Un eroe. L’umanità sperduta del film iraniano di Asghar Farhadi

Vedere il film Un eroe è come rispecchiarsi in un mondo passato, da noi già vissuto nel ‘900, quando i concetti dell’onestà e dell’onore personale e familiare erano alla base della società civile. Non si trattava di rispettare i comandamenti religiosi o le regole della giustizia, ma di sentire dentro un senso di buono e pulito per comportamenti quotidiani secondo i canoni insegnati dagli anziani. I quali nella loro semplicità insegnavano ad essere sinceri, affezionati alla famiglia, fedeli con gli amici e solidali con una società più povera ma più ricca di valori.

Oggi questi valori sono parole vuote. Le famiglie si sono allargate e molti dei parenti non si conoscono nemmeno, i vecchi sono all’ospizio, gli amici parlano male l’uno dell’altro, e la società del benessere è fatta di persone che non rispettano le sfere intime altrui e fanno profitto dei loro interessi economici, in un’epoca complessa ed ambigua in cui vincono la cupidigia e l’inganno.

Per cui, tornando al film iraniano Un eroe di Asghar Farhadi (regista già di Una separazione, 2011, e de Il cliente, 2016) ho trovato in esso la descrizione della transizione tra il nostro periodo buono del ‘900, già vissuto, ed il periodo infelice che stiamo vivendo.

Il film descrive un oggi molto complicato per la società iraniana, che, malgrado la sua posizione internazionale isolata dal resto del mondo (es. le sanzioni) vede l’Iran già contaminato dai vizi dell’occidente civilizzato del neoliberismo imperante (debiti, infingimenti, bugie ed imbrogli) e vive a cavallo tra un sistema di valori antichi, religiosi e sociali, tra tradizione ed innovazione, tra sentimenti buoni e diffidenza, cupa burocrazia statale e libertà.

Anche il sistema corrotto del potere (falsamente morale) e delle nuove tecnologie dei media, pronti a innalzare individui ad eroi o a condannare a morte per piccoli reati, rivelano il preludio ad un futuro forse peggiore del nostro.

Ecco perché ho coniato una titolazione quale “l’umanità sperduta” per il nuovo film di Asghar Farhadi. Come nel film La vita è meravigliosa di Frank Capra, Rahim, un povero cristo (maomettano), si ritrova un debito contratto per aprire una propria attività e che il cognato ha onorato.

Ma i rapporti con la moglie intanto si sono deteriorati ed il cognato lo ha portato in tribunale dove è stato condannato a tre anni di carcere. In dieci giorni di permesso, aiutato dalla famiglia della sorella e da un nuovo amore, il dignitoso Rahim cercherà di trovare i soldi per estinguere almeno una parte del debito.

Una borsa trovata e poi restituita alla sua proprietaria, attraverso consigli interessati o superficiali, espedienti banali, piccole bugie e fraintendimenti, lo porteranno prima a diventare un eroe (troppo onesto), poi pian piano a scendere nell’inferno di una gogna familiare, sociale e mediatica, fino a perdere, con indicibile sofferenza e reazioni inconsulte, la residua reputazione di persona buona, giusta e solidale che ancora gli era rimasta.

SPOILER: Cercando il perdono e la redenzione soltanto nel ritorno in carcere, perdente in una società che sta cambiando.

Questa storia minima che ci sembra lontana nel tempo (‘900) e nello spazio (Iran) ci tocca invece molto da vicino.

Il povero Rahim che come si muove viene stritolato dai meccanismi dei difetti innati di un sistema e degli uomini in particolare, non è altro che la storia che viviamo giorno per giorno, stritolati dallo stesso meccanismo economico burocratico e sociale, e dai deteriorati rapporti interpersonali, senza più alcuna sensibilità ed in cattiva fede, in una società sempre più ambigua. Un messaggio chiaro ai suoi che vale anche per noi, invasi ormai da bugie e manipolazioni che non ci fanno certo vivere bene.

Farhadi è un grande regista ed un grande sceneggiatore, ma soprattutto un grande pensatore perché anche da una piccola storia come questa riesce sempre ad arrivare all’universale: degno di rappresentare, malgrado l’ostilità delle sue autorità, il suo paese nella corsa all’Oscar come miglior film straniero 2022 (già Gran Prix della giuria al Festival di Cannes).

Bravissimo Amir Jadidi (Rahim), sulla cui faccia da cane bastonato, passano le varie sfumature di gioia e di dolore, che noi non ci sogniamo più di vedere nelle finte espressioni da selfie.

 

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Pino Moroni ha studiato e vissuto a Roma dove ha partecipato ai fermenti culturali del secolo scorso. Laureato in Giurisprudenza e giornalista pubblicista dal 1976, negli anni ’70/80 è stato collaboratore dei giornali: “Il Messaggero”, “Il Corriere dello Sport”, “Momento Sera”, “Tuscia”, “Corriere di Viterbo”. Ha vissuto e lavorato negli Stati Uniti. Dal 1990 è stato collaboratore di varie Agenzie Stampa, tra cui “Dire”, “Vespina Edizioni”,e “Mediapress2001”. E’ collaboratore dei siti Web: “Cinebazar”, “Forumcinema” e“Centro Sperimentale di Cinematografia”.

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