I racconti dall’esilio di Saleh Addonia sono la memoria del suo sradicamento

immagine per Saleh AddoniaSaleh non ha un posto da chiamare patria, né una lingua madre. È nato in Eritrea, da madre eritrea e padre etiope. È cresciuto in un campo profughi in Sudan dove a dodici anni ha perso l’udito, ha trascorso l’adolescenza  in Arabia Saudita poi, a venticinque anni si è trasferito in Gran Bretagna. Vanni Bianconi fondatore del Festival di traduzione Babel di Bellinzona, racconta di averlo conosciuto come filmaker senza fondi, convinto che per gli scrittori fosse tutto più semplice così Bianconi lo invitò diventare scrittore, adattando i molti script conservati nel cassetto, una innumerevole serie di dialoghi. Ed è in questa veste che il «transito continuo» di Saleh Addonia lo porta a Book Pride. Cresciuto rileggendo i libri di Deleuze, si è abituato a «raccontare una vicenda come un dispositivo, mettendolo in discussione: Cosa posso pensare di aver vissuto veramente, cos’è un ricordo?».

Si tratta dello stesso sistema applicato al suo Lei è un altro paese, pubblicato da Casagrande editore. Una raccolta di racconti vividi e densi, capace di lavorare a lungo nella mente del lettore, nella quale costruzione narrativa e memoria si compenetrano, e in cui la sua prosa «raggiunge un grado di astrazione sempre spiazzante» La sua dolorosa vicenda infatti non vuole essere per lui motivo di vittimismo, ma mezzo per aprire sguardi, per dare alle idee una carnalità di vita vissuta. Ne emerge un libro senza lingua originale, come il suo autore, pubblicato per la prima volta in italiano da una bozza in inglese, e che gli editori si augurano possa rimanere tale, venendo tradotto «dall’italiano a un’altra lingua e da questa a un’altra ancora».

La protagonista del racconto che da il titolo al libro racconta molto del libro:

«Nel paese dove siamo cresciuti lei non si trovava da nessuna parte, siamo fuggiti per innamorarci di lei». Nell’immagine di donna sensuale e fascinosa che scaccia chi vuole amarla, di cui Addonia descrive ogni dettaglio, dai gesti agli abiti, si velano la molteplicità di letture possibili delle parole dell’autore.  

«Il concetto di amore non esiste nel paese in cui siamo nati, e il bisogno di amarti e essere amati è risalito. Per chi ti amava c’era l’arresto o il plotone di esecuzione. É stato allora che abbiamo deciso che eri un altro Paese».

Chi è lei? La donna, entità altra per tutta l’adolescenza, in cui la separazione tra i generi era rigorosa? L’amore in sé, la possibilità di un sentimento che offra solidità a un animo costretto allo sradicamento? La libertà e la prosperità cercata lontano dalla guerra? O forse tutte queste cose insieme? Domande senza risposta. Che ne generano un’altra, di cui la giornalista Lara Ricci si fa portavoce:

«Ma lui sta prendendo in giro noi, i nostri pregiudizi verso i Paesi dove le donne sono coperte e che pensiamo ossessionati dal sesso, o ci sta dicendo la verità?»

Una domanda a cui Addonia risponde senza tentennamenti, dichiarandosi «al servizio della verità, non importa quanto essa sia dolorosa» lasciando che i lettori offrano la loro interpretazione, ma anche cercando sempre di prendere sottilmente in giro i suoi personaggi, senza mai abbellire la propria vita e inserendo i ricordi così come sono funzionali al racconto.

La forza di questa raccolta è sintetizzata da Ricci: «di solito gli africani si “fermano” a farci vedere il mondo con uno sguardo diverso, spesso divertenti a volte tragici. Addonia non ci racconta un Paese o una vita, dice qualcosa dell’uomo in generale».

La scrittura di Addonia, spiega, parte infatti sempre da una domanda:  «cosa avrebbe potuto succedere perchè arrivassimo a questo?».

Gli accade quindi,  come nell’ultimo racconto, di partire dall’immagine di un uomo che  vede tornare suo padre dopo quarant’anni, e costruire gli scenari possibili; Li conduce così a  «rivivere la vita che non hanno vissuto come prove di uno spettacolo» e su questa idea si innesta la costruzione narrativa, che apre la possibilità del ricordo e nel contempo numerose vie d’accesso a questa storia.

Ciò che ne emerge è un «libro disturbante, che dice dei tabù, genera fastidio e sottente dun meccanismo profondo originale, ricco di angoli di entrata, talvoltra struggente»

Che specchia, del resto, la biografia stessa di Saleh Addonia. diventato lettore quando ha perso l’udito per combattere la solitudine, e poi scrittore «forse per paura di aver sprecato la mia vita, di cui non voglio tornare indietro e trovare un significato. O forse è un modo per combattere la dimenticanza, o forse solo per restare vivo».

L’elemento qualificante, per Addonia, non è la migrazione, ma l’esilio, e il destino, come il libro, tragico e comico. «È tragico sia essere migrante che essere uomo. non avere un posto che posso chiamare casa. O non essermi innamorato quando ne avevo bisogno»
Una commistione, quella tra tragico e comico, che generelo stesso spaesamento dato dalla lingua, perchè, come spiega la traduttrice, «non ha cali di registro, è preciso ma è un inglese con cui nessuno scrive» dimostrazione plastica dell’originalità e dello sradicamento che caratterizzano l’autore.

Una riflessione, quella sulla lingua, su cui Addonia offre affascinanti spunti: «scrivere in inglese perchè la uso per comunicare, ma non è la lingua che mi cresce intorno, con cui ho un rapporto fisico nella bocca e nella psiche. Il vantaggio è che non mi censuro, in arabo una minor distanza mi frena.

Con l’inglese mi sono liberato dell’arabo che non era la mia lingua madre, ma è una lingua che ancora mi dice moltissimo». Per questo, spiega «A volte mi traduco in arabo per infondere maggior naturalezza alle parole e solo poi tornare all’astrattismo dell’inglese»  Quest’ultima infatti è una lingua che ha solo letto, il cui suono può essere, a causa della sua sordità, solamente immaginato. L’arabo invece possiede ancora un suono, di cui nella memoria può evocare la purezza.

+ ARTICOLI

Nata (nel 1994) e cresciuta in Lombardia suo malgrado, con un' anima di mare di cui il progetto del giornalismo come professione fa parte da che ha memoria. Lettrice vorace, riempitrice di taccuini compulsiva e inguaribile sognatrice, mossa dall'amore per la parola, soprattutto se è portata sulle tavole di un palcoscenico. "Minoranza di uno", per vocazione dalla parte di tutte le altre. Con una laurea in lettere in tasca e una in comunicazione ed editoria da prendere, scrivo di molte cose cercando di impararne altrettante.

My Agile Privacy
Questo sito utilizza cookie tecnici e statistici. Cliccando su "Accetta" autorizzi tutti i cookie. Cliccando su "Rifiuta" o sulla X rifiuterai tutti i cookie eccetto quelli necessari per il corretto funzionamento del sito. Cliccando su "Personalizza" è possibile selezionare quali cookie attivare.