Elena, una di noi a sedici anni

immagine per Loreta Minutilli

Chi non sa chi è Elena di Sparta? Anche facendo questa domanda alle classi di una scuola superiore del 2019, è probabile che non si alzi nessuna mano. Ma quanto uno dei personaggi più noti della letteratura mondiale può parlare a e di loro?
Se lo è chiesto Loreta Minutilli, classe 1995. Autrice precocissima, già finalista del Campiello giovani 2015, ha provato a dare una risposta con il romanzo arrivato in finale dello scorso Premio Calvino.
Elena di Sparta (Baldini+Castoldi) nelle sue pagine lascia il ruolo di simbolo della bellezza dirompente per prendere personalmente la parola.

Così come fanno gli studenti del CRO di Aviano e dell’Istituto Flora di Pordenone, in un viaggio tra parole immergendosi in una sfida di riscritture del romanzo che è piuttosto uno specchiarsi, un farsi prestare la voce per dire di sé. Proprio in questo Elena risuona negli adolescenti di millenni più tardi. Come loro, l’eroina di Minutilli «Ritorna a casa ma non riesce a riconoscere se stessa, anche in se stessa. Vuole essere ascoltata. Vuole essere anche altro che non si vede».

E allora provando a immaginare il suo volto si potrebbe trovarlo somigliante a quello di Neffer, nata in Brasile che «lungo il percorso avevo perso tante parti di me. Mi ero lasciata in Brasile. Là ero qualcuno, la ragazza cui piace cantare a squarciagola, qui mi sentivo senza presenza. Non mi accoglievano perché non mi vedevano, non capivano chi ero. Ho iniziato a raccontarmi e mi sono sentita a casa».

Qui, insiste Giuseppe Losapio, sta il senso del romanzo, ma forse dell’intera letteratura e quindi di una realtà come Pordenonelegge: nella potenza salvifica di quella narrazione che prende le voci di un personaggio per aiutare a cercare la propria.

Come ha fatto la stessa autrice: «ho iniziato a sentire la voce di Elena al liceo – racconta – a considerare i personaggi mitologici un tramite per dire quel che mi riguardava. Quel che scrivevo allora erano però solo brevi incipit che volevano trasmettere un’idea. La voce di Elena mi ha messo invece voglia di scrivere. Circondata dagli uomini della Facoltà di fisica ho avuto bisogno di trovare la mia voce in un contesto in cui nessuno sapeva chi ero; mi serviva un supporto per una nuova situazione. E perché non Elena, «sempre raccontata da altri e sempre attraverso una colpa. La sua liberazione è stata la mia di un ambiente ostile».

La Elena di Minutilli è spinta da un solo, possente imperativo: vuole raccontarsi. «Nessuno le chiese mai il suo perché. Lei non vuole discolparsi, vuole solo dare le sue ragioni, senza chiedere perdono». Così come fanno i ragazzi di oggi, che chiedono al mondo degli adulti ma anche a se stessi «un ascolto più complesso e senza giudizio, in un tempo fatto di comunicazione frammentaria e facile ai fraintendimenti».

Questa Elena ragazza specchia, dei giovani, non solo il bisogno di parola, ma anche la fame di vita, anche quando è sinonimo di pericolo, o di guerra. «Il conflitto esiste da quando esisto io», la fa esordire Minutilli, facendone sostanza di uno scontro che è radicale di tutti i vissuti. «Ero incapace di dirgli quello che provavo, provai il bisogno di stringere mia figlia solo dopo essermene separata». In queste pagine il conflitto, è intimo, ma è anche quello che la rende adulta. «Ha bisogno di quel conflitto della sua vita, non le basta immaginare, ha bisogno di trovare una situazione in cui potrebbe non trovarsi a suo agio per capire cosa vuole». Chi meglio di un adolescente può raccontare questo sentire?

«Per lei vale la pena aver scatenato la guerra di troia nel momento in cui diventa una storia che viene raccontata, a darle speranza e pace è forse che noi siamo qui a parlarne». Il resto della sua vita altrimenti  è Tempo lento e solitudine. Lo stesso che Michele ha conosciuto davanti ai bulli che lo hanno vessato, quando a capito, come Elena, che «a tante persone non importa capire chi sei e cosa senti», ma solo la funzione che svolgi per loro. O l’involucro che osservano di te. Quello che ha fatto di Elena la bellezza per antonomasia, e che la giovane autrice ha voluto affrontare, Rappresentando la contraddizione tra Elena e il suo corpo. Elena che credeva che «fuori da Sparta la mia bellezza non valesse nulla, io non valessi nulla» ma anche che  «il mio corpo era l’unica parte di me che non mi aveva mai delusa».

Eppure tutti, ammette l’autrice, abbiamo avuto la convinzione  che la bellezza protegga da ogni problema, da ogni insicurezza, ed è questo che ha provato a scardinare. Per come la immagina, «Elena ha un rapporto complesso con la sua bellezza, sa che è causa di tutti i suoi problemi, della sua oggettificazione, ma sa che la sua arma».

Ma soprattutto «Pensa che la bellezza sia sua, non riesce a concepire che il suo corpo sia inteso per gli altri. Il suo corpo gratifica sé, non gli altri» L’autrice, spiega, voleva ribadire come il corpo ci appartenga e tocca solo a noi deciderne. Eppure, anche Elena sa che non sempre è così. Che il suo corpo come quello di tutte le ragazze può essere guardato come in funzione di quello altrui, acquistare un senso rispetto agli altri. Anche nel modo peggiore.

Per questo, Minutilli si assume anche la responsabilità di raccontare uno stupro. Perché «la sua personalità viene costruita completamente dalla violenza di Teseo. Le dà consapevolezza completa del suo corpo, di quello che può significare per gli altri. Lei riesce però a farne un punto di crescita. Però non lo rielabora, perché una volta tornata tutti vogliono solo dimenticare. E forse da qui nasce la voglia di parlare, farne l’inizio di una storia da raccontare per dire qualcosa di diverso.  Raccontare è il solo modo di trasformare anche le cose più orribili in una parte di una storia, non la sua totalità».

Essere cambiati ma non definiti da qualcosa: come Giorgia, il cui Teseo si chiama cancro; il mostro che come Elena l’ha portata a chiedersi cosa sarebbe stata senza di lui, ma anche alla voglia di lottare senza che fosse lui a definirla. E così sua sorella Martina, catapultata dentro a qualcosa che di solito tocca agli altri, a continuare a viere senza fare finta di niente, fino a comprendere quanto scegliere per sé significasse scegliere anche per la sorella.

Storie difficili e quotidiane, che offrono al romanzo della Minutilli il senso che cercava. Non un romanzo storico – non doveva esserci, svela, nel progetto originale, nessuna contestualizzazione. Elena doveva parlare senza che fosse chiaro al presente e al suo tempo – ma la storia di Elena è una donna qualunque. E allora, è un pregio che il romanzo non si preoccupi della verosimiglianza di ciò che fa dire alla sua protagonista «se certi sentimenti vengono percepiti oggi è perché sono universali, forse davvero non era così diversa da quel che le faccio pensare».

Questa Elena di Sparta finisce col non liberarsi del ruolo di archetipo, assumendo però quello del «desiderio di andare oltre il già scritto per lei come donna e fare una vita di avventura destinata agli uomini».
Questa Elena ha «osato di fare qualcosa che nessuno aveva mai usato prima, usando il suo corpo come arma. Ed è attraverso questo che passa da una consapevolezza in potenza a una più matura, in cui può tirare le fila perché ha sperimentato tutto quel che poteva sperimentare. La chiave della sua consapevolezza è il rischio».

Ed è nella mano del rischio il bandolo di una matassa che intreccia potere, violenza e piacere, suggerisce Losapio.  Il potere dal volto di Menelao, che lascia i panni del fumetto di Enzo Biagi, in cui è il “gran cornuto della storia”. Per acquisire una statura emozionante.

Un potere che Elena invidia e desidera, e che passa attraverso la guerra intesa «come possibilità di essere catapultata nel vasto mondo fuori del gineceo, la possibilità di muovere le pedine, realmente e non per vie traverse» Per lei, come per l’autrice «il potere è tutto, ogni dinamica è un rapporto di potere. Non esistono rapporti senza potere. Lei ha solo quello di prendere delle decisioni, che però non possono essere distruttive. Al marito invidia il potere come l’unico mezzo di essere protagonisti della propria storia, mentre lei le cose scivolano addosso. Però anche Menelao potrebbe desiderare il potere di qualcun altro, anche quello di Elena verso di lui, e il potere si rovescia in un possibile desiderio di esserne libero». Se il potere è tutto, dunque, nessuno vuole il potere che possiede.
Una problematizzazione, questa, che passa anche dal piacere. In queste pagine «il simbolo del piacere lo è solo del piacere per gli altri, mai per se stessa, perché nessuno le ha mai chiesto cosa vuole».

La giovane scrittrice, alla sua protagonista, lo proibisce. Coerentemente. Infatti, «Elena scopre la sessualità in modo violento, e quindi associa la sessualità alla violenza. Anche la sessualità, come il potere, per lei è sempre subita. Del resto la storia lo racconta: non può scegliere né il partner né il momento. «La sessualità è imposta, deve essere gestita e modellata». Anche questo, molte ragazze lo sanno meglio di quanto ai loro genitori siano consapevoli.

Eppure, forse, come raccontano i ragazzi, forse sono proprio le storie a dar loro le parole per capire: «ci sono cose che non hanno bisogno di essere spiegate, ma di essere raccontate, per noi e per gli altri, e che la scelta di Loreta Minutilli di dare parola a Elena abbia aperto alle parole tanto forti di chi aveva bisogno dell’orecchio per dar loro forma, sintetizza il senso di cosa significa, oggi, dare al mondo libri.

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Nata (nel 1994) e cresciuta in Lombardia suo malgrado, con un' anima di mare di cui il progetto del giornalismo come professione fa parte da che ha memoria. Lettrice vorace, riempitrice di taccuini compulsiva e inguaribile sognatrice, mossa dall'amore per la parola, soprattutto se è portata sulle tavole di un palcoscenico. "Minoranza di uno", per vocazione dalla parte di tutte le altre. Con una laurea in lettere in tasca e una in comunicazione ed editoria da prendere, scrivo di molte cose cercando di impararne altrettante.

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