Nowhere Land: se questa è la Storia

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Marciano insieme verso un’indefinibile Nowhere Land, cantando l’inno di Mickey Mouse. Sono loro, Joker e i suoi compagni, che ci appaiono ancora più tragici in una delle pagine più belle del cinema e in una delle più sciagurate della Storia. Incuranti dell’offensiva del Tet, pronti a uccidere pur di non soccombere, simbolo dei soldati di tutte le guerre.

Se questa è la storia…

Le parole di Joker (interpretato da Matthew Modine) danno i brividi e non si può considerare Full Metal Jacket solo un film, piuttosto un inno visivo contro tutte le guerre.
Dal trittico fantastico di cui 2001 Odissea nello Spazio rappresentò il pannello centrale, nel 1968, preceduto dal Dottor Stranamore nel 1963, seguito nel 1971 da Arancia Meccanica, fino ai film successivi, la predilezione per i generi del regista Stanley Kubrick è nota al pubblico.

 

 

L’avventura spaziale e la solitudine dell’uomo tecnologico, a partire dal misterioso innesco all’evoluzione, nel primo; la satira politica, nel secondo, con l’olocausto nucleare provocato da coincidenze grottesche. Fino al terzo, in cui inscena la strumentalizzazione a fini politici degli istinti criminali.
Il pessimismo di Kubrick circa la società contemporanea apparve evidente.

Se con Barry Lindon firmò il film di costume, con Shining, nel 1980, disse la sua sul genere horror.
Kubrick non accettava mediazioni di alcun tipo, immergendosi completamente nel genere che sceglieva di rappresentare. Anzi, direi che volesse eccedere rispetto al tasso di fruibilità richiesto dal pubblico.
Se registi come Robert Altman usarono inscenare il prima e il dopo dei fatti, ma non l’azione nel suo svolgimento (una rapina nel caso del film Gang), Kubrick non prese mai le distanze dal soggetto evocato.

A questo scopo, in FMJ (1987) stilizzò una serie di personaggi in cui trasfondere l’iconografia classica del genere: vediamo l’ istruttore crudele e squilibrato (Ronald Lee Ermey), il soldato impacciato e ingenuo (l’eccellente Vincent D’Onofrio), i soprusi degli altri commilitoni (attori e aspiranti tali che avevano proposto la loro candidatura inviando provini in videotape), la ferocia di taluni, la lealtà di altri, l’amicizia per il compagno in battaglia e poi le azioni militari, l’isteria e il furore.
Di quegli attori K. si disse entusiasta, furono “i suoi soldati”, con i quali comunicò in un cameo vocale dal telefono da campo (interpretando l’ufficiale che li informava di non avere carri armati da inviare in loro soccorso).

Allo stesso modo di FMJ, in Shining non lesinò il sangue e la paura agghiacciante; in Barry Lindon descrisse sovrabbondanza di duelli, scontri tra armate, feste da ballo.

Si intuisce cosa muovesse Kubrick nella sua ricerca di spettacolarità: troppi registi erano stati bruciati dal talento fuori controllo (Welles, Sternberg, Stroheim, Kazan), così fu tassativo per lui mantenere sempre il successo di pubblico. Scelte che lo resero ostaggio di una certa critica, ma con le quali poté soddisfare la sua passione per lo sperimentalismo tecnico senza annoiare le platee. Lo fece in molti modi: ricorrendo anche ad espedienti semplici come la voce fuoricampo (FMJ, ma pure Arancia Meccanica e Barry Lindon), conducendo lo spettatore attraverso una traccia parallela.

In un periodo in cui ci si batteva il petto per gli squallidi epigoni di Rambo e per altri film grondanti retorica, Kubrick tornò a parlare di guerra 30 anni dopo Orizzonti di gloria (1958), col quale, a dispetto della morale del tempo, era riuscito ad esprimere il suo dissenso.

Erano seguiti, dieci anni dopo, Mash (1969) di Robert Altman, Comma 22 (1970) di Mike Nichols, E Johnny prese il fucile di Dalton Trumbo: tutti grandi film intrisi di patriottismo. Fu così che, esecratori da una parte, sostenitori dall’altra, Kubrick evitò le strade battute e decise che avrebbe indagato ancora una volta il tema che gli era stato caro: l’origine del male nell’uomo.

FMJ  è solo apparentemente diverso da Arancia meccanica, perché persegue lo stesso obiettivo in una sorta di ribaltamento chiasmico Alex/Joker.

Diciamo che se Alex, nel suo percorso di vita, era stato AB, Joker diviene BA. La violenza insita nell’animo umano emerge nei personaggi, nel primo accolta, nel secondo ripudiata, ma in entrambi diviene strumentale alle esigenze di terzi.

Una volta Kubrick disse al suo assistente Emilio D’Alessandro (come riporta quest’ultimo nel libro che raccoglie le sue memorie) che Arancia Meccanica era stato concepito come una medicina, ma essendosi rivelato non idoneo a causa dell’ostilità con cui era stato accolto in Inghilterra, l’aveva ritirato dalle sale inglesi. Il fine del regista era stato spronare la gente ad autosservarsi. L’emulazione della violenza da parte dei teppisti, aizzati dalle scene del film, come avvenne in qualche caso, la disse lunga sull’inclinazione della specie umana, mentre l’accento posto sulla cura Ludovico ricorda il progetto noto come MKUltra. Individui programmati, la cui volontà poteva essere sovrascritta.

In FMJ, il discorso fu il medesimo, anche se il pubblico poté accettarlo di più, dato che Joker era sin dall’inizio un buono che veniva corrotto dalle circostanze.

Kubrick rimase perplesso assistendo alla proiezione di Platoon in visione privata. Alcune scene, come quelle degli elicotteri, somigliavano troppo al lavoro che aveva in cantiere, senza contare che quell’anno videro la luce ben tre film sul Vietnam, battendolo sui tempi. La meticolosità di Kubrick, l’ossessione per la precisione e i dettagli, i lunghi tempi di realizzazione, giocarono a sfavore al botteghino, ma restituirono ai posteri un film senza eguali.

Al genio di Kubrick non era stato necessario inviare una seconda unità di regia in Asia. Le location erano state individuate senza uscire dall’Inghilterra, come gli era consueto, dato che non viaggiava mai in aereo ed era restio ad allontanarsi da casa. Il sito contaminato di un vecchio gasometro, abbandonato alla periferia di Londra, prossimo alla demolizione, fu adoperato per ricreare Hue, l’antica capitale indocinese.

Il set fu costruito tra i fabbricati diroccati, facendo brillare delle cariche opportunamente disposte nelle torri delle ciminiere, che crollarono su sé stesse. La  caratteristica architettura dei villaggi asiatici, studiata con attenzione da Kubrick, fu realizzata dal formidabile scenografo Antony Francis Furst,  lavorando anche in post produzione su ciascun fotogramma. In seguito, gli allestimenti sarebbero stati distrutti per simulare i bombardamenti, con esplosioni programmate che facevano alzare tempeste di polvere, tra detriti e residui tossici del sito industriale.

Su Kubrick ho riflettuto per anni. Frank Capra lo indicò come una promessa rispetto a una nuova generazione di registi che non stimava, mentre i cospiratori di ogni epoca alimentavano i sospetti che Stanley avesse lavorato, come del resto Frank, ai filmati governativi di diffusione della propaganda. Quando Emilio D’Alessandro glie lo domandò, Kubrick rispose che non era vero che avesse creato un set per consentire alla NASA di avere prove documentate dell’allunaggio. Balle sono tutte balle, diceva al suo assistente italiano.

Vero è che, durante la sua vita, ebbe un sacco di grane per aver denunciato a chiare lettere il marcio nella società: come accadde dopo il rilascio nelle sale di Arancia meccanica, quando fu bersagliato da insulti, lettere minatorie e minacce di morte, tanto da dover coinvolgere gli artificieri all’arrivo di pacchi sospetti. Non tutti simpatizzarono per Stanley che, nonostante la sua passione per le storie e i cimeli di guerra, rimase un antimilitarista convinto, un animalista assertore della non violenza, un regista esigentissimo con i suoi attori, ma anche una persona  generosa con tutti, secondo le parole dei suoi conoscenti e collaboratori.

Il testo di FMJ, riadattato da Michael Harris, amico di Kubrick e reporter in quella guerra come l’autore del romanzo originale (Nato per uccidere-The short timers, 1979, Gustav Hasford), si rivelò congeniale a Kubrick, come in passato A clockwork orange di Antony Burgess.

Un lavoro certosino quello di Kubrick attorno ai soggetti che sceglieva di rappresentare, attingendo a libri, riviste specializzate e poi inviando nel mondo scenografi e collaboratori a scattare migliaia di foto dei luoghi che lo interessavano.

L’inizio di FMJ, e i successivi 45 minuti, sembrano ispirati ad uno spettacolo teatrale che aveva fatto scalpore a New York negli anni 60 del secolo scorso (The brig), messo in scena dal Living Theatre e tratto da un testo di un ex marine che aveva narrato le atrocità commesse in una prigione marine di Okinawa.

Se nella prima parte del film di Kubrick le giovani reclute sono crudelmente addestrate, nella fase esecutiva in battaglia esplode l’inferno.

A quei tempi erano in voga certe teorie neoilluministe a giustificare la violenza insita nell’uomo e se ne parlò anche a riguardo di FMJ. Infatti per Robert Ardrey, scrittore e sceneggiatore statunitense, la specie umana sarebbe sopravvissuta alle condizioni avverse grazie alla capacità di imitare i comportamenti degli animali predatori. Idee collegate agli studi di Raymond Dart e alla sua scoperta del bambino di Taung (Australopithecus africanus) che aveva il cervello delle scimmie, ma per dentatura e portamento eretto somigliava all’uomo.

Kubrick non pensò mai di giustificare la violenza, gli premette piuttosto la realtà descrittiva: i suoi soldati non sono più esseri umani, solo sventurati uomini-proiettile incamiciati nei loro giubbotti che camminano a fianco della morte. Il soldato Joker vorrebbe  opporsi alla trasformazione, ma non ci riuscirà e prevarrà in lui la scimmia assassina.

La commedia umana di Kubrick si fa caustica e aggressiva e in tempi di guerra come quelli attuali il pretesto narrativo del film raggiunge l’obiettivo: mostrare che la nostra giustizia non è esente da iniquità.

Quando Joker uccide con un colpo di grazia la ragazza cecchino, la ripresa interviene a restituirle rispetto e onore, mentre la metamorfosi del soldato è completa e il principio efferato della salvezza a scapito del nemico, si compie.

Come spesso accade nell’arte, un film può divenire strumento di rigenerazione collettiva, sopratutto quando ci rendiamo conto che le nostre azioni, piccole o grandi, possono avere delle conseguenze, in tempo di pace e sopratutto in tempo di guerra:

Colonnello: Marine, cos’è quel distintivo sul giubbotto?
Soldato Joker: Un simbolo di pace, signore!
Colonnello: Dove l’hai preso?
Soldato Joker: Non me lo ricordo, signore!
Colonnello: Che cosa c’è scritto sul tuo elmetto?
Soldato Joker: “Nato per uccidere” (Born to kill), signore!
Colonnello: Tu scrivi “Nato per uccidere” sull’elmetto, e porti un distintivo di pace. Che cosa credi di fare, umorismo malsano?
Soldato Joker: Signornò!
Colonnello: E ora dimmi, che cosa significa?

… Rispondi alla mia domanda, sennò ti mando dritto dritto alla disciplinare!
Soldato Joker: Io volevo soltanto fare riferimento alla dualità dell’essere umano, signore.
Colonnello: A cosa?
Soldato Joker: L’ambiguità dell’uomo, una teoria junghiana, signore.
Colonnello: Tu da che parte stai, giovanotto?
Soldato Joker: Io tengo per noi, signore.
Colonnello: Tu ami la tua patria?
Soldato Joker: Signorsì!
Colonnello: Allora uniformati al programma! In riga con gli altri, e avanti per la grande vittoria!

Se questa è la Storia, è venuto il momento di cambiarne il corso, proclamando la Pace obiettivo principale della specie umana.

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Fulminata sulla via della recitazione a 9 anni, volevo fare la filmmaker a 14 e sognavo la trasposizione cinematografica dei miei romanzi a 17. Solo a 18 anni ho iniziato a flirtare col cinema d'autore ed a scrivere per La Gazzetta di Casalpalocco e per il Messaggero, sotto lo sguardo attento del mio​ indimenticato​ maestro, il giornalista ​Fabrizio Schneide​r​. Alla fine degli anni 90, durante gli studi di Filosofia prima e di Psicologia poi, ho dato vita ad un progetto di ricettività ecologica: un rifugio d'autore, dove gli artisti potessero concentrare la loro vena creativa, premiato dalla Comunità Europea. Attualmente sono autrice della rubrica "Polvere di stelle" sul magazine art a part of cult(ure) e collaboro con altre testate giornalistiche; la mia passione è sempre la sceneggiatura, con due progetti nel cassetto, che spero di poter realizzare a breve.

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