Tribunali 138. Lo Studio-Archivio fotografico di Luciano Ferrara diventa esposizione permanente

Luciano Ferrara - Praga

Attraversare via dei Tribunali, lunga più di un chilometro, nel centro di Napoli, vuol dire immergersi nella Storia, tra edifici antichi e capolavori d’arte nascosti agli occhi dei turisti e visibili seguendo la segnaletica o chiedendo agli abitanti della zona che con garbo e gentilezza indicano la destinazione, tra aneddoti e leggende di incerta veridicità. Proprio nei pressi dell’ente filantropico Pio Monte della Misericordia, che custodisce il dipinto le Sette opere della Misericordia di Michelangelo Merisi, detto il Caravaggio (1571-1610), al civico numero 138, dopo l’apertura del 2013 con l’artista mosaicista Sofia Ferraioli, è stata inaugurata nella sua nuova veste, la casa-museo di Luciano Ferrara (1950), reporter e fotografo che ha fatto della sua abitazione napoletana un polo culturale trasformandola ora in esposizione permanente. Ferrara si avvicina prestissimo alla fotografia, intorno al 1964, iniziando come assistente in uno studio partenopeo a Piazza Cavour, che si occupava soprattutto di documentazioni di feste e matrimoni della tradizione locale.

Fondò nel 1989 con Serena Santoro la Nouvellepresse, prima agenzia fotogiornalistica del Sud Italia. Importanti furono le collaborazioni con grandi testate giornalistiche tra le quali L’Espresso, Il Mattino e il Corriere della Sera, e la sinergia con Luciano D’Alessandro per la realizzazione del Luciano Ferrara: reporter. Napoli e oltre. Catalogo della mostra (Napoli, 1985), senza dimenticare Sisma80, con immagini e testimonianze che ricordano alle nuove e passate generazioni l’evento straordinario del terremoto del 1980.

L’evento, intitolato La terra del reale accoglie il pubblico con 38 fotografie in stampa vintage provenienti dalla sua collezione privata e fissate all’ingresso su una grande parete verde, raccontano uno straordinario spaccato del ‘900, della storia sociale e politica attraverso maestri della fotografia internazionale e del fotoreportage d’autore.

Gli artisti in esposizione sono: Isabella Balena, Shobha Battaglia, Gianni Berengo Gardin, Antonio Biasiucci, l’Archivio Carbone, Pino Castronuovo, Francesco Cito, Tano D’Amico, Luciano D’Alessandro, Giuseppe Desiato, Fabio Donato, Mario Dondero, Gea Evangelista, Franco Esse, Pressphoto, Caio Mario Garruba, Fausto Giaccone, Gianni Giansanti, Mimmo Jodice, Francesco Jovane, Roberto Koch, Giovanni Liguori, Uliano Lucas, Lello Mazzacane, Roberto Masotti, Gabriella Mercadini, Oreste Pipolo, Fabio Ponzio, Mario Riccio, Agenzia Ruggieri, Maria Alba Russo, Osvaldo Eustasio Salas Freire, Antonio Sansone, Nicola Sansone, Ferdinando Scianna, Paolo Titolo, Borje Tobiasson, Angelo Raffaele Turetta e Franco Zecchin.

Osservando l’abitazione di Ferrara dall’esterno, esattamente dal lato del balconcino su cui si estende una ricca vegetazione ornamentale, sembra di essere di fronte ad una delle residenze parigine fotografate da Gail Albert Halaban (1970) del quartiere Le Marais o degli attici di République di Parigi, dove si guarda nelle case degli altri per capire gli altri, una sorta di “voyeurismo empatico”.

Percorrendo il dedalo di sale della casa/museo si assiste ad un viaggio nel tempo, dove ogni camera racchiude un microcosmo di straordinaria bellezza. L’approccio di Ferrara alla vita è sempre stato multidisciplinare e non è un caso che la sua immensa libreria “trasudi” cultura: si passa dallo sport alla fotografia, dal cinema alla politica, dalla letteratura alla psicologia attraverso le immagini di locandine, stampe e libri (2000 volumi).

Alla città di Napoli sono dedicati i testi e le istantanee che trattano i movimenti di contestazione negli anni Settanta del Novecento, il terremoto del 1980 e la ricostruzione post sisma, le catacombe di San Pietro Aram nel 1988, l’Ospedale delle Bambole nel 1989, il quartiere Secondigliano nel 1991 e i fotogrammi dei Femminielli, un lavoro partito quaranta anni fa e che raggiunge l’apice nel 2018, con la mostra Resbis. Il dualismo dei Femminielli, allestita nelle sale della Howtan Space a Roma e curata da Barbara Martusciello.

All’estero, invece, alle zone di conflitto sono dedicati i reportage in Libano, dei Territori occupati e della Guerra del Golfo, foto in cui traspare non solo l’aspetto documentario, ma anche di denuncia.

Iconica e famosissima è la foto del 5 luglio 1984 allo stadio San Paolo, quando Diego Armando Maradona (1960-2020) salì per la prima volta le scale degli spogliatoi ed incontrò il suo pubblico.

A differenza degli altri reporter che immortalarono el Pibe de Oro davanti, cercando il suo sguardo, la sua espressione e i suoi gesti, Ferrara scelse una prospettiva diversa: fissa Maradona di spalle mentre esce dagli spogliatoi per entrare nello stadio.

Questo taglio fotografico restituisce una immagine del calciatore statuaria, anche se egli era di bassa statura. È una foto che rimanda per iconografia al tema dell’Ascensione di impostazione religiosa con un diverso ribaltamento della prospettiva: i discepoli/fotografi sono collocati in alto e non in basso, come vuole la tradizione figurativa.

Si assiste alla identificazione di Maradona con Dio, in questo caso Dio del popolo e del calcio. Luciano Ferrara realizzò lo scatto immortalandolo mentre poggia la punta del piede e non la pianta sul gradino della scala.

Questo movimento dà un ulteriore slancio alla figura che lo “spinge verso l’alto”. A questa istantanea da personaggio pubblico, ne seguiranno tantissime che riguarderanno anche la sua vita privata.

Affascinante è la sala che ospita la camera oscura che Ferrara mette a disposizione della collettività per i laboratori di fotografia. Piccola e angusta, è l’epicentro di una produzione sterminata di immagini.

Sostando al suo interno sembra di trovarsi in un’altra dimensione. Questo microcosmo contiene tutte le attrezzature per la realizzazione di fotografie analogiche, come l’ingranditore Leitz Focomat V35, con un sistema di messa a fuoco automatica e un obiettivo leggermente grandangolare, la cui produzione industriale si è fermata intorno al 1995.

Proprio accanto vi è un altro ingranditore, l’Iff Dichroic Quodgon e la carta fotografica Ilford utilizzata per la stampa. Questa ricerca artistica e lavorativa tradizionale vira verso la contemporaneità attraverso diversi manuali che trattano la fotografia digitale, frapposti tra un testo di Storia essenziale della fotografia e un altro dal titolo Documento alla testimonianza.

In questa wunderkammer non poteva mancare la Napoli delle Avanguardie, con fotografie che ritraggono Lucio Amelio e Graziella Lonardi Buontempo, e artisti quali Joseph Beuys, Andy Warhol e Keith Haring, di cui sono presenti di quest’ultimo le immagini del suo soggiorno partenopeo nel febbraio del 1983, quando rispose all’appello di Lucio Amelio che, a seguito del terremoto del 23 novembre 1980, organizzò una rassegna che definì “una macchina per creare un terremoto continuo dell’anima“, dedicata alla tragedia di quegli anni.

I femminielli, una parola al maschile che rimanda all’universo femminile si riferisce a una natura articolata, fluida, altra, che integra femminile e maschile, un fenomeno presente in molte culture e in quasi tutte le epoche storiche, ma che a Napoli ha assunto caratteristiche specifiche.

Nel 2020 la mostra Ladies and gentleman di Andy Warhol, allestita nelle sale della Tate Modern Gallery di Londra, aveva una sezione con 10 serigrafie dedicata ai trans in pose coloratissime.

Ferrara, da acuto osservatore, focalizzò già dalla fine degli anni Settanta l’attenzione su tali figure, immortalando in immagini in bianco e nero i femminielli di via Toledo, del Rettifilo e della Sanità. Egli frequentò e fotografò queste persone che si consegnarono con naturalezza alla sua macchina, scevra da qualsiasi forma di pregiudizio.

Un termine, femminielli, che rimanda alla spettacolare ‘a Juta dei Femminielli. Secondo una antica tradizione, ogni 2 febbraio, giorno della Candelora, coloro che vivono e si sentono come donne, vanno in pellegrinaggio al santuario della Madonna di Montevergine, ad Avellino.

In tale occasione cade anche la cosiddetta juta (andata) dei femminielli, realtà collettiva propria del milieu partenopeo e delle zone limitrofe. La tradizione narra che nel 1256 la Madonna avrebbe miracolosamente liberato due amanti omosessuali, legati ad un albero tra lastre di ghiaccio.

Al di là della veridicità o meno dell’accaduto, le antiche cronache sono concordi nell’attestare la juta a Montevergine in relazione a quel fenomeno che oggi sarebbe qualificato come crossdressing, cioè di indossare abiti che sono comunemente associati al ruolo di genere opposto al proprio.

Tutto questo è stato riassunto da Ferrara in tantissime foto di una autenticità sconcertante, di una profonda bellezza che materializza un dualismo esemplare.

Questo viaggio continua nella casa-museo e ci porta alle immagini del 2016 che ritraggono i campi di liquirizia di Rossano Calabro, una esperienza che lo stesso autore ricorda con queste parole:

Terra, vapori, concia. Mani nude che estraggono le radici dalla terra umida, le viscere di un corpo che produce ricchezza e bontà. Il campo, addormentato per quattro lunghi anni, restituisce il prezioso carico per trasformarlo in liquorice.

I vapori della concia sono per l’olfatto un viaggio nelle spezie mediorientali, ricorda l’odore del caffè corretto ad anice dei bar di periferia che frequentavo da ragazzo. Il nero brillante della liquirizia somiglia per me alle tante giornate passate a stampare fotografie analogiche nella camera oscura e tirare fuori il nero brillante di paesaggi notturni”.

Tribunali 138 custodisce inoltre le fotografie dell’archivio Viviani, donato dalla famiglia a Ferrara, che poi lo ha riordinato. Tra le curiosità visibili ci sono le opere di Giorgio Sommer, il più noto fotografo paesaggistico, di Fabrizio Lombardi, di Sergio Fermariello, di Joseph Beuys, di Stelio Maria Martini, di Josef Koudelka, di Riccardo Dalisi, di Leonardo Cammarano, di Armando De Lisio e i mosaici di Sofia Ferraioli.

Osservare la realtà senza pregiudizi potrebbe essere la cifra stilistica che sintetizza la ricerca fotografica di Luciano Ferrara con una particolare attenzione agli emarginati e alle minoranze. Utilizza la fotografia come “strumento di lotta”.

Una attitudine artistica e professionale che vira verso una narrazione caratterizzata dal dovere verso la società di documentazione e controinformazione, confermata dalle mostre, dalle collaborazioni, dalle pubblicazioni e da amicizie basate su affinità elettive come quella con Joseph Koudelka.

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Luca Del Core, vive e lavora a Napoli. E' laureato in "Cultura e Amministrazione dei Beni Culturali" presso l'Università degli Studi "Federico II" di Napoli. Giornalista freelance, ha scritto per alcune riviste di settore, per alcune delle quali è ancora redattore, e attualmente collabora con art a part of cult(ure). La predisposizione ai viaggi, lo porta alla ricerca e alla esplorazione delle più importanti istituzioni culturali nazionali ed internazionali, pubbliche e private.

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