Sergio Leone. L’italiano che inventò l’America. Documentario dell’anno ai Nastri d’Argento 2023.

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Sergio Leone. L’italiano che inventò l’America di Francesco Zippel, prodotto dalle Leone Group e Sky Studios è il documentario dell’anno ai Nastri d’Argento 2023. Un documentario importante per il tributo ad un grande artista che ha reso famosa l’Italia con le sue idee e con il suo stile creativo di cinema, inconfondibile, imitato ancora in tutto il mondo.

Moltissime le scene più iconiche dei suoi famosi film (tutti), con le musiche di Ennio Morricone, a corredo di interviste di altissimi registi, attori, produttori cinematografici, ecc.. Nel cast del mediometraggio oltre Sergio ed i figli Francesca, Raffaella ed Andrea Leone, gli attori Clint Eastwood, Eli Wallach, Robert De Niro, Jennifer Connelly, Carlo Verdone, i registi Steven Spielberg, Quentin Tarantino, Martin Scorsese, Frank Miller, Damien Chazelle, Dario Argento, Giuseppe Tornatore, il produttore Arnon Milchan, il maestro Ennio Morricone, il biografo Christopher Frayling.

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Sergio Leone, figlio di un regista del muto, Vincenzo Leone (Roberto Roberti) e di una attrice Bice Valeran, aveva respirato aria di cinema fin dalla nascita. Nei primi anni di carriera (dal 49 al 59) aveva partecipato a 35 film come aiuto-assistente, finché era riuscito a realizzare come regista il film di genere peplum “Il colosso di Rodi” (1961).

Poi dopo aver visto “La sfida del samurai”, ripreso da Akira Kurosawa da una novella americana, aveva pensato – come ha detto lui stesso – di farla diventare una storia western con un attore americano Clint Eastwood, uno pistolero straniero, pigro nato, con una innata indolenza, dalla camminata dinoccolata, che però prendeva velocità nel momento dell’azione.

Questo creava un fascino per un personaggio che era fuori del mito ma poi lo diventava.

Dice Leone in una intervista:

Il cinema è soprattutto uno spettacolo immenso dove si ripropongono i fatti della vita mascherati, è un veicolo per raccontare esperienze proprie, esperienze storiche, esperienze psicologiche sempre attraverso le favole, attraverso il mito, lo spettacolo. Per me il cinema è vita. Tutti i miei film sono il mondo guardato dai bambini”.

Quello che ripete anche Steven Spielberg:

Guardando i suoi film ho capito che quell’uomo era ancora un bambino. Un ragazzino che giocava ai cowboy, che amava divertire i suoi amici, un artista poco pretenzioso, molto generoso quando voleva intrattenere. A beneficiare del suo lavoro è stata la generazione dopo la mia (il suo cinema è a cavallo tra il genere classico e la nuova Hollywood). Ma gli dobbiamo tutti qualcosa, cresciuti con i film di Howard Hawks e John Ford, quando abbiamo visto i suoi film, ci siamo chiesti se era un western perché non lo sembrava affatto con tutta quella comicità, che ci insegnava ad avere il senso dell’umorismo. L’entusiasmo di essere bambini e sognare le favole”.

Dice Quentin Tarantino il quale riconosce di aver usufruito di tante idee di Leone sui generi che ha frequentato (es. Kill Bill, Bastardi senza gloria, Django Unchained):

Mettendo sempre il genere al primo posto era la sua maniera di esplorare in fondo l’animo umano. Il suo obiettivo era di arrivare alle radici degli archetipi di quei generi che lui tanto amava. Quella sua maniera di mettere le facce in primo piano mi meravigliò la prima volta che vidi un suo film. Per i casting siamo uguali, cerchiamo di creare un nuovo mito con gli attori che scegliamo. L’interpretazione comica di Eli Wallach come Tuco ne “Il Buono, Il Brutto, Il Cattivo” è il personaggio migliore di tutti i tempi. Ho imparato da lui come usare la grandiosità, come usare il dolly, tutto quello che ho potuto dalla sua tecnica cine e dai suoi ritmi. Su un set dovevamo fare una inquadratura di un primo piano di un pupazzo di neve. Facciamo ‘una Sergio’ ho detto e tutti sapevano cosa voleva dire”.

Martin Scorsese ha voluto evidenziare il modo in cui metteva tutto in un’unica grande orchestra in armonia con le complesse emozioni raffigurate in scena. La contemporaneità di Sergio Leone, ricordata anche dal regista Damien Chazelle, è certamente dovuta, ha continuato Scorsese, dal suo modernismo e dall’ironia. Il modernismo era frutto della bellezza e dell’audacia delle sue riprese.

Intanto in questo magnifico documentario sono passate le immagini della sfida finale di Un pugno di dollari. Clint Eastwood ha confessato che Leone fu cruciale per la sua carriera, e che quel personaggio così naturale aveva fatto sfondare gli incassi (“Mi ero dimenticato di quel film quando lessi il giornale Variety che parlava della crisi dei western, meno un piccolo film interpretato da Clint Eastwood. Rimasi stupito, non era il mio film, io ricordavo che si chiamava “Il magnifico straniero”, ma il titolo era stato cambiato.

La scena di “Per qualche dollaro in più” in cui Clint Eastwood e Lee Van Cliff sparano ai rispettivi cappelli di cui il regista Frank Miller ha commentato: “Scene fuori immaginazione, quasi cartoni animati. Così visto che si ispirava ai fumetti quando Robert Rodriguez per preparare Sin City mi ha chiesto cosa vedere gli ho suggerito “Il buono, il brutto, il cattivo” di Sergio Leone. Ricordo quella cinepresa protagonista assoluta della corsa di Tuco tra le tombe e della sfida circolare del duello (triello). Nel fare film siamo come dei meccanici che cercano di performare il nostro pensiero in termini tecnici. Studiamo Leone per capire e ripetere le sue meccaniche, ancora nuove.

Un ruolo fondamentale nei film di Sergio Leone è la musica di Ennio Morricone. Fischi, strumenti di fantasia, percussioni, chitarre elettriche, fiati, carillon, armonica, cambiano ogni volta la fisionomia della musica. Leone e Morricone erano nella stessa classe nelle elementari, poi si sono rincontrati ed hanno sempre collaborato.

Morricone ha ricordato la grande epicità delle musiche per “C’era una volta il west”. Od anche solo i rumori che Leone aveva creato con il rumorista nella scena in cui tre killer attendono Armonica (Charles Bronson) per un duello con le pistole, in una stazioncina del west. Perché Leone amava creare le sue atmosfere anche con il silenzio (memorie del cinema muto). La musica per lui doveva raccontare il passato e l’avvenire del film – ha concluso Morricone.-

La scena epica della costruzione della ferrovia e quella del calessino che si avvia verso la Monument Valley, preparano l’America imprenditrice ed il suo impero economico e paesaggistico. Ma allo stesso tempo ci sono i lavoratori, gli immigrati, gli sfruttati, la storia di una società ancora ineguale.

L’interprete principale del film era Claudia Cardinale e per avere due sceneggiatori giovani che conoscessero di più la femminilità Leone chiamò Bernardo Bertolucci e Dario Argento, che ne hanno fatto, insieme agli altri importanti interpreti maschili (Charles Bronson, Henry Fonda, Jason Robards), una figura femminile indimenticabile.

Un Sergio Leone sociale ancora da riscoprire.

Per “C’era una volta in America” il produttore Arnon Milchan ha ricordato che Leone aveva atteso 11 anni, rifiutando altre offerte perché voleva girarne solo uno. A Cannes una sera gli aveva descritto “C’era una volta in America” fotogramma per fotogramma. Milchan lo aveva aiutato a finanziarlo, ma i problemi nacquero alla fine sulla sua lunghezza. Il film era di 4 ore e mezza e Leone cercava di ridurlo a 4 ore e 15 minuti, poi a 3 ore e 45 minuti.

Milchan, credeva che quel film fosse il più grande film della storia del cinema. Ma la Warner Brothers, che avrebbe dovuto distribuirlo in America, chiese che fosse ridotto a 2 ore e 45. Per Leone un nuovo montaggio avrebbe cancellato il suo spirito creativo. La Warner aveva un contratto che avrebbe potuto fare tagli. Il figlio Andrea ha detto che dopo lo scempio che ne era stato fatto suo padre non ha voluto mai più vedere quella versione. Ma non si può immaginare quanto sia rimasto male perché era la sua creatura. In Europa invece uscì nei cinema una versione di 229 minuti.

La scena che si vede nel documentario è quanto di più struggente si possa immaginare. Il ritorno a New York dopo 35 anni di David Noodles (De Niro) ed il suo incontro con l’amico Fat Moe (Larry Rapp). Scena, come dice Morricone, fatta di grandi silenzi e di cinema muto.

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Pino Moroni ha studiato e vissuto a Roma dove ha partecipato ai fermenti culturali del secolo scorso. Laureato in Giurisprudenza e giornalista pubblicista dal 1976, negli anni ’70/80 è stato collaboratore dei giornali: “Il Messaggero”, “Il Corriere dello Sport”, “Momento Sera”, “Tuscia”, “Corriere di Viterbo”. Ha vissuto e lavorato negli Stati Uniti. Dal 1990 è stato collaboratore di varie Agenzie Stampa, tra cui “Dire”, “Vespina Edizioni”,e “Mediapress2001”. E’ collaboratore dei siti Web: “Cinebazar”, “Forumcinema” e“Centro Sperimentale di Cinematografia”.

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