Salone del Libro 2019 #2. Incontro su Mircea Eliade

Benvenuti nella Sala Romania. Sono le 14:30 circa. Lo spazio è piccolo, tutto concentrato in pochi metri quadrati. Fa molto caldo. Gli ascoltatori ci sono: pochi posti ma tutto esaurito. L’atmosfera è chiusa, di nicchia; è severa, accademica. Presentano l’incontro appunto due docenti universitari ben conosciuti nel panorama accademico e culturale.

Uno è Natale Spineto professore ordinario di Storia delle Religioni presso l’Università degli Studi di Torino, l’altro è Roberto Scagno lo scrittore e docente presso l’Università di Padova. Insieme a loro c’è lo specialista e traduttore di testi romeni (tra cui Cioran ed Eliade) Horia Corneliu Cicortas.

Il tema generale attorno al quale ruota tutta la conferenza è la storia delle religioni, l’approfondimento è sul filosofo e storico romeno Mircea Eliade, specialmente sul suo capolavoro Il mito dell’eterno ritorno pubblicato a Parigi nel 1949.

«Il mito dell’eterno ritorno» spiega Spineto «è il frutto di uno studio che Eliade aveva compiuto sull’uomo delle società arcaiche o tradizionali, e su quelle società che espressero le antiche culture dell’Asia, dell’Europa e dell’America, concentrandosi sulla concezione che l’uomo aveva di se stesso e del posto che occupava nel cosmo, mostrando la sostanziale differenza rispetto a quella moderna, fortemente influenzata dal giudeo-cristianesimo, nel quale l’intervento di Dio nella storia spazza via definitivamente il tempo ciclico proprio delle società arcaiche nelle quali l’uomo era solidale con il cosmo e con i suoi ritmi».

Prende parola Scagno e -dopo aver tracciato una piccola summa del percorso creativo che ha portato Eliade a scrivere questo «compendio spirituale che ha portato questa disciplina ad essere uno strumento di rinnovamento della cultura contemporanea più di altre discipline»- introduce l’idea fondante di Eliade e di Julien Ries, ovvero quella nozione per la quale l’uomo è sostanzialmente un “Homo religiosus”, vale a dire, continua Scagno «dall’idea di un uomo la cui stessa soggettività, prima ancora di ogni sua eventuale risposta o bisogno religioso, è in se stessa strutturata o abitata dall’irriducibile rinvio ad una alterità/trascendenza che non si può mai né evitare né dominare».

Spineto ci dice quindi «che in questo senso l’esperienza del sacro o religiosità- prima ancora di informarsi nelle diverse religioni- è ciò che interviene nella costituzione stessa di quella coscienza che, prendendo le distanze dal semplice fluire della nuda vita, dà avvio ad un’umanità che emerge come tale sempre e solo nel rinvio alla trascendenza».

Eliade non fa solo questo, ma affronta il problema degli storicismi attuali e fornisce all’uomo una guida rispetto a una questione che considera essenziale, l’individuazione di ciò che «permette anche all’uomo moderno di sopportare la pressione sempre più potente della storia contemporanea».

Siamo quindi arrivati alle ultime battute dell’incontro e Cicortas sfrutta il tempo rimasto per presentare un’altra importante opera di Eliade che lo avvicina alla filosofia orientale e specialmente allo studio dello yoga e della filosofia indiana più in generale.

Afferma lo studioso romeno «Eliade è stato un vero e proprio guru negli Stati Uniti dove ha vissuto e insegnato per molti anni. Nel suo lavoro intitolato Patanjali e lo yoga, Eliade analizza la disciplina spirituale presente nello yoga, oggi troppo spesso ricondotta a semplice tecnica di rilassamento psicofisico, e dimostra che Patanjali fu un vero maestro spirituale. Fin dall’epoca delle Upanishad la spiritualità indiana si è sempre occupata fondamentalmente di un solo grande problema: come superare i condizionamenti che piegano l’esistenza umana. Uno dei più grandi risultati di tale ricerca è stata la scoperta della coscienza-testimone, della coscienza che, sciolta dai vincoli delle sue strutture psico-fisiologiche, della temporalità, del dolore, raggiunge la vera liberazione finale. La conquista di questa libertà assoluta rappresenta lo scopo di tutte le filosofie e di tutte le tecniche mistiche indiane, ma è stato soprattutto attraverso lo yoga, nelle sue varie forme, che si è ritenuto di potervi giungere».

La conferenza è finita. Un timido saluto. Tutti si alzano per disperdersi in altri stand.

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Giuseppe Giordano nasce nel 1992 a Vercelli. Dopo aver compiuto gli studi tecnici, si è laureato in Lettere Moderne e Contemporanee - ambito di ricerca in letterature comparate euro/americane - presso l’Università degli Studi di Torino. Dal 2013 ha collaborato con alcuni settimanali locali e successivamente ha intrapreso il lavoro in un’azienda grafico-chimica. Nel 2017 ha pubblicato "E in un sogno d’amore scalcia disumano delirio", in "L’Iliade riscritta", a cura di C. Lombardi (Ed.), Torino, Mimesis (Collana Woland) e nel 2018 si è posizionato tra i finalisti al concorso letterario “Premio Internazionale Mario Luzi” con l’opera intitolata "Svezzamenti. Forme di un nichilismo liquido dal mancato e dalla dimenticanza"- ora in corso di pubblicazione presso la casa editrice Luzi Editore. Da qualche tempo ha iniziato a collaborare con la rivista “art a part of culture”.

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