Damien Hirst. Archaeology Now alla Galleria Borghese

Quel furbacchione di Damien Hirst e Archaeology Now

Sì, è vero, le 73 sculture (che vanno dalle piccole alle grandissime dimensioni; in bronzo, come in oro e in argento, in marmo, in malachite e in granito, in lapislazzuli, in agata e in calcare), di Damien Hirst esposte alla Galleria Borghese, nella mostra Archaeology Now, curata dalla ex direttrice della Galleria Anna Coliva e da Mario Codognato, sono un’accurata selezione – n.b.: selezione – tra quelle esposte nella mostra Treasures from the Wreck of the Unbeievablle, allestita nel 2017, nelle due sedi veneziane di Palazzo Grassi e Punta della Dogana del grande collezionista François Pinault. Così, chiarito immediatamente questo punto, passiamo oltre.

Perché le differenze fra le due mostre sono apoditticamente sostanziali e non tenerne conto, è pressoché miopia intellettuale. Quella miopia che, all’indomani dell’inaugurazione della mostra, ha fatto gridare allo scandalo perché le opere erano già state esposte a Venezia; ché il “terribile”, “scaltro” e “furbacchione” Damien Hirst, molto-troppo furbo (anche se il termine usato era un po’ più colorito di furbo e un filino più verace) non poteva profanare la sacralità della Bellezza e dell’Armonia dell’Arte (le maiuscole sono d’uopo) custodita e conservata nel Tempio della Galleria Borghese; ché la mostra è solo una manovra commerciale, giostrata dalla coppia dei “grandi burattinai” Pinault / Gagosian che, “guarda caso, a luglio, Gagosian ha inaugurato una personale sia nella sede romana che in quella francese!”, e altre simili sterili e spassose amenità.

Sarà una miopia intellettuale anche quella di chi scrive ma, pur leggendo e rileggendo l’elenco delle aspre critiche avanzate alla mostra (quelle ricordate non sono che una grossolana sintesi di quante ritenute le più simpaticamente strampalate e comiche), l’opinione sulla mostra resta somma, senza riserva alcuna.

È universalmente noto che la Galleria Borghese da decenni, con vari progetti, ospita opere di artisti contemporanei (vedi Mat Collishaw, Hans op de Beeck, Nedko Solakov, Candida Höfer, e più storicizzati come Georg Baseltiz, Francis Bacon), ma, chissà come mai, le precedenti esposizioni non ebbero le stesse dure e aspre reazioni. Probabilmente dirette più alla persona-artista (da sempre molto divisivo nei giudizi), che al prodotto-mostra.

Comunque, a Venezia, nella muscolosa mostra del 2017, innanzi tutto Damien Hirst ricopriva anche il ruolo di curatore (elemento non affatto di secondaria importanza). L’esposizione di tutto il grandioso progetto condotto nell’arco di dieci lunghissimi anni durante il quale ha costruito, in tutti i più infinitesimali dettagli, la civiltà sgorgata dalla sua più sfrenata fantasia (bisogna anche dire che gli anglosassoni sono alquanto inclini a queste creazioni, dal più anziano Signore degli Anelli al più giovane Harry Potter; e, nel campo delle arti visive, Charles Avery su tutti), dimostrando non solo come può essere costruito un museo, ma come non abbia lasciato nulla al caso.

A Roma, lui è solo (si fa per dire) l’artista, e i curatori hanno creato un percorso attraverso le opere selezionate (ovviamente, non possiamo di certo escludere che non ci sia stato uno stretto dialogo e serrato confronto con Hirst stesso).

A Venezia, era mostrare una civiltà ormai sparita, alla stessa stregua degli Etruschi o dei Babilonesi. A Roma, è il Collezionista, tra i collezionisti, che espone le opere della sua collezione, tra le collezioni della Borghese: la scultura/ritratto di Hirst/collezionista è, infatti, collocata nella prima sala, un po’ defilata. Con le mani sui fianchi, rigorosamente nuda, controlla e supervisiona quello che accade ai suoi tess-ssori, come un contemporaneo Scipione Borghese.

Damien Hirst, lavora da oltre vent’anni a questo progetto, è la sua ricerca degli ultimi decenni, e di ogni opera realizza diverse versioni con materiali dissimili: ora, siccome le ha esposte a Venezia, non dovrebbe più esporle? Pur nelle versioni differenti? Pur se inserite in altri discorsi e progetti e contesti? Tanto che le sculture presentate a Roma, sono tutte provenienti da collezioni private (compresa Prada, che ha generosamente supportato la mostra).

E poi, Larry Gagosian ha mai affermato di non essere un mercante di arte? Ha mai dichiarato di essere un novello francescano che si strappa le vesti per distribuirle ai bisognosi? E ancora, una mostra, come quella allestita nella Galleria Borghese, si organizza schioccando le dita? E, con la ghiotta occasione di una mostra ospitata nella Capitale di un artista del parterre della Gagosian, tra i più quotati e tra i più conosciuti a livello interplanetario, tutto d’un tratto il buon Larry dovrebbe fare un passo di lato, e non presentare una personale di una delle sue teste di diamante?

Certo, poi anche un po’ di cilicio sotto le ascelle e cenere in testa! A ognuno il suo mestiere. (Ah, tra parentesi, un’altra piccola precisazione: le opere oggettivamente sono mute, quindi non dialogano, non parlano, tutt’al più sono poste a confronto, paragonate, affiancate, in un tentativo di correlazione/diversità, senza chiacchiere.)

Ora, dopo il tentativo di ribattere a tutte le corbellerie circolate all’indomani dell’inaugurazione, torniamo al nocciolo della questione: la grande mostra di Damien Hirst nelle sale della magniloquente Galleria Borghese.

Allora, dicevamo, la mostra. La mostra vede l’esposizione di 73 sculture e 12 dipinti della serie Colour Space (anche questa condotta da alcuni anni, dal 2016), disseminati lungo il percorso della Galleria Borghese, in uno stretto raffronto e intesa con le opere della collezione Borghese, per rimarcare e sottolineare quella meraviglia interna e connaturata della Galleria stessa, nonché una continuità ininterrotta della produzione artistica nei secoli.

Chi altri poteva costruire un simile percorso e affiancamento se non colei che conosce la Galleria come le proprie tasche? Che ha trascorso ventisei anni tra le sue pareti, se non Anna Coliva (curatrice, tra le tante mostre proposte dalla Borghese, anche di Dieci Mostre in Dieci Anni e Progetto Committenze Contemporanee)? Solamente una profonda e minuziosa padronanza della collezione, ha consentito, non soltanto di effettuare una selezione dei lavori della sterminata produzione di Damien Hirst, ma, altresì, di allestirli in modo tale da non creare fratture con la collezione permanente, confondendoli con i noti capolavori della Borghese, che vanno dalla statuaria classica romana, alle opere Rinascimentali; dalle eccellenze Seicentesche a quelle Neoclassiche, tutti inseriti in una profusione di decorazioni, realizzate con altrettante varietà di materiali e colori.

Solo una conoscenza puntuale poteva collocare Hands in Prayer/Mani giunte (2010 – versione malachite) a stretto raffronto col Santo Stefano (1475 circa) genuflesso in preghiera del Francia; o le nivee Two Large Urns/Due grandi urne (2010) che si mimetizzano con le tazze di arte classica. O la coppia di Cerberus (Temple Ornament)/Cerbero (ornamento di tempio) (2009), una in marmo di Carrara, l’altra in bronzo, che moltiplicano, fanno da eco, a quello posto ai piedi dello strabiliante Ratto di Proserpina (1621-1622) del Bernini.

O le tre versioni The Severed Head of Medusa/La testa mozzata di Medusa (2013), una in oro e argento, l’altra in malachite e l’ultima in bronzo, che non potevano trovare collocazione migliore se non nella stanza con le tele di Caravaggio, ponendosi in stretto confronto con San Giovanni Battista e David con la testa di Golia (1606 circa). O affiancare Recling Woman/Donna distesa (2012), in marmo rosa, alla stupenda Danae (1530-31) del Correggio.

Questi, alcuni degli accostamenti, resi possibili dalla straordinaria capacità di Damien Hirst di creare opere complesse, con eccezionale tecnica e abilità, che non temono il confronto con l’arte del passato, per la sua intelligente conoscenza e acuta assimilazione della tradizione.

Info mostra

  • Damien Hirst – Archaeology Now
  • a cura di Anna Coliva e Mario Codognato
  • fino al 7 novembre 2021
  • Galleria Borghese
  • piazzale Scipione Borghese 5 – Roma
  • biglietti: intero € 13.00 – ridotto (18-25 anni) € 2.00
  • PRENOTAZIONE OBBLIGATORIA € 2,00
  • orari: dal martedì alla domenica dalle 9.00 alle 19.00. Ultimo ingresso alle ore 17.00
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Daniela Trincia nasce e vive a Roma. Dopo gli studi in storia dell’arte medievale si lascia conquistare dall’arte contemporanea. Cura mostre e collabora con alcune gallerie d’arte. Scrive, online e offline, su delle riviste di arte contemporanea e, dal 2011, collabora con "art a part of cult(ure)". Ama raccontare le periferie romane in bianco e nero, preferibilmente in 35mm.

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