Lo stato di salute della scrittura, compito della roulette russa

È inevitabile, vitale e fondativo, per una manifestazione che si occupi di scrittura ed editoria, interrogarsi circa lo stato di salute dell’attività della scrittura, oggi. Può essere utile quindi demandare la riflessione a chi del pensiero ha fatto la propria cifra. A discutere dei “rischi della scrittura”, Tempo di Libri ha quindi voluto chiamare – in un incontro dal titolo Scrivere è una roulette russa – due firme di Vita e Pensiero: il filosofo Silvano Petrosino, autore di Contro la cultura, e Ferruccio Perazzoli, «scrittore che pensa», lo definisce il moderatore Giuseppe Lupo, che invece è autore di Apologia del rischio.

Ed è proprio dal rischio, o meglio dalla sua assenza, che parte la riflessione denuncia di Perazzoli, che nello scrivere odierno nota un’assenza di verticalità, di immersione o di elevazione, in favore piuttosto dell’orizzontalità di una «letteratura da tinello». Essa sarebbe dovuta, asserisce, dalla convinzione di doversi adeguare alla società, alla endemica parcellizzazione figlia di un nichilismo debole, che ha minato il nichilismo forte delle ribellioni, cui la seconda giornata della fiera è dedicata.

Compito dello scrittore è, secondo la convinzione di Perazzoli, «far capire cosa deve cambiare, fare in modo che la cronaca e il male non restino tali». La cronaca deve però essere radice della realtà, il punto dal quale assumersi la responsabilità di partire per trasmigrare la realtà in qualcosa di più grande».

Come conciliare però la consapevolezza che «La letteratura deve essere menzogna»? Petrosino ha le idee chiare. «La letteratura pretende e dice sempre la verità, ma non sulla vita nuda, ma della sua esperienza», ovvero del modo in cui la si la si investe. Inseguire la realtà, chiosa, significa tradirla.

Anche perché, secondo i due autori, sarebbe superfluo e anacronistico un ritorno all’impegno nell’accezione politica che vi si attribuiva negli anni Settanta, dato che manca la società che abbia interesse a sostenerlo. Eppure è a questa società, a questo tempo che «bisogna scrivere indicando una strada, perché ciascuno trovi una propria saggezza». Consapevoli che, se è vero che: «scrivere è una roulette russa», il colpo a vuoto non può che toccare a tutti, ma è dal fallimento che parte la ricerca del «proiettile d’argento», secondo l’immagine di Perazzoli,  capace di penetrare qualsiasi dimensione.

Se però impegno non coincide più con la politica e la società, chiosa Petrosino – non risparmiandosi tuttavia esempi peregrini e attacchi personali a quelli che definisce scriventi, da Saviano a Lilli Gruber – l’impegno dello scrittore di oggi è con il linguaggio.  Il grande scrittore, annota con certezza, è colui che non scrive ciò che vuole (come fa il dilettante) ma ciò che deve: qualsiasi parola senta indispensabile alla fedeltà al personaggio. «Solo il grande scrittore non può dirlo con altre parole», ma usa solo quelle necessarie, e inevitabilmente con quelle. La ricerca delle quali, naturalmente, non può che essere fatica. Che un personaggio chiusa una porta, la sbatta o la accosti, apporta all’intera architettura una deviazione di senso fondativa.

Con i modi netti che caratterizzano l’intero incontro, Petrosino relega invece la scrittura di «quel che senti dentro» al dominio della patologia. Gli fa eco, pur con una riflessione più mediata e ragionata, Perazzoli: «Lo scrittore non vuole niente. È mosso a scrivere – istintivamente  – da un intrico di curiosità esistenziali da dipanare».

È per questo che la teorizzazione dello scrittore non vuole essere la lezione di un maestro in favore di un allievo, bensì a se stesso, per «chiedermi chi sono».

Le posizioni dei due autori qui si discostano: Petrosino, di nuovo con decisione, segna il confine tra pensare ed esprimere il proprio parere. La prima è un’attività che esige il riconoscimento di maestri. Pensare è però prima di tutto un gesto etico, perchè implica il rendere ragione delle proprie posizioni.

Ragioni concrete, scevre di ciò che attribuiamo al mondo investendolo con la nostra esperienza, il nostro gnommero – l’efficace neologismo è di Carlo Emilio Gadda – che si ha sovente fretta di sbrogliare e dovrebbe invece essere «abitato». Una scelta che invece la società di oggi, sintetizzano gli autori, sembra voler rifuggire. Eppure, conclude Petrosino, è proprio questo il potere della letteratura: aprire dei «punti di verità nel chiamare le cose con il proprio nome».

Ne consegue, secondo Perazzoli, che «l’etica se c’è, è nelle cose» nella scelta del particolare, qualsiasi esso sia, che possiede una «eticità naturale» capace di trascendere il singolo episodio in funzione della scrittura stessa, vera agente, che attraversa chi la pratica.

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Nata (nel 1994) e cresciuta in Lombardia suo malgrado, con un' anima di mare di cui il progetto del giornalismo come professione fa parte da che ha memoria. Lettrice vorace, riempitrice di taccuini compulsiva e inguaribile sognatrice, mossa dall'amore per la parola, soprattutto se è portata sulle tavole di un palcoscenico. "Minoranza di uno", per vocazione dalla parte di tutte le altre. Con una laurea in lettere in tasca e una in comunicazione ed editoria da prendere, scrivo di molte cose cercando di impararne altrettante.

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