mendes, Maria Maddalena di Garth Davis ancora in lavorazione.

Abbiamo parlato del nuovo Cinema d’azione che vive di supernatural  e supereroi, dell’enfatizzazione delle azioni, delle distorsioni ed esagerazioni della realtà.

Dell’estremizzazione del modo di riprendere, della moltiplicazione dei frame delle pellicole, dell’aumento della velocità, del restringimento delle inquadrature. E soprattutto dei grandi balzi dei cascatori attaccati a dei cavi che li fanno anche volare. E dei programmi di computer grafica che interagiscono con gli stunt.

Passati a parlare di Tutti i soldi del mondo, ho capito quanto lavoro c’era stato in un film che avevo definito lineare.

Subito nell’introduzione sulla bella vita romana degli anni ’70, un grande lavoro riuscito degli stunt è stato il carosello di macchine d’epoca tra le quali scivola il ragazzo.

Poi a seguire il sequestro a Piazza di Porta Maggiore, con il pulmino che affianca il ragazzo dentro il quale viene gettato e incappucciato.Un tempismo perfetto.

Scene come quella della famiglia Getty che con la macchina fa un veloce giro di Roma presuppone una controfigura dell’autista (lo stesso Salamon), che aiuti la macchina da presa del regista a riprendere in corsa con il grand’angolo sia le persone all’interno che i monumenti all’esterno.

Poi le svariate difficili riprese dei giornalisti che assalgono la macchina con la madre del ragazzo o l’agente Cia e vengono spostati e travolti. Le perfette spettacolari cadute dei paparazzi in vespa mentre inseguono la stessa macchina dei Getty.

Le scene della prigionia di J. Paul Getty III , compreso il violento taglio dell’orecchio, o il pericoloso fuoco nei campi (era luglio 2017 in piena siccità). La lunga preparazione dell’attacco dei carabinieri al covo dei banditi (casale diroccato di Canale Monterano, in provincia di Roma) e lo scontro a fuoco con i banditi: un must da maestri d’armi all’antica, ma con effetti che tengano conto di quello che ormai amano gli spettatori.

Gli inseguimenti dei rapitori Mammolitie dei carabinieri al ragazzo con macchine ed a piedi nelle vie di un paese calabro (Bracciano). E soprattutto la presenza costante di controfigure adatte nel caso di indisponibilità, assenza o pericolo di ogni genere per ciascun attore, inclusi i secondari.

Un film è veramente un mondo inesplorato. Quello che vediamo è il frutto complesso di tanti lavori. Si dice che sia la settima arte, comprensiva delle altre sei, ma di arti dentro ce ne sono molte di più. Compresa quella dei misconosciuti stuntmen o cascatori.

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Pino Moroni ha studiato e vissuto a Roma dove ha partecipato ai fermenti culturali del secolo scorso. Laureato in Giurisprudenza e giornalista pubblicista dal 1976, negli anni ’70/80 è stato collaboratore dei giornali: “Il Messaggero”, “Il Corriere dello Sport”, “Momento Sera”, “Tuscia”, “Corriere di Viterbo”. Ha vissuto e lavorato negli Stati Uniti. Dal 1990 è stato collaboratore di varie Agenzie Stampa, tra cui “Dire”, “Vespina Edizioni”,e “Mediapress2001”. E’ collaboratore dei siti Web: “Cinebazar”, “Forumcinema” e“Centro Sperimentale di Cinematografia”.

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