Salone del Libro 2019 #3. Salone Off. Wole Soyinka, le élite della morte e l’elogio della disobbedienza

immagine Wole Soyinka

Per un giovane ragazzo che studia e crede profondamente nella forza della letteratura, incontrare Wole Soyinka di persona, sentire il suono della sua voce da una sedia poco più in là, quella voce indistruttibile che ha pagato in prima persona la difesa delle proprie idee contro la tirannia in Nigeria (incarcerato, condannato a morte e poi costretto all’esilio), che ha invocato a squarciagola la pace, che si è lanciato in un appassionato appello per la pace chiedendo di fermare le atrocità commesse durante la guerra civile nigeriana… beh, è una fortuna che non si può indicare con l’indice della mano destra, che non può e non deve chiudersi in un aggettivo banale o al massimo ricercato…

No! In un istante è come se tutta la letteratura, tutti i poeti e i romanzieri che ho letto prima o dopo di lui e che in un modo o nell’altro mi hanno guidato in questi anni di studio… è come se d’un tratto avessero preso corpo. Per un’istante è come se fossero realmente stati lì presenti tutti quanti e quanti ancora da scoprire. C’era un volto che si mostrava. Tutta la potenza della parola nella quale ogni studente di letteratura crede… ora si mostrava in una forma ben definita e carnale: Wole Soyinka.

Per un ragazzo che ha studiato e che continua a studiare nelle sale dell’Università degli Studi di Torino, incontrare Wole Soyinka nella suggestiva e classicheggiante aula magna del palazzo del rettorato, rimarrà per sempre una sensazione di pienezza assoluta.

A presentare l’evento per il Salone Off (l’altra faccia del Salone al Lingotto che si sposta in vari punti della città) ci sono la traduttrice Alessandra Dimaio e i professori di UniTo Angela Condello e Franco Arato. Quest’ultimo, dopo aver fatto una serie di ringraziamenti a presenti e non, esordisce presentando brevemente l’ospite e la sua ultima opera, edita da Jaca Book e intitolata Ode laica per Chibok e Leah «è un grande onore avere nella nostra Università Wole Soyinka, è un grande onore avere con noi una delle voci più autorevoli al mondo in tema di diritti civili, oltre che scrittore, poeta e drammaturgo insignito con il massimo riconoscimento nel 1986. La sua ultima raccolta di versi è un inno all’umanesimo radicale contro i fondamentalismi politici e religiosi, in particolare contro le violenze di Boko Haram che continuano a flagellare la sua Nigeria».

Soyinka, con la sua vita messa a disposizione per il sociale, si scaglia ancora una volta a muso duro contro i nuovi fondamentalismi sorti nella sua terra e in altre zone del mondo, puntualizzando una critica feroce a chi utilizza la religione con l’unico fine del potere territoriale ed economico che porta con sé sempre vessazioni e che spesso conduce a perpetrare genocidi di massa.

«La religione, qualunque religione sia» dice Soyinka «deve essere una forza trainante, dev’essere una vera forza di liberazione prima di tutto individuale e solo successivamente questa si potrà trasformare in una “ribellione” sociale».

Una vera rivoluzione si può compiere quindi solo se il soggetto si predispone spiritualmente e mentalmente alla rivoluzione… per tutti coloro che invece abitano nelle zone buie di un “no” fragile e timido, detto così tanto per dire, per coloro c’è sempre il rischio di cadere nelle mani del primo offerente, del primo gruppo che offre una qualsiasi appartenenza. Anche se questa si rivela poi una cricca della morte.

«Il vero problema» –spiega Soyinka- «è che questi gruppi della morte, nascono inizialmente come piccole minoranze e come movimenti di liberazione. A poco a poco questi, soprattutto le loro parole, i loro discorsi accattivanti, fino al loro modo di vestire, oltre a reclutare facilmente adepti di ogni tipo, iniziano a instaurarsi come una malattia anche nella maggioranza.

Ed è qui che si ribalta il potere, che in poco tempo passa dalle mani della maggioranza alle mani insanguinate di questi gruppi di minoranza. Si assiste a un processo di identificazione continuo nel quale le persone iniziano a identificarsi con questa forza motrice… e credetemi imitano fin da giovanissimi lo stesso modo di vestire di questa piccola élite di criminali».

È un ode il suo ultimo lavoro, è simile a un ode antica che si rivolge volutamente ed espressamente ai due personaggi epici scelti come modelli di ribellione e con i quali dialogare, ovvero Nelson Mandela e Leah. E mentre mi chiedevo chi fosse realmente questa Leah, durante qualche secondo di silenzio in aula, Soyinka prende parola avvicinandosi con tenacia il microfono e d’un tratto dice come stesse recitando dei suoi versi in un inglese tonante che «Chibok è la città nigeriana dove i fondamentalisti islamici di Boko Haram rapirono, nel 2014, 276 studentesse. Leah è una di queste, mai tornata a casa».

Mandela e Leah sono due voci della disobbedienza, due voci che sanno dire di NO! Sono due voci oneste verso se stesse, che non seguono alcuna corrente, che non scappano di fronte alla prima minaccia anche se sanno che il loro percorso sarà per molto tempo impervio e terrificante… Inserisco alcuni versi tratti dal suo ultimo libro e dedicati all’amico Mandela, che a mio parere rivelano tutta la potenza del “NO”:

Strappato da ogni luogo, bloccato su un promontorio arido,
i marosi provarono a spaccargli la testa,
a rigettare la fermezza nera della sua sfida
nei flutti dell’oceano, secoli di commercio di carne umana,
vasta chiazza di bile che va oltre i relitti della riva, oltre
le operazioni di salvataggio, ma lui disse – No.

Per Soyinka infatti «è ora di invocare la memoria, di buttare in faccia la verità ai funzionari dell’odio. Bisogna farlo ora e in ogni singola parte del mondo… Perché? Perché il male è sottoposto a un processo di incubazione infinito, che non conosce momenti di stanca. Una volta covato, rigurgita spore di orrore e odio in direzioni insospettate, con effetti disastrosi su chi ne rimane coinvolto, soffocando il bene sotto una coltre di sospetti.

Oggi il destinatario può essere Christchurch, in Nuova Zelanda, domani, a un polo di distanza, un altro luogo irreprensibile, un oscuro villaggio nel nord-est della Nigeria che prende il nome di Dapchi. Le conseguenze sono identiche. Ci troviamo dunque davanti a un problema di vita o di morte che, con brutalità inusuale, si è ritorto contro un continente che non è estraneo al disprezzo, se non addirittura alla negazione, della natura umana.

Non si tratta solo di una questione di sopravvivenza, bensì di esistenza –ma in che forma? La questione è particolarmente pertinente sul fronte africano perché il nostro è un continente le cui popolazioni hanno subito ondate di disumanizzazione nel corso dei secoli, operate a cuor leggero da forze esterne».

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Giuseppe Giordano nasce nel 1992 a Vercelli. Dopo aver compiuto gli studi tecnici, si è laureato in Lettere Moderne e Contemporanee - ambito di ricerca in letterature comparate euro/americane - presso l’Università degli Studi di Torino. Dal 2013 ha collaborato con alcuni settimanali locali e successivamente ha intrapreso il lavoro in un’azienda grafico-chimica. Nel 2017 ha pubblicato "E in un sogno d’amore scalcia disumano delirio", in "L’Iliade riscritta", a cura di C. Lombardi (Ed.), Torino, Mimesis (Collana Woland) e nel 2018 si è posizionato tra i finalisti al concorso letterario “Premio Internazionale Mario Luzi” con l’opera intitolata "Svezzamenti. Forme di un nichilismo liquido dal mancato e dalla dimenticanza"- ora in corso di pubblicazione presso la casa editrice Luzi Editore. Da qualche tempo ha iniziato a collaborare con la rivista “art a part of culture”.

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