Per capirsi meglio. Voci giovani per un vocabolario nuovo

immagine per  Noa Delclòs CollPer parlare c’è bisogno di un codice comune. Noa Delclòs Coll è un giovane studente spagnolo e per presentare il suo libro viene affiancato da una traduttrice, Flora Bonetti. Il più delle volte, però, la comprensione è quasi immediata: parole che si riconoscono nella comune radice latina, sorrisi, moltissimi gesti: nello spazio di un’ora si crea un incontro, un piccolo vocabolario comune necessario alla comunicazione.

Il meccanismo è immediato, dettato dalla necessità: per capirsi c’è bisogno di un linguaggio comune, un linguaggio che è sì un veicolo di contenuti, ma proprio per la sua funzione vitale diviene un atto sociale, un atto politico.

Ce ne rendiamo conto più dolorosamente quando dobbiamo trovare il modo di parlare di qualcosa di cui prima nessuno aveva sentito il bisogno di discutere. Di qualcosa che esisteva, sì, ma non aveva nome.  Il genere, ad esempio, che nel suo approcciarsi relativamente contemporaneo al grande pubblico crea un’incomprensione piuttosto diffusa. Basti pensare alla fantomatica teoria del gender che secondo illustri politici starebbe traviando innocenti bambini in tutta l’Italia e alla conseguente soluzione dell’autobus anti – gender che in tutta la sua incostituzionalità scorrazza da mesi per tutta Europa.

Davanti a una confusione così diffusa, Noa Delclòs Coll decide di rispondere creando ciò che di solito si consulta quando non si sa dove sbattere la testa: una guida illustrata, un piccolo manuale a cui rivolgersi in casi disperati.

Perché – come racconta Porpora Marcasciano, che dialoga con l’autore – anche solo spiegarli, questi argomenti, trovare il modo di farsi capire è tutt’altro che scontato. E lo strumento che Noa crea, partendo da un progetto scolastico, brilla per la limpidezza, la semplicità e la sintesi dei suoi contenuti, nati non tanto da una letteratura precedente (comunque limitata) ma da un interrogarsi continuo, da un dialogo sincero con gli altri e con se stesso.

Un dialogo che viene esteso anche al lettore, che aprendo la guida trova in prima pagina la domanda: cos’è per te il genere? Durante la presentazione, quando Chiara Reali rivolge questo stesso interrogativo al pubblico, c’è un momento di silenzio. Dunque cos’è? una gabbia? Un’imposizione? Una possibilità? Un costrutto culturale? Perfino Porpora Marcasciano, direttrice del Movimento di Identità Transessuale, ammette una difficoltà dettata dall’aver cominciato a ragionarci relativamente da poco. L’importante però, è cominciare. Scontrarsi, avere voglia di discuterne.

In un’Italia (ma anche in una Spagna, dai racconti di Noa) in cui l’identità di genere non è trattata con la giusta attenzione spesso anche nei gruppi che dovrebbero lottare per i diritti di tutte le minoranze, stabilendo un’ “omonorma” che ripercorre gli stessi strumenti di potere che vorrebbe ripudiare, in un’Italia in cui a tratti sembra di assistere a una grottesca partita di calcio “donne con la vagina contro le altre”, la prima traduzione di Genere. Per capirsi meglio arriva non solo come un libro, ma anche come uno strumento ironico, fresco e tremendamente utile.

Un’arma efficace contro la disinformazione e le incomprensioni, ma un’arma con cui – con le parole di Porpora – per lottare bisogna tornare a divertirsi.

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Nata a Parma nel 1995 e qui incamminata sulla via degli studi umanistici, dal 2014 risiede al Collegio Ghislieri di Pavia. Nell'Ateneo della città studia Lettere Moderne e muove i primi, incerti, decisi passi verso la Storia dell'Arte Contemporanea. Sprovvista della esperienze e della sicurezza che occorrerebbero per parlare di se stessa in terza persona, si limita a seguire ogni strada buona con tutti gli strumenti possibili - che siano un libro, una valigia, un biglietto del cinema. Non sa quello che è, non sa quello che vorrebbe diventare: in mezzo, la voglia di non risparmiarsi e una passione sempiterna per la scrittura e per la cultura dell'Europa centro orientale.

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