Rozana Montiel. Essere architetto e designer donna in Messico. A Venezia con la buona pratica progettuale

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Rozana Montiel

Nel catalogo della Mostra internazionale di architettura di Venezia 2018, FreeSpace, si dice:

“l’attività e la ricerca di Rozana Montiel riflettono i valori che volevamo fossero espressi dalla 16. Mostra Internazionale di Architettura”.

Rozana Montiel è architetto e designer, fondatrice di Rozana Montiel | Estudio De Arquitectura a Città del Messico, realtà consolidata del panorama progettuale messicano, e si occupa della riconcettualizzazione dello spazio, inteso come spazio pubblico, e come spazio di vita dell’uomo, dagli oggetti d’uso comune, alla definizione dell’ambiente intimo e privato.

Non è un lavoro facile, quello dell’architetto militante; non è facile assicurare alla propria visionarietà alla propria potenzialità progettuale, un territorio concreto per la pratica d’azione; non è facile tradurre in fattualità un’idea, una teoria, il proprio progetto.

Esiste l’ideologia, e poi c’è il mondo, il mondo esterno, con le sue implicazioni, con gli ostacoli della complessa struttura del reale, nella stratificata eterogeneità di economie e di storia della società globalizzata.

In questo distretto di difficoltà si muove la materia dell’architettura, che diventa sempre più attività agonistica e socialmente compromessa.

Rozana Montiel è donna e vive in Messico, terra di immense incongruenze, di negazione, e di esacerbati istinti di rivalsa. Come professionista radicata al territorio, doveva prendere una posizione, e l’ha fatto;  il suo lavoro è da sempre al servizio del sociale, con la sua pratica mirata al ripensamento e alla riqualificazione del sistema semplice della prima unità abitativa, ed all’integrazione della particella nel macrosistema dei nuclei più complessi degli agglomerati urbani.

Mejorando la unidad (retrofitting housing project) è un programma di sviluppo promosso da INFONAVIT, Instituto del Fondo Nacional de la Vivienda para los Trabajadores, con il Ministero dell’Agricoltura Messicano, ed altri Enti di gestione del territorio, nell’ambito della strategia del Committment 200, approvato nel 2013 dal presidente Enrique Peña Nieto, per lo sviluppo urbano e urbanistico del Paese.

L’impatto del piano territoriale è stato enorme, dal punto di vista della razionalizzazione dello spazio, ma anche dal punto di vista sociologico e politico, rivelando possibilità insperate, interessando territori sempre più vasti, dalla capitale del Paese, alle estreme diramazioni abitatative dell’aggregato cittadino, determinando il superamento del concetto stesso di confini, consentendo l’invasione, con interventi mirati, delle periferie e degli spazi intermedi tra le città.

Rozana Montiel partecipa al Piano Nazionale con un intervento, presentato alle Corderie della Biennale 2018, dal titolo: Common-Unity; progetto di valorizzazione dello spazio pubblico per l’Unità abitativa San Pablo Xalpa di Azcapotzalco, Città del Messico.

Il Quartiere di San Pablo Xalpa aveva nel tempo smarrito la sua identità di agglomerato, sezionato da muri, da recinzioni e barriere, che gli abitanti avevano costruito per le loro private necessità, di fatto negando completamente il valore dello spazio tra le abitazioni, esautorando lo spazio comune del suo valore di spazio per la collettività, destinato a funzioni ricreative aggregative e di interscambio.

Come la stessa Montiel spiega, sensibilizzando gli abitanti del quartiere, interagendo con loro, coinvolgendoli nel processo progettuale, con uno scambio diretto, informandoli sulle nuove possibilità offerte dalla conversione di uno spazio depotenziato in uno qualificato, studiato per le esigenze della collettività riunita, per il gioco dei bambini, per la sosta ed il riposo degli anziani, per la fruizione dell’habitat esterno all’abitazione, sono stati essi stessi a consentire la rimozione delle barriere e delle recinzioni che requisivano al privato lo spazio di tutti.

Una strategia sociologica vincente, che ha consentito interventi progettuali, veri incidenti architettonici, di grande interesse, e, significativi, nel senso pieno dell’Architettura.

Una vetrina alle corderie contiene lo studio puntuale della Montiel, i suoi appunti, i suoi disegni, le sue foto degli spazi prima della buona architettura e poi del nuovo ambiente umano, riqualificato e testimoniato nella sua felice risoluzione dalla stessa presenza dei fruitori.

Un libro, HU, raccoglie le riflessioni dell’architetto, gli schizzi di progetto, che sono dei post it, gli stessi che tutti usano per segnare qualcosa da ricordare, per assegnare un pensiero a un luogo cui assicurarlo.

Un lavoro originale, unico, un manuale di progettazione, un prontuario, una guida cui ricorrere per trasformare un problema in un punto di forza del progetto.

Il libro, come il lavoro stesso, è puntiforme e puntuale, come i post it, di cui è l’esplicazione e la strutturazione, diviso in sezioni, che sono argomenti, ma sono concetti nella parola stessa, strumento metodologico di penetrazione e approfondimento della materia da trattare. Strumenti e concetti, parole e idee, significati e significanti.

Una ricerca sistematica che non si sottrae al sistema del gioco e alla sua scherzosa asistematicità.

Alla Biennale, accanto al progetto costruito e (di)mostrato, che interviene con tutti gli strumenti dell’architettura per modificare lo spazio reale in cui l’uomo agisce e vive, un altro progetto fine a se stesso, immaginato per il contenitore espositivo, dove vive solo il progetto mostrato. Un’installazione, un allestimento, un andito, un passaggio per un altro luogo.

Anche questa è architettura, la composizione è architettura, rimodulare i piani, rimodulare le superfici, i pieni e i vuoti, ridisegnare le geometrie, le figure le aree, creare uno spazio dallo spazio, dallo spazio creare una spazialità diversa, permettere la fruizione in modo nuovo, correggere la prospettiva, determinare un’immersione, è questo pure architettura.

Rozana Montiel interpreta il suo spazio alla Biennale, sottraendo la parete al muro, consegnando il pieno all’aria, sostituendo una barriera con uno spazio aperto, lo spazio della città. Una proiezione continua ci porta sui canali di Venezia, in un fluire ininterrotto di persone e cose e azioni e vita.

Il muro diventa diaframma, filtro, immaterialità, la parete con la sua finestra diventa pavimento, col la sua finestra. Quasi un playground, un ground mistificato, il pavimento che è muro e sostiene l’orizzonte di eventi di ordinaria vita reale, con il valore aggiunto della citazione, che da Scarpa in poi non consegna i portali orizzontali altro che a Carlo Scarpa.

Poesia e muratura, immaginazione e bellezza.

La Montiel dice del suo intervento:

“In spagnolo freespace è un gioco di parole: significa sia libera lo spazio (libera espacio) sia margine di azione (espacio libre). Per il nostro studio si tratta di un imperativo ad agire ma anche di uno spazio per azioni legate allo sviluppo potenziale di un luogo. I luoghi sono la base su cui strutturare resilienza ed equità. Crediamo fermamente che l’architettura sia anche costruzione sociale”.

Trasformare le barriere in confini, è questo, in fondo, il cuore di questa ricerca, che non è più solo il tema libero di questa 16. Biennale, è il tema della Biennale di tutti gli anni addietro insieme e degli anni futuri che verranno, perché è il senso dell’Architettura intera.

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Raffaella Aragosa compie studi di architettura con indirizzo storico di restauro e storia dell'arte. Dal 1995 al 2002 collabora con la Cappa Production alla realizzazione di documentari sull'arte e la storia. Cura numerose mostre, collabrando con Cesare Garboli e Fred Licht, e nel 2008 è fondatrice con altri specialisti dell'Istituto nazionale di pedagogia familiare. Presenta e introduce saggi, si occupa di rapporti tra letteratura e arte e svolge l'attività di curatore.

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