Renato Rascel. Un protagonista dello spettacolo del novecento. Elisabetta Castiglioni racconta “il Piccoletto”

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Di Renato Rascel ricordo un disco che spiccava nel mobile giradischi perché più piccolo di formato di un normale LP (si chiamavano microsolchi 33 1/3) e con una copertina in cui il piccoletto era trasformato in un personaggio da fumetto, nel Gaucho Appassionato dell’omonima canzone che, però, aveva con sé le redini del cavallo a dondolo di legno immortalato nella canzone del Piccolo Corazziere.

immagine per Renato Rascel. Un protagonista dello spettacolo del novecentoDa bambina lo ascoltavo cercando di capire, fra le parole surreali delle canzoni, perché facesse ridere tanto e preferendo, nel mio cuore canzoni più romantiche come Angolo di cielo o, ancor di più, Addio Caffè Mozart, un valzer in piena regola.

Renato Rascel è stato un artista che, nato nell’avanspettacolo, non ha mai smesso di sperimentare nuove strade, cercando di mettersi alla prova con tutti i generi e i mezzi dello spettacolo.

Dalla commedia musicale al cinema, dalla radio alla prosa classica, dalla televisione alla scrittura.

È stato autore di testi e di racconti, ha creato un personaggio che poi ha modificato nel tempo, ha accompagnato la vita culturale italiana per lunghi anni. Gli anni più creativi del secolo scorso. Quelli da cui è nato un nuovo modo di fare spettacolo.

Elisabetta Castiglioni ne ha scritto una storia, più di una biografia, più di una raccolta d’archivio.
In Renato Rascel. Un protagonista dello spettacolo del novecento (Iacobelli editore) c’è racchiuso, oltre al tributo ad un grande attore, un mondo che ha accompagnato diverse generazioni, una passione ancora viva, un approccio allo spettacolo che ha molto da dire anche al teatro contemporaneo.

Ne parliamo con l’autrice.

Da dove nasce il tuo interesse per Renato Rascel?

Sono sempre stata un amante della comicità raffinata e dell’umorismo intelligente fin da piccola, ma capitò che a metà degli anni Novanta, mentre svolgevo ricerche universitarie dopo la laurea, mi imbattei in una serie di saggi sull’argomento ed ebbi, proprio in quegli anni, occasione di scoprire uno dei più affascinanti momenti storici dedicati alla formazione dell’attore autodidatta, l’avanspettacolo.

In particolare mi affascinava la figura del “fantasista” che, grazie ai suoi escamotage, riusciva a coinvolgere (o a volte irretire) il pubblico con il suo talento. Una vera palestra in cui si imbattevano in molti e che vide pochi vincitori. Fra questi Rascel che, tra balli, canti e monologhi surreali, fu notato dalla critica di quegli anni.

Scartabellando in vari articoli e copioni, capii che il Piccoletto era un unicum e iniziai ad approfondire le ricerche, fino a quando mi fu propizia l’occasione di vincere un dottorato e iniziare ad intervistare una serie di persone che l’avevano conosciuto di persona o che avevano lavorato con lui in quegli anni.

Ebbi anche la fortuna di conoscere la sua terza moglie, Giuditta Saltarini, che ne aveva custodito la memoria in una utilissima documentazione conservata a casa.

Chi era Rascel e quali novità ha apportato nel panorama del teatro del ‘900?

Era un po’ tutti noi perché sapeva comunicare ad istinto ma era allo stesso tempo un artista a parte perché, curioso del mestiere, raddrizzava le antenne in ogni ambito dello spettacolo per imparare, rifare e superare con un suo proprio stile e garbo il “déja vu”…

Un poliedrico Piccoletto che sapeva superare prove impervie in ogni campo e che già da bambino si dilettava a suonare la batteria con i mestoli della cucina o a cantare in Chiesa, nel coro della Cappella Sistina, o a ballare il tip tap nei jazz club sotto casa. Il suo genio però lo spingeva a voler dialogare con un pubblico che non era proprio tenero a volte, o altre volte risultava troppo intellettuale…

Ebbene, lui sapeva calibrare e aggiustare i suoi discorsi, le battute, i nonsense e la sua perfetta sincronizzazione tra gesto e parola in funzione della platea: lanciava la “bomba”, spiazzava, si tirava in dietro e timidamente faceva fuoriuscire una battuta che era un altro missile, un proverbio alterato, una frase autoironica, una canzoncina smielata col testo capovolto rispetto alla tradizione…

Tutto quello che sperimentava gli veniva perdonato e la gente si immedesimava in questo piccolo uomo che annegava in una enorme palandrana, condividendone il candore ma anche apprezzandone l’arguzia.

Un anticipatore dei tempi e di autori come Ionesco e Beckett, che poi portò anche in scena. Ma il suo “assurdo” non era cerebrale, era ingenuo e immediato.

È stato un artista davvero poliedrico che non ha disdegnato nessun genere: dall’avanspettacolo alla prosa, dal musical alla televisione, ma, a tuo avviso, qual era la sua cifra stilistica preferita? Quella che non ha mai smesso di portare avanti?

La sua “camaleonticità” in ogni linguaggio dello spettacolo lo rendeva in effetti versatile in ogni campo: come già accennato, fu sicuramente il primo teatro di rivista a forgiarne il carattere – ogni sera era una dura prova con censura, pubblico e impresari – ma ebbe la lungimiranza di trascinare gli insegnamenti dettati da ritmi, prossemiche, improvvisazioni e reazioni in sala in uno stile inconfondibile che, dal teatro al cinema, dalla radio alla televisione, identificava Rascel in Rascel… e nessun altro!

Credo che lui amasse particolarmente questo ruolo di attore-autore e avesse forse qualche rimpianto di non aver approfondito l’esperienza nella regia (se escludiamo nel cinema un film, “La passeggiata”, che però non ebbe successo).

immagine per Renato Rascel. Un protagonista dello spettacolo del novecentoAvere attraversato i “migliori anni”, ovvero gli anni in cui il fermento artistico è stato forte e davvero innovativo, lo ha portato a diversificare i suoi spettacoli o è rimasto legato alla sua struttura iniziale?

Dobbiamo ricordare che il suo genio si doveva comunque confrontare sempre con il lavoro di squadra compiuto da un team di autori o sceneggiatori o da impresari e registi che dettavano legge.

Pensiamo ai successi, dai primi anni Cinquanta fino al 1970 di Rascel con la premiata ditta Garinei&Giovannini: da Attanasio cavallo vanesio a Alleluja Brava gente si è trattato di testi, tematiche e storie che si confrontavano con l’attualità e il gradimento del pubblico prima ancora di essere provate sul palcoscenico del Sistina, il grande start up per entrare nel firmamento della commedia musicale.

Ebbene, fu in quegli ambiti che Rascel trasformò le sue macchiette di avanspettacolo e prime riviste in veri personaggi: la struttura di trame ben confezionate, la matematica musicale, le grandi coreografie e i giochi di luci in qualche modo lo pilotavano dentro una Broadway all’italiana distante anni luce dai cinema-teatri durante la guerra: eppure riusciva a dare di sé sempre una cifra inconfondibile che non poteva certo trovare dei sostituti.

Ancora più radicale fu la trasformazione d’interprete in parti tragiche: pensiamo al ruolo cinematografico di Carmine de Carmine ne Il cappotto di Lattuada o al cieco nato nel Gesù di Nazareth televisivo: quanti potrebbero trovare delle corrispondenze con l’inventore del Corazziere o della Bufera?

Rascel si autodestrutturava per ricostruirsi di volta in volta con originalità e intuizione in nuovi percorsi. Era diverso, innovativo, “altro”, eppure si autocitava.

Rascel, come racconti nel libro, ha interpretato anche parti più drammatiche: ha lavorato con Eduardo e non è riuscito ad incontrarsi con Strehler che lo aveva in qualche modo “pregato” di interpretare il personaggio di Wang ne L’anima buona di Sezuan. Com’era il suo rapporto con il teatro più impegnato?

Essendo stato un autodidatta, non posso associare al Piccoletto né un metodo di immedesimazione stanislavskiana né uno straniamento alla Brecht.

Ma questo ultimo autore, secondo Giorgio Strehler – che era davvero un estimatore affettuoso di Rascel – era forse quello più in linea col Piccoletto. Rascel infatti riusciva contemporaneamente sia ad interpretare un personaggio che a recitarlo, dove per “recitarlo” intendo far sentire la distanza con esso attraverso il colore del surreale.

Non è un caso che anche con Walter Chiari in Finale di partita i due, provenienti entrambi da una comune matrice teatrale “leggera”, per quanto non cambiassero una parola del testo beckettiano seppero trasformarlo in uno spettacolo praticamente scritto da loro… come?

Con la loro presenza/assenza scenica. Ed è davvero un peccato che stralci del copione teatrale che un altro grande amico rasceliano, Eduardo De Filippo, stava scrivendo per lui, siano andati perduti… chissà che capolavoro sarebbe stato!

Secondo te quale eredità ha lasciato Rascel ai comici attuali? Vedi qualche traccia o qualche elaborazione del suo stile? E, nel caso, in chi?

Purtroppo i numeri un(o)ici non si ripetono: vedi Gigi Proietti (non a caso lanciato e fatto conoscere al grande pubblico proprio da G&G e Rascel in Alleluja brava gente), vedi Tognazzi, vedi Gassman (tutti mattatori in grado da passare dalla corda comica a quella drammatica in un esercizio di stile ed equilibro che nessun libro di accademia potrebbe insegnare.

La sola eredità che Rascel può lasciare ai comici attuali, esattamente come questi suoi colleghi e pochissimi altri, si chiama sudore: della mente, del fisico, dei sensi e delle emozioni.

Sudore come fatica, studio, ascolto, sguardo, volontà e determinazione di voler fare la differenza con un sorriso fuori ma con tanta amarezza dentro, quella di chi è partito da nulla e ha cambiato calce ogni giorno ai suoi mattoni per edificare case, palazzi, grattacieli incrollabili.

Con un solo obiettivo: il rispetto di una professione che ha pescato dalla tradizione per innovarsi e che oggi purtroppo sembra annullata dai linguaggi virtuali dei media e dimenticata dai giovani.

Il suo grande lavoro e il notevole materiale d’archivio che hai esaminato ed elaborato potrebbero essere un nucleo importante per la costruzione di un luogo (una casa, una fondazione, un museo…) dedicato a Renato Rascel che potrebbe essere di sostegno e spunto a molti attori. Secondo te c’è interesse per un’idea del genere?

Personalmente sono stata fortunata ad aver incontrato Giuditta Saltarini che aveva conservato, nonostante tutto, solo una piccola parte di fotografie, carteggi, locandine e materiali di scena vari – ricordiamoci che l’incontro col suo futuro marito avvenne nel 1969, a decenni di distanza dagli esordi.

Non vi è dubbio che se si fossero conservati per quella fortunata epoca di teatro minore del Novecento maggiori documentazioni private e carteggi e, economicamente, si fossero elargiti dei fondi per case-archivio di numerosi attori, il caso Rascel sarebbe uno dei tanti meravigliosi soggetti da studiare e approfondire e gli aspiranti attori e registi di oggi ne potrebbero trarre giovamento cognitivo.

Credo però che se ci fosse anche uno stimolo nella Ricerca – intendo non le facilonerie “copia-incolla” di Internet ma un lavoro di approfondimento investigativo nudo e crudo sulla storia attraverso le storie ed i contesti, proprio come era negli anni senza web – ci sarebbero più chance di ricostituire una parte di patrimonio di molti altri talenti dimenticati del Novecento.

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Giornalista culturale e autrice di testi ed adattamenti, si dedica da sempre alla ricerca di scritture, viaggi, tradizioni e memorie. Per dieci anni direttore responsabile del mensile "Carcere e Comunità" e co-fondatrice di "SOS Razzismo Italia", nel 1990 fonda l’Associazione Teatrale "The Way to the Indies Argillateatri". Collabora con diverse testate e si occupa di progetti non profit, educativi, teatrali, editoriali, letterari, giornalistici e web.

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