Manzoni queer e gli altri. Classici e riletture che non hanno mai finito di dire.

immagine per Tommaso Giartosio

Si stanno facendo sempre più significative, in un tempo che ci presta nuova attenzione, le riletture della letteratura attraverso la duplice lente dell’orientamento sessuale e dell’identità di genere.
Un campo che indaga anche il saggio Non aver mai finito di dire. Classici gay e letture queer, che Tommaso Giartosio ha pubblicato per le edizioni Quodlibet. Ne trovano spazio analisi in questa ottica, rifuggendo le forzature, analisi di Manzoni e Dante, senza scusarne i pregiudizi ma affrontando direttamente l’immersione nei nei luoghi comuni.

Valga come esempio di rilettura di genere l’analisi del capolavoro manzoniano, che ne mette in luce alcuni aspetti poco indagati: I due promessi spiega il moderatore Daniele Giglioli – a un certo punto della vicenda – inseriti in due realtà monosessuali. Quella di Lucia è una tipica storia della monacazione. Lei vi resta, reclusa e privata anche dalla presenza maschile. Renzo invece il convento lo rifiuta e le sue vicende si complicano per questo, nel momento in cui sceglie di non fermarsi nel luogo in cui Fra Cristoforo lo aveva indirizzato e finisce col trovarsi coinvolto nei tumulti di Milano.

«Nell’identità di Renzo c’è un’inquietudine che lo apparenta ai suoi nemici». Tende infatti  a una mascolinità che non è prevaricante come quella dei bravi, ma li avvicina per spacconeria. L’obiettivo del romanzo è, secondo l’autore, fare di Renzo un padre, un edificatore nazionale, in coerenza con la partecipazione attiva di Manzoni, come di numerosi intellettuali, all’edifivazione culturale e politica dell’Italia.

Il messaggio sotteso, commenta  Giglioli, è che «un padre si crea esorcizzando e limtando alcune parti della sua mascolinità» E del resto tutti i personaggi diventano vincenti quando accettano di perdere tratti di aggressività, come Cristoforo che rinuncia alla spada di Ludovico o L’innominato che, convertito, L’obbiettivo di Giartosio non è tuttavia un interesse velatamente morboso di scovare ed etichettare omosessuali repressi che hanno sublimato nei libri porzioni di sé, ma segnalare caratteri culturali del tempo. Se ne potrebbe desumere quindi che, i nuovi buoni italiani che Manzoni vuole costruire accolgono la femminilità.

Un modello quantomai lontano da americano dai cowboys, in cui l’uomo si costruisce negando qualsivoglia femminilizzazione.

L’approccio anglosassone è diverso anche quando affronta il tema dell’orientamento, anche quando è dichiarato. Isherwood, che assume apertamente  la sua identità di omosessuale, secondo Giartosio «depotenzia i suoi romanzi successivi. Perchè si perde la tensione: niente è un’identità data, è invece un summa di identificazione». Una parabola opposta a quella di Auden, che invece diventa sempre più conservatore e sembra reintegrarsi, ma resta il mostro perchè entra in una comunità che continua a biasimarlo per ciò che è. «Il gay come eccezione è controfigura dell’arte del modernismo, arte dello svelare».

In questo saggio trovano spazio non solo riletture di opere di altro segno, ma anche analisi di classici della letteratura a tematica LGBT, per osservare quali interrogativi pongano al presente.

Oggi, la normatizzazione dell’identità omosessuale in ambito artistico  pone un problema politico, secondo il saggista: «quando sei integrato che ne è dello scandalo della differenza?», o ancora: in che misura un omosessuale può essere critico del capitaliamo, che in fondo gli ha fatto buon viso? Occorre tuttavia prendere le mosse dalla consapevolezza che «l’identità omosessuale ha un portato di singolarità», legato alla percezione comune a ogni giovane LGBT di essere solo, di non avere una comunità di fare riferimento.

È questa la scommessa della militanza, secondo Giartosio. Fare comunità da individui che devono essere coinvolti direttamente uno per uno.

Quello di Giartosio non è però un peana alla militanza. Anzi, chiarisce: «uno scrittore che non si sente libero di esprmere la propria identità non è né peggiore né migliore». Cosa avrebbe scritto Gadda se avesse vissuto serenemante una identità su cui era molto cauto? «Non è vero che in un grande romanzo non ci sono stereotipi», al contrario.

Assumendo ancora Manzoni a titolo di esempio, questa volta dandone una lettura puramente omosessuale, in quel torno di anni l’omosessualità si traduceva nell’ipervirilità, al punto che nell’Ottocento i bravi erano legati all’omosessualità. Sul piano dell’orientamento quindi «Manzoni condanna l’omosocialità più che l’omosessualità, aggiungendo qualcosa di demoniaco, propugnando invece un incontro tra sessi.

La rilettura del saggio abbraccia però una notevole quantità di riferimenti, spingendosi fino a James Bond, utile a spiegare come: «si può essere eroi soltanto fino a che si mostra la propria coerenza anche come esasperazione».

Che quella di Giartosio non sia una forzatura lo prova la letteratura medesima. Esempio lampante è il Flaubert di Bouvard e Pécuchet, due uomini che, cercano anche di adottare un bambino. Un esempio che dimostra come la riflessione sull’omosessualità non sia un portato del presente, ma affondi le radici in «un mondo in cui esiste una realtà che aveva tabù molto più forti nel tamatizzarla»

La riflessione di Giartosio porta anche a rinconsiderare il rapporto fra identità di genere e orientamento, per secoli unite a scopo di discriminazione discriminazione. Oggi per questo si è portati a scinderle, «ma il legame c’è e ci spinge a ripensare alle identificazioni di genere, avanzare dubbi su ogni identità caratterizzata tranne quella di genere, che inbece può aprire la domanda sui modi in cui può identificarsi».

Se si legge o rilegge un’opera in chiave identitaria, chiede tuttavia Giglioli, come sfuggire ai cortocircuiti potenziali nell’identificare l’autore interamente con la sua opera?

Giartosio non ha dubbi: «L’identità può essere tutto ciò che precede la relazione, La politica accade a partire dall’identità ma dopo di essa. Ci sono parti della mia identità che possono cambiare ma non posso cambiarle, invece posso agire sulla realtà e la politica».

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Nata (nel 1994) e cresciuta in Lombardia suo malgrado, con un' anima di mare di cui il progetto del giornalismo come professione fa parte da che ha memoria. Lettrice vorace, riempitrice di taccuini compulsiva e inguaribile sognatrice, mossa dall'amore per la parola, soprattutto se è portata sulle tavole di un palcoscenico. "Minoranza di uno", per vocazione dalla parte di tutte le altre. Con una laurea in lettere in tasca e una in comunicazione ed editoria da prendere, scrivo di molte cose cercando di impararne altrettante.

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