Il ritorno di Casanova di Gabriele Salvatores. Il gioco degli specchi dietro il film

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Non è facile sciogliere ciò che lega in un film d’autore  – Il ritorno di Casanova di Gabriele Salvatores – più dimensioni tematiche, come a dire il passato ed il presente, il romanzo e la vita quotidiana, la psicoanalisi e la tecnologia, il reale, il sogno o l’invenzione, visto che poi tutto quanto è solo pura invenzione filmica.

Gabriele Salvatores (72 anni), regista e sceneggiatore ha realizzato una operazione particolarmente speculare ed elaborata, fatta di molteplici rimandi, tra passato colorato dal ricordo, e presente bianco e nero d’attualità, tra romanzo dei primi del novecento (Arthur Schnitzler) che narra la fine del settecento (Il ritorno di Casanova) e la storia sul montaggio del film, tratto fedelmente dal romanzo, da parte di un regista in crisi creativa, del nostro mondo, problematicamente automatizzato.

Operazione complessa, ma al contempo assolutamente lineare, se si segue il fil rouge che guida la tematica principale, la malinconia sempre più attuale, data dallo scorrere veloce del tempo, con la progressiva perdita di vigore e di speranza dell’uomo come fatto fisico e dell’Umanità che, del tempo senza fine, ne aveva fatto un miraggio durato quasi mezzo secolo. Allora a ben vedere il messaggio del film, letto in filigrana, è quello della assoluta relatività della vita e delle difficili realizzazioni di sé in ogni senso in una sola vita breve.

Quella equiparazione, appena accennata, da Casanova – Schnitzler (durante un duello mortale), di giovinezza e vecchiaia che sono solo artifici umani, serve a far capire quanto sia relativa la loro vicinanza o distanza fatta solo di un soffio vitale come è la vita. La frase di Lorenzo De Medici “Quanto è bella giovinezza che si fugge tuttavia! Chi vuol esser lieto sia, del doman non c’è certezza” ritorna come filosofia nel nostro presente “La vita è una sola e breve e bisogna viverla intensamente prima di morire”, e soprattutto, senza pensare a nulla, nel solco del nichilismo fatto di vacuità che stiamo purtroppo vivendo oggi.

Il pessimismo cosmico di Leopardi e Schopenauer che ha fatto breccia nell’edonismo a cavallo degli anni 2000, nell’egoismo e nell’eroismo dell’antropocene, ha reso però l’uomo troppo umano anzi, come si dice comunemente, depresso. “Quanto mi resta da vivere e come?” si chiedono il regista del film Leo Bernardi (Tony Servillo) e Giacomo Casanova (Fabrizio Bentivoglio), specchiati entrambi nelle loro solitudini. Anche se la vita può spegnersi con un colpo di spada o nascere con un colpo d’amore.

Ma non se la passano bene neanche i giovani in questo film che non fa sconti a nessuno. Il giovane tenente Lorenzi, ucciso in duello da Casanova, muore prima di morire in battaglia o di avere una vita misera ed infelice, fuori della sua divisa. “Beato te – dice Casanova – baciando il suo corpo morto”. La giovane contadina Silvia (Sara Serraiocco) con cui il regista (Tony Servillo 63 anni) ha una relazione amorosa e che aspetta un figlio che avrà 7 anni quando il padre, fuori dal cinema e dalle idee contemporanee, ne avrà 70, si rende conto delle paranoiche indecisioni del regista, venerato in quanto figura carismatica.

Nelle rifrangenze tra le storie di sopraggiunta senilità sia di Casanova (53 anni nel ‘700), sia del regista Bernardi (63 anni nel 2023) quello che colpisce di più è quel destino comune ineluttabile che entrambi vorrebbero evitare. Il primo iniziando a scrivere a fatica le sue memorie, il secondo raccontando un’altra storia (‘finito un film se ne farà un altro’) sullo scampolo di vita che resta da vivere. Sempre comunque entrambi mortali, ma non persone comuni, attaccati a sé stessi e di sé stessi innamorati. Ma anche innamorati l’uno dell’altro (senza malizia), come si dicono in un incontro fuori scena al bar l’interprete di Casanova Bentivoglio e l’attore regista Servillo.

Un altro gioco di specchi e di rimandi, stavolta reale, biografico. Bentivoglio è stato attore feticcio di Gabriele Salvatores (vero regista de Il ritorno di Casanova) nei film Marrakech Express, Turné, Puerto Escondido, Denti, Il ragazzo invisibile, Happy family. Tony Servillo è stato coprotagonista con Bentivoglio nell’unico film da regista di Bentivoglio Lascia perdere, Johnny!

Il gioco di specchi di cui questo film fa uso anche esagerato parte da un fermo immagine, che cadenza poi le varie storie in una sala di montaggio dove il montatore Gianni (Natalino Balasso) sta lavorando da solo, vista la crisi esistenziale del regista, il girato del film Il ritorno di Casanova (dal prologo con la sua fuga dai Piombi fino al suo oscuro ritorno a Venezia). Importante, in questa storia di Casanova e fuori della leggenda, l’imbroglio del libertino per avere una notte d’amore al buio con la bellissima Marcolina (Bianca Panconi), con la presa di coscienza del suo decadimento fisico visto al mattino attraverso gli occhi ripugnati della donna stessa.

Nel gioco degli specchi rientra anche il rapporto ostile del regista ormai affermato (che si rifugia nella trasposizione di un romanzo storico, con voce fuori campo che ne legge bellissimi brani ed una fotografia di Italo Petriccione ai livelli del Barry Lyndon di Stanley Kubrik) con il giovane regista neorealista moderno, Lorenzo Marino (Marco Benadei), con il quale si ritroverà selezionato al Festival di Venezia, vinto comunque da quest’ultimo.

Un altro leit motiv ripreso da Doppio Sogno del Dottor Schnitzler (studioso di psicoanalisi al pari di Freud) accompagna sia il film che il film dentro il film (metacinema), ma mentre i sogni di Casanova sono solo incontri angoscianti con i fantasmi invecchiati del suo passato di amatore (la moglie dell’amico, la suora di clausura) o risvegli traumatici in un futuro senza amore, quelli del regista Bernardi sono sogni ad occhi aperti di scene d’amore liberatori con la contadina o riprese di vita quotidiana domestica ripresi con il cellulare. E qui gli specchi si frantumano nel tempo trascorso.

L’ultimo espediente narrativo, speculare e continuativo delle due storie del film avviene nel momento in cui Casanova a Venezia assiste ad un semplice e fantastico spettacolo della Lanterna Magica, che si trasforma, senza dissolvenze, nel red carpet reale e sofisticato degli interpreti del film, nell’ultimo Festival del Lido.

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Pino Moroni ha studiato e vissuto a Roma dove ha partecipato ai fermenti culturali del secolo scorso. Laureato in Giurisprudenza e giornalista pubblicista dal 1976, negli anni ’70/80 è stato collaboratore dei giornali: “Il Messaggero”, “Il Corriere dello Sport”, “Momento Sera”, “Tuscia”, “Corriere di Viterbo”. Ha vissuto e lavorato negli Stati Uniti. Dal 1990 è stato collaboratore di varie Agenzie Stampa, tra cui “Dire”, “Vespina Edizioni”,e “Mediapress2001”. E’ collaboratore dei siti Web: “Cinebazar”, “Forumcinema” e“Centro Sperimentale di Cinematografia”.

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