Salone del Libro 2019 #1. Lo spagnolo, lingua ospite. Incontro con Antonio Rojano e Juan Antonio Gonzàles-Iglesias

«Se l’anno scorso il Paese ospite è stato la Francia –ha detto il direttore editoriale Nicola Lagioia– quest’anno è stata fatta una scelta diversa: poiché i Paesi hanno confini ma le parole e le idee no, il Salone avrà una lingua ospite, lo spagnolo, tra le più parlate al mondo».

Quest’idea ha preso forma con la Piazza dei Lettori che si è trasformata ne La Plaza de los Lectores, uno spazio arricchito dalla biblioteca curata in collaborazione con AIB, Associazione Italiana Biblioteche, Biblioteche Civiche Torinesi e SBAM, Sistema Bibliotecario dell’Area Metropolitana.

La Plaza ha ospitato gli incontri costruiti in sinergia con l’Instituto Cervantes che ha contribuito a portare in Italia alcuni degli scrittori ospiti dell’edizione. Insomma, un luogo ideale per avvicinarsi e scoprire il meglio della letteratura in lingua spagnola di oggi, per scoprire e avvicinarsi a personalità di spicco come lo scrittore colombiano Juan Esteban Constain, che ha approfondito il rapporto tra Gabriel Garcia Marquez e l’Italia; Maria Sonia Cristoff, la scrittrice argentina di Falsa calma; Josè Ovejero, l’autore spagnolo vincitore del prestigioso Premio Alfaguara; Ana Rossetti, una delle poetesse spagnole più apprezzate di oggi; il filosofo spagnolo Fernando Savater che ha preso parola giovedì 9 maggio presso la Sala Oro del Lingotto, con la lezione inaugurale Dov’è l’identità culturale europea?

Cinque giorni nei quali la lingua spagnola ha avuto un ruolo cardine nel raccontare e nel definire il tema del Salone 2019, ovvero Il gioco del mondo un omaggio al capolavoro della letteratura latinoamericana di Julio Cortàzar, che a pieno diritto funge da collegamento tra la cultura europea e quella sudamericana.

Cinque giorni per raccontare ibridazioni e identità, logiche e irrazionalità, evoluzioni e battute d’arresto. Tutta la contemporaneità con le sue tensioni, controversie e speranze attraverso la pluralità delle voci di scrittori, scienziati, giornalisti, attori e registi.

Ed è proprio in questa pluralità di voci che si inseriscono il drammaturgo spagnolo Antonio Rojano, autore dell’opera teatrale Furiosa Scandinavia, e il poeta de Confiado e Un Angulo me basta Juan Antonio Gonzales-Iglesias.

Furiosa Scandinavia -la pièce drammatica presentata insieme al regista Javier Sahuquillo e alla traduttrice Marta Bevilacqua, che sarà per la prima volta in scena in Italia al Polo del ‘900 di Torino grazie alla produzione voluta da Settembre Teatro in collaborazione con Acciòn Cultural Espanola– si ispira, come dichiara il suo autore, alla Recherche du temps perdu di Marcel Proust e si pone l’obiettivo di indagare  i misteri e le sfaccettature della memoria umana, e la sua conseguente fallibilità dei ricordi.

Ma Furiosa Scandinavia non si limita solo a questo. Come dichiara la traduttrice «l’opera è un immenso serbatoio di numerosi temi: è furioso e poi perduto amore, è un viaggio verso l’ignoto, è una violenta critica contro il pensiero medio-comune e contro il capitalismo dei sentimenti che pretende di banalizzare qualsiasi dolore… amore viaggio memoria». I due personaggi Erika e Balzacman, questi due soggetti in balia di una potente tempesta interiore, sono stati abbandonati dai rispettivi compagni: la ragazza sceglie un oblio medico, una pillola che cancella i ricordi spiacevoli; l’uomo invece preferisce il ricordo, lanciandosi in un delirante viaggio in Norvegia, sulle tracce che collegano la poetessa Irene Reyes e T., l’uomo che ha lasciato Erika.

Due viaggi, uno interiore e uno esteriore, che si intrecciano, si scontrano e alle volte dolcemente si sfiorano e che- dice Rojano- «formano due differenti mappature della delusione amorosa. Si parla di colpa, di sofferenza, del vincolo tra luoghi ed emozioni e perlopiù dell’eccitante potere della finzione».

Potere della finzione che si snocciola in quest’opera dai tratti non lineari perché appunto il ricordo e il processo mnemonico non sono mai piani e lineari. «Per scrivere» continua l’autore «devo per forza di cose tendere alla finzione e per ottenerla ho cercato di mescolare aspetti narrativi e aspetti teatrali. Mi sono spinto nei labirinti di Borges, mi ci sono addentrato. Testo e parola non hanno il compito di rivelare immediatamente i piani più intimi e nascosti dell’animo umano, ma bisogna immergersi dentro questo spazio sempre indefinito fino quasi a toccare con mano, in un turbine d’oblio e sofferenza, il vero e ultimo significato dell’abbandono».

L’amnesia è come un lusso che non ci si può permettere, l’amore è un sogno narcisistico che Erika e Balzacman intraprendono, ricordando che in quest’opera Rojano si muove sempre nel territorio freudiano.

Altro incontro tutto spagnolo, altro incontro davvero interessante a cura di Pordenonelegge e della poetessa e traduttrice italiana Laura Pugno, è stato quello con il poeta e classicista Juan Antonio-Iglesias, uno dei poeti contemporanei spagnoli più apprezzati e premiati, nonché anche traduttore in castigliano dei classici della lirica latina.

La conferenza, che comunque si è mossa su i due assi portanti della poesia di Gonzalo-Iglesias, ovvero il corpo e la parola, non è mai stata un semplice resoconto o una banale recensione-critica sul pensiero che sta a monte dell’autore, ma è stata per circa 45 minuti uno spazio di pura e sola poesia, dove solo la poesia e il canto poetico hanno diretto le danze. Iglesias è un uomo spiritoso, molto alla mano. Ha recitato, ha scherzato con i presenti, contribuendo a far sì che la Plaza diventasse una vera piazza fisica e reale –come quando le città finivano con grandi viali (per citare Pasolini)- una piazza d’ascolto e di conversazione, di spensieratezza mista a un’atmosfera leggera ma allo stesso tempo davvero potente.  Dicendo timidamente solo che Iglesias nel suo pensiero e nella sua poetica di matrice classica, nella quale hanno un ruolo dominante l’eros e il logos (insegnamento della grecità), tende verso un “eros che sia masmas dell’amore, mas del logos, mas della morte. E qui si può concludere inserendo integralmente una delle sue poesie tratte dalla raccolta Confiado, intitolata Queste parole dove il poeta in Firenze per studio, oltre a rendere omaggio alla madre, incontra in questo viaggio al tempo stesso reale e metaforico i grandi maestri della tradizione poetica: il nostro Dante e T.S Eliot.

Queste parole (tratta da Confiado, Visor, 2015)

Queste parole, figlia del tuo figlio,
che così tanto mi accompagnano,
prima che nei libri, prima che in Dante,
prima che nei Quartetti
di Eliot, le lessi
per strada una sera,
quasi sospese sopra la mia testa,
alzando gli occhi fino alle maiuscole
latine –non serve
il libro, le abbiamo messe qui volendo
che tutta la città sia il vostro libro-
e le ho rilette poi per molti giorni
sulla via delle lezioni o di casa,
cambiando a volte i miei tragitti
solo per potermi fermare un momento
dinanzi alla lingua.
Le scoprii sui marmi di Firenze,
una sera in cui tutto era futuro.
Vent’anni dopo le leggo di nuovo.
Ho dovuto girare a lungo per trovarle,
non ricordavo più dove fossero. Così
diverso è ciò che perdura
da quelli che siamo cosa fugace.
Continuano a darmi forza. Ancor più adesso
Che più comprendo il loro dolce enigma.

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Giuseppe Giordano nasce nel 1992 a Vercelli. Dopo aver compiuto gli studi tecnici, si è laureato in Lettere Moderne e Contemporanee - ambito di ricerca in letterature comparate euro/americane - presso l’Università degli Studi di Torino. Dal 2013 ha collaborato con alcuni settimanali locali e successivamente ha intrapreso il lavoro in un’azienda grafico-chimica. Nel 2017 ha pubblicato "E in un sogno d’amore scalcia disumano delirio", in "L’Iliade riscritta", a cura di C. Lombardi (Ed.), Torino, Mimesis (Collana Woland) e nel 2018 si è posizionato tra i finalisti al concorso letterario “Premio Internazionale Mario Luzi” con l’opera intitolata "Svezzamenti. Forme di un nichilismo liquido dal mancato e dalla dimenticanza"- ora in corso di pubblicazione presso la casa editrice Luzi Editore. Da qualche tempo ha iniziato a collaborare con la rivista “art a part of culture”.

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